“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai.
Tu eri dentro di me ed io ero fuori. Lì ti cercavo.
Tu eri con me, ma io non ero con te”.
Sant’Agostino
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Cammino di
formazione
Centro Associativo Recupero Educativo e Sociale
Divina MisericorDia o.D.v.
INTRODUZIONE
1 - CAMMINO DI FORMAZIONE: CONOSCENZA DI SE STESSO ATTRAVERSO UN CAMMINO CRISTIANO
Cosa vuol dire consacrarsi e perché consa- crarsi?
Chi è stato battezzato è già un consacrato. Il percorso di Consacrazione è quindi un rinnovare e riconfermare le pro- messe che i nostri genitori o chi per loro fecero per noi molti anni fa. Siamo chiamati quindi a riconfermare le promesse battesimali ma con la coscienza, la conoscenza e la consa- pevolezza di cristiani adulti, tale consapevolezza ha però bisogno di essere accresciuta tramite un percorso di fede e di conoscenza di sé, è questo il percorso di Consacrazione a Gesù Misericordioso per mezzo di Maria.
Probabilmente qualcuno potrebbe pensare... sono stato bat- tezzato e questo mi basta... se così fosse poniamoci alcune semplici domande. Ricordiamo quali sono le promesse che quel giorno i nostri genitori fecero a Dio per noi? Siamo cer- ti di sapere qual è il vero significato del Battesimo o pen- siamo che sia solo la liberazione dal peccato originale? E se pensiamo questo, siamo davvero convinti del fatto che ogni bambino debba portare ancor oggi le colpe del peccato di Adamo ed Eva? E se ne siamo convinti sapremmo spiegare
il perché? Sappiamo perché durante la cerimonia siamo sta- ti unti con l’olio santo e lavati con l’acqua?
Inoltre siamo certi di sapere chi siamo veramente? Di cono- scere i nostri limiti, i nostri difetti, le nostre debolezze ma anche i nostri carismi da mettere al servizio di Dio?
La Consacrazione è un viaggio all’interno di noi stessi per capire chi siamo veramente. Noi siamo il frutto di condizio- namenti sociali, indossiamo tutti delle maschere per piace- re agli altri e non essere sottoposti al loro giudizio. Il nostro vero sé è bloccato da traumi ricevuti spesso nell’infanzia.
La consacrazione autentica non limita (come potrebbe sem- brare) la nostra libertà, ma ci aiuta a guarire la sfera affet- tiva, sessuale, mentale, spirituale della nostra persona nella sua totalità, e riconcilia in noi l’immagine del padre e della madre che spesso è distorta da ferite emozionali.
Non si è mai arrivati nella fede; lo stesso San Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo libro Trattato della vera de- vozione a Maria scrive sotto ispirazione della Vergine Ma- ria: Nelpercorsodiconsacrazionesi acquisisce una consapevolez- za nella fede che l’uomo riuscirebbe a raggiungere solo in un tempo di almeno 10 anni.
Maria ci aiuterà in questo percorso a ritrovare il nostro vero sé, impareremo ad essere autentici, liberi di esprimere ciò che siamo, nella Verità, senza paura. Ecco che la consacra- zione diventa un qualcosa di concreto, una rinascita dell’uo- mo attraverso l’incontro con Dio.
2 - NORME GIURIDICHE DEL CAMMINO DI CONSACRAZIONE DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
«NoN avrai altri dèi di froNte a me»
N. 0. Il primo comandamento vieta di onorare altri dèi, all’infuori dell’unico Signore che si è rivelato al suo popolo. Proibisce la superstizione e l’irreligione. La superstizione rappresenta, in qualche modo, un eccesso perverso della religione; l’irreligione è un vizio opposto, per difetto, alla virtù della religione.
1. La superstizione
N. 1. La superstizione è la deviazione del sentimento re- ligioso e delle pratiche che esso impone. Può anche presen- tarsi mascherata sotto il culto che rendiamo al vero Dio, per esempio, quando si attribuisce un’importanza in qualche misura magica a certe pratiche, peraltro legittime o neces- sarie. Attribuire alla sola materialità delle preghiere o dei segni sacramentali la loro efficacia, prescindendo dalle di- sposizioni interiori che richiedono, è cadere nella supersti- zione.
Cadiamo in superstizione quando, per esempio, ci facciamo coinvolgere nelle “famose” catene di sant’Antonio. Queste catene di preghiere sono da evitare perché ingannevoli e come tali “costringono” alla preghiera spesso con minaccia
di disgrazie qualora si decida di interromperle: si comincia a pregare per timore e non per amore e questo non è nei progetti del Signore. La preghiera si deve adattare alla vo- lontà di Dio e non viceversa. Altra forma di superstizione religiosa è l’uso improprio che a volte si fa delle immaginet- te dei santi quando queste vengono usate come talismani. Li conserviamo nelle nostre case a volte in modo scaramantico come se dipendesse da esse la nostra fortuna o disgrazia. E quanti crocefissi vengono appesi nelle nostre auto o come capezzali senza che ad essi venga mai rivolta una preghie- ra? Anche la coroncina del rosario viene spesso usata come se fosse un accessorio di abbigliamento. Nella tradizione popolare sono moltissimi gli oggetti portafortuna o sfortu- na fonte di superstizioni, ne citiamo solo alcuni tra i più conosciuti: corni rossi, ferro di cavallo, zampa di coniglio, tartaruga, coccinella, sale, quadrifoglio, lo specchio rotto, il numero 17 o il 13 ecc. ecc. Si crede anche in una gestualità per allontanare la sfortuna; i gesti scaramantici più comuni sono: fare le corna, toccare ferro, non mettere il pane ribal- tato sul tavolo, non girare le posate sul tavolo, non passare sotto la scala, non farsi attraversare la strada dal gatto.
N.2 I sacramentali
L’uso dei sacramentali è una delle pratiche più fraintese della Chiesa cattolica. Si cade nella superstizione quando si usano i sacramentali e anche i sacramenti stessi per fini estranei al sano e corretto sentimento religioso. Il supersti- zioso ripone la propria fiducia solo nelle sue azioni, anche se sono buone, con l’intenzione di obbligare Dio a conceder- gli tutto ciò che gli interessa. Anziché avvalersene con fede, alcuni cattolici li usano come amuleti magici piuttosto che come strumenti di grazia. Di seguito la definizione tratta dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
N.1667. La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, con una cer- ta imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impe- trazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santi- ficate le varie circostanze della vita.
N.1668. Essi sono istituiti dalla Chiesa per la santificazio- ne di alcuni ministeri ecclesiastici, di alcuni stati di vita, di circostanze molto varie della vita cristiana, così come dell’uso di cose utili all’uomo. Secondo le decisioni pastorali dei Vescovi, possono anche rispondere ai bisogni, alla cul- tura e alla storia propri del popolo cristiano di una regione o di un’epoca. Comportano sempre una preghiera, spesso accompagnata da un determinato segno, come l’imposizio- ne della mano, il segno della croce, l’aspersione con l’acqua benedetta (che richiama il Battesimo).
N.0. I sacramentali non conferiscono la grazia dello Spi- rito Santo alla maniera dei sacramenti; però mediante la preghiera della Chiesa preparano a ricevere la grazia e di- spongono a cooperare con essa. Ai fedeli ben disposti è dato di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mez- zo della grazia divina che fluisce dal mistero pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, mistero dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali; e così ogni uso onesto delle cose materiali può essere indi- rizzato alla santificazione dell’uomo e alla lode di Dio.
N.3. I sacramentali: l’acqua Benedetta, sale esorcizzato e l’olio benedetto
Don Gabriele Amorth nel suo libro Un esorcista racconta spiega quanto “è molto utile conoscere l’uso specifico di que- sti tre sacramentali che, adoperati con fede, sono di grande gio- vamento. Già l’acqua benedetta ha un grande uso in tutti i riti liturgici. La sua importanza ci ricollega subito all’aspersione bat- tesimale. Nella preghiera di benedizione si prega il Signore perché l’aspersione con l’acqua ci ottenga questi tre benefici: il perdono dei nostri peccati, la difesa dalle insidie del maligno, il dono della protezione divina. La preghiera d’esorcismo sull’acqua aggiunge tanti altri effetti: di far fuggire ogni potere del demonio sì da sra- dicarlo e cacciarlo via.
Pure l’olio esorcizzato, usato con fede, giova a porre in fuga la potenza dei demoni, i loro assalti, i fantasmi che suscitano. Inoltre giova alla salute dell’anima e del corpo; qui ricordiamo l’antico uso di ungere con l’olio le ferite e il potere dato da Gesù agli apo- stoli di guarire i malati con l’imposizione delle mani e ungendoli con olio. C’è poi una proprietà che è specifica dell’olio esorcizzato: di separare dal corpo le avversità.
Anche il sale esorcizzato giova per cacciare via i demoni e per la salute dell’anima e del corpo. Ma una sua proprietà specifica è quella di proteggere i luoghi dalle influenze o dalle presenze malefiche. In questi casi sono solito consigliare di porre del sale esorcizzato sulla soglia di casa e nei quattro angoli della stanza o delle stanze che si ritengono infestate.
Quel «mondo cattolico incredulo» riderà forse di fronte a queste asserite proprietà. Certo i sacramentali agiscono tanto più effica- cemente quanto più c’è Fede; senza questa restano spesso ineffi- caci. Il Vaticano Il, e con le stesse parole il Diritto Canonico (can 1166), li definisce: «Segni sacri con cui, per una qualche imitazio- ne dei sacramenti, vengono significati e ottenuti effetti soprattut-
to spirituali, per l’impetrazione della Chiesa». Chi li usa con Fede ne vede effetti insperati. So di molti mali, ribelli ai farmaci, che sono spariti solo perché l’interessato vi ha fatto sopra un segno di croce con olio esorcizzato”.
Durante la messa del crisma una volta all’anno in ogni dio- cesi il Giovedì santo il vescovo chiede che Dio lo benedica e lo consacri e così «infonda in esso la forza dello Spirito San- to con la quale ha unto i sacerdoti, i re, i profeti e i martiri». Il crisma viene consacrato. A questa messa, che vuole signi- ficare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo, sono invitati tutti i presbiteri della diocesi i quali, dopo l’omelia del vescovo, rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale. In questa messa, il vescovo consacra gli olii santi: il crisma, l’olio dei catecu- meni e l’olio degli infermi.
Essi sono gli olii che si useranno durante tutto il corso dell’anno liturgico per celebrare i sacramenti:
2. L’idolatria
N.2112. Il primo comandamento condanna il politeismo. Esige dall’uomo di non credere in altri dèi che nell’unico Dio, di non venerare altre divinità che l’Unico. La Scrittura costantemente richiama a questo rifiuto degli idoli che sono
«argento e oro, opera delle mani dell’uomo», i quali «hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono...». Questi idoli vani rendono l’uomo vano: «Sia come loro chi li fab- brica e chiunque in essi confida» (Sal 115,4-5.8). Dio, al con- trario, è il «Dio vivente» (Gs 3,10), che fa vivere e interviene nella storia.
N.2113. L’idolatria non concerne soltanto i falsi culti del pa- ganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Con- siste nel divinizzare ciò che non è Dio. C’è idolatria quan- do l’uomo onora e riverisce una creatura al posto di Dio, si tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro, ecc. «Non potete servire a Dio e a mammona», dice Gesù (Mt 6,24). Numerosi martiri sono morti per non adorare «la Bestia», rifiutando perfino di simularne il culto. L’idolatria respinge l’unica Signoria di Dio; perciò è incom- patibile con la comunione divina.
N.2114. La vita umana si unifica nell’adorazione dell’Unico. Il comandamento di adorare il solo Signore unifica l’uomo e lo salva da una dispersione senza limiti. L’idolatria è una perversione del senso religioso innato nell’uomo. Idolatra è colui che “riferisce la sua indistruttibile nozione di Dio a chicchessia anziché a Dio”.
3. Divinazione e magia
N.2115. Dio può rivelare l’avvenire ai suoi profeti o ad al- tri santi. Tuttavia il giusto atteggiamento cristiano consiste nell’abbandonarsi con fiducia nelle mani della provvidenza per ciò che concerne il futuro e a rifuggire da ogni curiosità malsana a questo riguardo. L’imprevidenza può costituire una mancanza di responsabilità.
N.2116. Tutte le forme di divinazione sono da respingere: ricorso a Satana o ai demoni, evocazione dei morti o altre pratiche che a torto si ritiene che «svelino» l’avvenire. La consultazione degli oroscopi, l’astrologia, la chiromanzia, l’interpretazione dei presagi e delle sorti, i fenomeni di veg- genza, il ricorso ai medium manifestano una volontà di do- minio sul tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed in- sieme un desiderio di rendersi propizie le potenze nascoste. Sono in contraddizione con l’onore e il rispetto, congiunto a timore amante, che dobbiamo a Dio solo.
N.2117. Tutte le pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di sottomettere le potenze occulte per por- le al proprio servizio ed ottenere un potere soprannaturale sul prossimo – fosse anche per procurargli la salute – sono gravemente contrarie alla virtù della religione. Tali pratiche sono ancora più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri o quando in esse si ricorre all’intervento dei demoni. Anche portare amuleti è biasimevole. Lo spiritismo spesso implica pratiche divina- torie o magiche. Pure da esso la Chiesa mette in guardia i fedeli. Il ricorso a pratiche mediche dette tradizionali non legittima né l’invocazione di potenze cattive, né lo sfrutta- mento della credulità altrui.
Tra le pratiche vietate dalla Chiesa Cattolica ne ricordiamo alcune: il pendolino; la divinazione (lettura di carte e taroc- chi); canalizzazioni con i defunti (non fatevi trarre in ingan- no a chi afferma di essere in contatto con angeli o arcangeli, ricordatevi che anche Lucifero era un angelo...); sedute spiri- tiche; guarigioni effettuate da santoni o persone che dicono di avere ricevuto potere di guarigione; Reiki (pratica New Age che guarisce attraverso l’energia i 7 Chakra ovvero i 7 punti vitali dell’uomo, anche questo è magia, solo Gesù e i grandi Santi hanno avuto potere di guarigione, e stessa considerazione per il Pranic Healing); le costellazioni fami- liari (ci promettono guarigioni per colpe che non abbiamo ma derivano da atti compiuti dai nostri antenati: in realtà esse sono sedute spiritiche ad alto livello, dove il defunto in questione entra nel corpo di uno dei partecipanti. Alle canalizzazioni il Cristiano antepone le 30 messe gregoriane per la guarigione dell’albero genealogico).
4. L’irreligione
N.2118. Il primo comandamento di Dio condanna i princi- pali peccati di irreligione: l’azione di tentare Dio, con parole o atti, il sacrilegio e la simonia.
N.2119. L’azione di tentare Dio consiste nel mettere alla prova, con parole o atti, la sua bontà e la sua onnipotenza. È così che Satana voleva ottenere da Gesù che si buttasse giù dal tempio obbligando Dio, in tal modo, ad intervenire. Gesù gli oppone la parola di Dio: «Non tenterai il Signore Dio tuo» (Dt 6,16). La sfida implicita in simile tentazione di Dio ferisce il rispetto e la fiducia che dobbiamo al nostro Creatore e Signore. In essa si cela sempre un dubbio riguar- do al suo amore, alla sua provvidenza e alla sua potenza.
N.2120. Il sacrilegio consiste nel profanare o nel trattare in- degnamente i sacramenti e le altre azioni liturgiche, come pure le persone, gli oggetti e i luoghi consacrati a Dio. Il sa- crilegio è un peccato grave soprattutto quando è commesso contro l’Eucaristia, poiché, in questo sacramento, ci è reso presente sostanzialmente il Corpo stesso di Cristo.
N.2121. La simonia consiste nell’acquisto o nella vendita delle realtà spirituali. A Simone il mago, che voleva acqui- stare il potere spirituale che vedeva all’opera negli Apostoli, Pietro risponde: «Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio» (At 8,20). Così si conformava alla parola di Gesù:
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). È impossibile appropriarsi i beni spirituali e compor- tarsi nei loro confronti come un possessore o un padrone, dal momento che la loro sorgente è in Dio. Non si può che riceverli gratuitamente da lui.
Molte discipline New Age vendono doni a caro prezzo vedi il Reiki o coloro che danno corsi per poter parlare con gli angeli o spiriti guida o arcangeli. Dio dona gratuitamente, e chi ha dei doni ha il dovere di usarli per il bene di tutti a titolo completamente gratuito; attenzione, a tal proposito ricordiamo che anche la vana gloria, è un modo per essere pagati o appagati; il vero profeta non vuole grazie e indica se stesso come mezzo inutile di Dio ed è solo Dio che invita a seguire, lodare e ringraziare.
Se si è commesso qualcuno di questi peccati è fondamen- tale prima di iniziare il percorso di consacrazione andare a confessarlo.
3 - PERCORSO FORMATIVO ATTRAVERSO IL MAGISTERO DELLA CHIESA ASSOCIAZIONE C.A.R.E.S. DIVINA MISERICORDIA O.D.V.
L’Associazione C.A.R.E.S Divina Misericordia O.D.V. mossa dal vivo desiderio di testimoniare ed annunciare l’Amore Misericordioso di Dio al mondo intero, si propone di diffon- dere anche attraverso il percorso di Consacrazione a Gesù Misericordioso per mezzo di Maria, il culto della Divina Misericordia, affinché più anime possibili possano essere giustificate attingendo a quella sorgente illimitata di Grazie e di Amore che è la Misericordia di Dio.
Il fondatore, Don Angelo Coronella, nell’anno Giubilare del- la Divina Misericordia, continua il lavoro di Montfort con una quinta tappa e attualizza il percorso di consacrazione ai giorni nostri. Pur mantenendo le linee guida del Montfort, Padre Angelo ha sentito l’esigenza di riportare i temi trattati nel percorso di consacrazione in un contesto attuale.
L’uomo è sempre più attratto da felicità illusorie che promet- tono paradisi tanto irraggiungibili quanto effimeri e delete- ri sia per il corpo che per lo spirito. L’uomo ha dimenticato il vero senso della vita.
La consacrazione a Gesù Misericordioso per mezzo di Ma- ria apre ad una visione diversa della realtà e dà il Vero ed unico senso della vita: quello di essere tutti amati figli di un Padre Misericordioso che vuol ristabilire con ciascuno di noi un rapporto d’amore Padre-figlio.
Per preparazione al Regno di Cristo, Montfort intendeva preparazione alla seconda venuta di Gesù; ancora una volta sarà la Madre, Maria, a condurre l’umanità al Figlio.
A testimonianza di ciò vi è uno fra i tanti messaggi dati dalla Vergine a Medjugorje. Padre Tomas Vlasic testimonia: “Mjriana ha riferito: «La Madonna mi disse: - Sto venendo così spesso sulla terra per preparare gli uomini alla venuta di Gesù -. Io le chiesi: - Vuoi dire che vuoi preparare gli uomini a ritornare a Gesù? –. - No - rispose la Madonna -, voglio preparare gli uomini al ritorno di Gesù -».
Viviamo nell’era della Misericordia, questo è un tempo di Grazie e di conversioni. Maria in ogni messaggio invita tut- ta l’umanità a saper accogliere questo periodo di Grazie e di Misericordia, Ella ci invita non solo a ricevere la Miseri- cordia del Figlio ma anche a donarla affinché come macchia d’olio dilaghi tra gli uomini salvandoli e conducendoli alla vita eterna. È il momento in cui Maria invita tutta l’umanità a ritornare al Figlio, prima che sia troppo tardi e arrivi il tempo del giudizio. In quel tempo, come dicono le Scritture, non ci sarà più Misericordia.
Con l’aiuto della Vergine Maria intraprenderemo un cam- mino verso la conoscenza del vero Volto di Cristo e dell’at- tributo più grande di Dio, la sua infinita Misericordia, ac- compagnati dalla Vergine Maria impareremo a conoscere l’amore Misericordioso del Figlio, impareremo ad amare l’altro come lui ci ama e ad essere come lui ci vuole, por- tatori della sua Misericordia; comprenderemo e conoscere- mo noi stessi, lavoreremo sull’accettazione dei nostri limiti e sul superamento dei propri difetti, nella prospettiva che, solo conoscendo “chi siamo veramente” e accettandoci “così come siamo”, possiamo con l’aiuto di Maria far morire “l’uo- mo vecchio” per far rinascere l’uomo nuovo.
Con il nostro “sì” quotidiano a Maria, riusciremo a vincere il nostro egoismo e a rendere più lieta la vita dei fratelli, donando loro speranza, asciugando qualche lacrima e re- galando un po’ di gioia... Come dice Papa Francesco: “Nella vita tutto è dono, tutto è Misericordia. La Vergine Santa, primizia dei salvati, modello della Chiesa, sposa Santa e immacolata, amata dal Signore, ci aiuterà a riscoprire sem- pre più la Misericordia divina come distintivo del vero cri- stiano”.
Questo cammino verso la Misericordia di Dio è un percorso di crescita spirituale che vuole rendere concreto, nella vita di ogni consacrando, l’impegno verso Dio e verso il prossimo; un modello di santità semplice e al contempo affascinante, che unisce armoniosamente la contemplazione con l’azione della quotidianità, la preghiera alle opere, quello che fa da sempre la nostra Associazione, fondando il suo apostolato sulla verità affermata nella Sacra Scrittura che Dio è Amore e aderendo a quanto richiesto da nostro Signore Gesù a San- ta Faustina Kowalska:
“Nell’Antico Testamento mandai al Mio popolo i profeti con i ful- mini. Oggi mando te a tutta l’Umanità con la mia Misericordia. Non voglio punire l’umanità sofferente, ma desidero guidarla e stringerla al mio cuore misericordioso” (D.1588). “Apostola della Mia Misericordia, annuncia al mondo intero questa mia insonda- bile Misericordia” (D.1142).
Le parole annotate nel Diario di questa grande mistica ap- paiono come un particolare Vangelo della Divina Miseri- cordia. Suor Faustina quasi in risposta alle malattie della civiltà moderna scrive nel suo Diario:
“Mentre pregavo udii interiormente queste parole: «I due raggi rappresentano il Sangue e l’Acqua. Il raggio pallido rappresenta l’Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il San-
gue che è la vita delle anime... Entrambi i raggi uscirono dall’inti- mo della Mia Misericordia, quando sulla croce il Mio Cuore, già in agonia, venne squarciato con la lancia. Tali raggi riparano le anime dallo sdegno del Padre Mio. Beato colui che vivrà nella loro ombra, poiché non lo colpirà la giusta mano di Dio. Desidero che la prima domenica dopo la Pasqua sia la Festa della Divina Misericordia. L’umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla Mia Misericordia»” (D.300).
La storia del Terzo Millennio appena iniziato mostra del resto quanto l’intera vicenda umana abbia bisogno della Divina Misericordia. Lo ha intuito San Giovanni Paolo II, grande Apostolo della Divina Misericordia, che nel suo in- segnamento dalla sede di Pietro, aveva presentato a tutto il mondo «Dio ricco di Misericordia».
Attraverso il dono di Santa Faustina il Papa ha voluto tra- smettere questo messaggio al nuovo millennio nella certezza che la Luce della Divina Misericordia illumini il cammino degli uomini del Terzo Millennio. “Solo nella Misericordia di Dio il mondo troverà la pace, l’uomo troverà la felicità” (Cracovia 2002, Giovanni Paolo II).
Il sogno di Padre Angelo, fondatore dell’associazione, si concretizza in una vera e propria missione che si esprime nella fedeltà alla Chiesa, nel servizio ai fratelli, nel cammi- no spirituale e nel totale abbandono alla Volontà del Padre.
Preparazione
Le 5 tappe di preparazione alla consacrazione intendono essere un richiamo per tutta la vita: si tratta, quindi, di un impegno ascetico che ci deve accompagnare sempre.
Dal momento in cui si è consacrati tutte le intenzioni delle nostre preghiere le mette Maria. Ciò non toglie che possia- mo esprimere le nostre intenzioni di preghiera con la con- sapevolezza che sarà poi la Madre celeste a decidere per chi andranno.
Le caratteristiche principali della consacrazione sono due:
totalità e perennità.
Per totalità si intende che a Maria dobbiamo donare tutto di noi stessi, senza alcuna riserva, senza alcuna pau- ra, affidandoci completamente a lei, lasciandoci condurre per mano;
per perennità si intende ”per sempre”, per tutta l’eternità. Il consacrato rimane tale per sempre e ha il dovere morale di rinnovare ogni anno il percorso di Consacrazione al fine di accrescere sempre più la fede e la conoscenza di Dio.
4 - TRATTATO
DELLA VERA DEVOZIONE A MARIA
L’opera principale di S. Luigi Maria Grignon de Montfort fu scritta verso la fine del suo breve ministero sacerdotale, di soli 16 anni. Secondo la tradizione, si ritiene che la stesu- ra del Trattato avvenne nell’autunno del 1712 a La Rochel- le, dove egli risiedeva in una piccola abitazione chiamata “l’Eremitaggio di S. Eloi “. L’eresia del Giansenismo aveva a quel tempo raggiunto La Rochelle, e con parecchia viru- lenza. Nel 1712 il Vescovo, insieme con la vicina diocesi di Lucon, aveva pubblicato per la terza volta una istruzione pastorale contro il Giansenismo1.
Giansenio fondò il proprio sistema teologico sull’idea che l’essere umano nasca ormai essenzialmente corrotto, e quin- di inevitabilmente destinato a fare il male: senza la grazia divina, l’uomo non può far altro che peccare e disobbedire alla volontà di Dio; ciononostante, alcuni esseri umani sono predestinati alla salvezza, mentre altri no.
La Chiesa cattolico-romana condannò la dottrina teologica giansenista come eretica e vicina al protestantesimo, per il fatto che il giansenismo annullava quasi del tutto il libero arbitrio dell’essere umano di fronte alla grazia divina, favo- rendo l’idea di una salvezza predestinata.
1 Giansenismo è stato un movimento religioso, filosofico e politico che ha proposto una peculiare interpretazione del cattolicesimo sulla base della teologia elaborata nel XVII secolo da Giansenio.
Fu quindi nel bel mezzo di uno scontro aperto con il Gian- senismo che il Padre da Montfort scrisse la sua opera; la Vera Devozione non poté mai essere mandata giù dai Gian- senisti. Essi erano, agli occhi di Montfort, dei falsi devoti a Nostra Signora. Montfort sapeva che se costoro avessero potuto distruggere il manoscritto della sua opera su Nostra Signora, lo avrebbero fatto senz’altro.
La situazione a La Rochelle nel 1712 non consentiva la sua pubblicazione. È questo insieme di circostanze che portaro- no alla scomparsa del manoscritto, che venne ritrovato per caso soltanto nel 1842.
San Luigi de Montfort non poté pubblicare il suo mano- scritto a causa dell’esplosione di giansenismo a La Rochel- le; molto probabilmente lo consegnò al Vescovo locale - un buon amico - perché lo custodisse.
Ma che cosa accadde al manoscritto durante il resto del di- ciottesimo secolo, è più una congettura che un fatto provato. Sembrerebbe che il prezioso manoscritto fosse in principio sistemato in una cassa (probabilmente, in un primo tempo, presso la residenza del Vescovo e poi nella casa madre della Compagnia di Maria) e, in seguito, durante la rivoluzione francese, nascosta in un campo non ugualmente lontano dalla casa madre dei missionari a St. Laurent-sur-Sèvre in Vandea. In ogni caso, la Provvidenza ha ben disposto che venisse alla luce soltanto dopo che la rivoluzione ebbe fine.
Nel 1842, un prete della Compagnia di Maria (i missiona- ri Montfortani) stava cercando, nella piccola libreria della Casa Madre, del materiale sulla Madonna per preparare una novena che aveva in previsione di predicare. Separati dai libri, dei manoscritti - qualcuno assai vecchio -, erano stati impilati in fretta e furia su un paio di scaffali, in un angolo della libreria.
Rovistando tra questi, ne trovò uno che sembrava partico- larmente bello; infatti conteneva la dottrina della consacra- zione totale, la santa schiavitù di amore, che la Comunità predicava con devozione.
La dottrina era Montfort allo stato puro.
Portò immediatamente il manoscritto all’ufficio del Padre Generale, che senza alcuna esitazione riconobbe la scrittura a mano come quella del Padre de Montfort.
Fu suonata la campana a festa per raccogliere insieme sia i padri che i fratelli della Compagnia di Maria e le Figlie di sapienza, la cui casa madre è adiacente a quella dei missio- nari. Le sorelle cominciarono immediatamente a copiare il manoscritto originale che fu poi pubblicato in forma di li- bro nel 1843 (127 anni dopo la morte del suo autore!) a cura del rettore del seminario locale, che poco tempo dopo, entrò nella Compagnia di Maria.
Il manoscritto non aveva titolo, dato che le sue prime 90 pa- gine erano state strappate come pure erano andate perse al- cune pagine alla fine.
Il manoscritto del Trattato da allora ha fatto il giro del mon- do, tradotto in tutte le lingue.
L’insegnamento del Trattato, pur rispecchiando una certa teologia dei secoli passati, espressa in un linguaggio non sempre attuale, è in piena armonia con la mariologia del Concilio Vaticano II, contenuta nel capitolo VIII della costi- tuzione dogmatica Lumen Gentium.
Giovanni Paolo Il, nella lettera enciclica Redemptoris Mater, presenta Monfort come “testimone e maestro” della spiri- tualità mariana che conduce a Gesù Cristo e al suo Van- gelo.
Monfort viene scoperto non solo come attuale, ma come profetico per il futuro della Chiesa. Una Chiesa dello Spiri- to Santo, rinnovata e riformata alla scuola del Vangelo, nella quale Maria continuerà a formare i grandi Santi.
Grandi anime cristiane di sacerdoti, di suore e di laici, uo- mini e donne, si sono ispirate al Trattato per la propria vita spirituale e per operare grandi cose per Dio, nella Chiesa e nella società. Per rimanere vicini a noi, ricordiamo: Massi- miliano Kolbe, Giovanni Calabria, Silvio Gallotti, Annibale di Francia, Bartolo Longo, Luigi Orione, Giacomo Alberio- ne, Chiara Lubich, Madre Teresa di Calcutta e infine ma non ultimo il grande Apostolo della Divina Misericordia Papa Giovanni Paolo II (sarà per sua volontà che verrà istituita la festa della Divina Misericordia).
5 - LE 5 TAPPE
tappa finalizzata alla conoscenza di sé, all’accettazione dei propri limiti, al riconoscimento dei propri difetti e quindi al pentimento dei peccati.
Maria cooperatrice nel progetto salvifico di Dio.
la terza e la seconda tappa tendono ad una conoscen- za migliore di Maria e di Gesù: conoscenza che, per sua natura, dovrebbe portare a convinzioni profonde, ad assimilare ed interiorizzare i principi di fede a tal punto da segnare una svolta nella nostra vita. Per questo si suggerisce, a conclusione della tappa, di accostarsi al sacramento della penitenza. È questo un mese di purificazione per essere uomini nuovi in Gesù Misericordioso attraverso le mani di Maria.
Misericordia divina come distintivo del vero cristia- no.
Il percorso di Consacrazione dura 5 mesi con incontri più o meno a cadenza mensile.
L’incontro è un momento di condivisione sull’esperienza vis- suta durante la tappa, questi confronti sono fondamentali al fine di esporre eventuali difficoltà, dubbi, incertezze, paure, progressi personali e gioie vissute. Alla fine della condivi- sione si svolgerà la formazione per la tappa successiva.
La Consacrazione contempla la lettura del Diario di Santa Faustina Kowalska: il libro va letto, pregato, meditato.
È inoltre consigliata, al fine di conoscere in modo più ap- profondito l’ASSOCIAZIONE C.A.R.E.S. DIVINA MISERICORDIA O.D.V. e la spiritualità del nostro Fondatore Don Angelo Coronella, la lettura del Libro dei 10 anni.
Ogni tappa avrà uno schema di preghiera secondo il tema trattato. Alla fine del percorso di consacrazione ogni consa- crato porterà una medaglietta come simbolo di Consacra- zione a Gesù Misericordioso.
PRIMA TAPPA
LIBERARSI DALLO SPIRITO DEL MONDO
Per capire chi è lo spirito del mondo, e come liberarsi da esso è interessante leggere ciò che a tal proposito afferma Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exsul- tate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo:
N.159. Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intonti- sce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia. Nem- meno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussu- ria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male. Non ammettere- mo l’esistenza del diavolo se ci ostiniamo a guardare la vita solo con criteri empirici e senza una prospettiva sopranna- turale. Proprio la convinzione che questo potere maligno è in mezzo a noi, è ciò che ci permette di capire perché a volte il male ha tanta forza distruttiva. La sua presenza si trova nella prima pagina delle Scritture, che terminano con la vit- toria di Dio sul demonio. Di fatto, quando Gesù ci ha lascia- to il “Padre Nostro” ha voluto che terminiamo chiedendo al Padre che ci liberi dal Maligno. L’espressione che lì si utiliz- za non si riferisce al male in astratto e la sua traduzione più precisa è «il Maligno». Indica un essere personale che ci tor- menta. Gesù ci ha insegnato a chiedere ogni giorno questa liberazione perché il suo potere non ci domini.
L’invito alla conversione è presente in tutta la Bibbia, dalla predicazione dei profeti, che invitano continuamente il po- polo a “ritornare al Signore” chiedendogli perdono e cam- biando stile di vita a cambiare direzione di marcia e rivol- gersi di nuovo al Signore, basandosi sulla certezza che Egli ci ama e il suo amore è sempre fedele; a Gesù che ha fatto della conversione la prima parola della sua predicazione:
«Convertitevi e credete nel vangelo» (Mc 1,15).
Il tema della conversione viene spesso rimarcato da Papa Francesco che in occasione del giubileo straordinario della misericordia, all’udienza giubilare del 18 giugno 2016 dice:
Rispetto alla predicazione dei profeti, Gesù insiste ancora di più sulla dimensione interiore della conversione. In essa, infatti, tutta la persona è coinvolta, cuore e mente, per diventare una creatura nuova, una persona nuova. Cambia il cuore e uno si rinnova. Quando Gesù chiama alla conversione non si erge a giudice delle persone, ma lo fa a partire dalla vicinanza, dalla condivisione della condizione umana, e quindi della strada, della casa, della mensa...
La misericordia verso quanti avevano bisogno di cambiare vita avveniva con la sua presenza amabile, per coinvolgere cia- scuno nella sua storia di salvezza. Gesù persuadeva la gente con l’amabilità, con l’amore, e con questo suo comportamento Gesù toccava nel profondo il cuore delle persone ed esse si sentivano attratte dall’amore di Dio e spinte a cambiare vita...
e poi continua esortandoci:
Cari fratelli e sorelle, quante volte anche noi sentiamo l’esi- genza di un cambiamento che coinvolga tutta la nostra persona! Quante volte ci diciamo: “Devo cambiare, non posso continuare così...”. Quante volte vengono questi pensieri, quante volte!... E Gesù, accanto a noi, con la mano tesa ci dice: “Vieni, vieni da me. Il lavoro lo faccio io: io ti cambierò il cuore, io ti cambierò la vita, io ti farò felice”. Ma noi, crediamo in questo o no? Crediamo o no?... Gesù che è con noi ci invita a cambiare vita. È Lui, con lo Spirito Santo, che semina in noi questa inquie- tudine per cambiare vita ed essere un po’ migliori.
Seguiamo dunque questo invito del Signore e non ponia- mo resistenze, perché solo se ci apriamo alla sua misericordia, noi troviamo la vera vita e la vera gioia. Dobbiamo soltanto spalancare la porta, e Lui fa tutto il resto. Lui fa tutto, ma a noi spetta spalancare il cuore perché Lui possa guarirci e farci andare avanti. Vi assicuro che saremo più felici!
Coloro che si accostano a questo percorso, probabilmente, sono già in un cammino di conversione e vogliono intra- prendere un serio cammino spirituale, perché per grazia abbiamo fatto tutti in modo diverso, esperienza dell’amore di Dio, siamo interiormente spinti a corrispondere a questo amore che inizia a farci provare nuove sensazioni attraverso doni di conversione come: la contrizione per i nostri peccati passati (il dolore per aver offeso Dio); le lacrime di gioia (è il pianto della conversione, della guarigione del cuore, sono lacrime che sgorgano inarrestabili, lacrime di gioia nel sen- tirsi nuovamente accolti dalla Misericordia del Padre); sete di preghiera e più fervore nel pregare; nuovo atteggiamento di apertura verso Dio e verso il prossimo.
2.Siamo facili prede del seduttore
Don Gabriele Amorth nel suo libro Un esorcista racconta af- ferma che:
È impossibile comprendere l’opera redentrice di Cristo senza tener conto dell’opera disgregatrice di Satana. Satana era la creatura più perfetta uscita dalle mani di Dio, fornito di una riconosciuta autorità e superiorità sugli altri angeli e, lui pen- sava, su tutto quanto Iddio andava creando e che lui cercava di comprendere, ma che in realtà non capiva.
Tutto il piano unitario della creazione era orientato a Cristo: fino alla comparsa di Gesù nel mondo non poteva rivelarsi nella sua chiarezza. Di qui la ribellione di Satana, per voler conti- nuare ad essere il primo assoluto, il centro del creato, anche in opposizione al disegno che Dio stava attuando...
Non esagera S. Agostino ad affermare che se Satana avesse da Dio mano libera “nessuno di noi rimarrebbe in vita”. Non potendo ucciderci, cerca di renderci suoi seguaci, in opposizio- ne a Dio come lui si è opposto a Dio. Ecco allora l’opera del Salvatore. Gesù è venuto «per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8), per liberare l’uomo dalla schiavitù di Satana e in- staurare il Regno di Dio dopo aver distrutto il regno di Sata- na. Ma tra la prima venuta di Cristo e la Parusìa, la seconda venuta trionfale di Cristo come giudice, il demonio cerca di attirare dalla sua più gente che può; è una lotta che conduce da disperato, sapendosi già sconfitto e «sapendo che gli resta poco tempo» (Ap 12,12).
Perciò Paolo ci dice, con tutta franchezza, che «la nostra bat- taglia non è contro creature fatte di carne e di sangue, ma contro i principi, contro le potenze, contro i dominatori di
questo mondo oscuro, contro gli spiriti maligni i demoni delle regioni celesti» (Ef 6,12).
Preciso ancora che la Scrittura ci parla sempre di angeli e demoni qui in particolare mi riferisco a Satana, come esseri spirituali, sì, ma personali, dotati di intelligenza, volontà, li- bertà, intraprendenza.
Errano completamente quei teologi moderni che identificano Satana con l’idea astratta del male: questa è autentica eresia, ossia è in aperto contrasto con la Bibbia, con la patristica, con il magistero della Chiesa. Si tratta di verità mai impugnate in passato per cui prive di definizioni dogmatiche, tranne quella del IV concilio Lateranense: “Il diavolo ossia Satana e gli altri demoni per natura furono creati buoni da Dio; ma essi sono diventati cattivi per loro colpa”.
Chi toglie Satana toglie anche il peccato e non capisce più l’ope- rato di Cristo... Come fanno a capire l’opera di Cristo coloro che negano l’esistenza e l’attivissima opera del demonio? Come fanno a comprendere il valore della morte redentrice di Cristo? Sulla base dei testi scritturistici il Vaticano II afferma: “Cristo con la sua morte ci ha liberati dal potere di Satana” (SC 6); “Gesù crocifisso e risorto ha sconfitto Satana” (GS 2).
Sconfitto da Cristo, Satana combatte contro i di lui seguaci; la lotta contro “gli spiriti maligni continua e durerà - come dice il Signore -, fino all’ultimo giorno” (GS 37).
In questo tempo ogni uomo è posto in stato di lotta, essendo la vita terrena una prova di fedeltà a Dio. Perciò i “fedeli debbono sforzarsi di stare saldi contro gli agguati del demonio e tenergli fronte nel giorno cattivo...
Prima infatti di regnare con Cristo glorioso, finito l’unico corso della nostra vita terrena non esiste altra prova!, compariremo tutti davanti al tribunale di Cristo, per riportare ciascuno quello che fece nella sua vita mortale, o di bene o di male; e alla fine del mondo ne usciranno: chi ha operato il bene per la
risurrezione di vita; e chi ha operato il male per la risurrezione di condanna” (cfr LG 48).
Anche se questa lotta contro Satana riguarda tutti gli uomini di tutti i tempi, non c’è dubbio che in certe epoche della sto- ria il potere di Satana si fa sentire più forte, per lo meno a livello comunitario e di peccati di massa. Ad esempio, i miei studi sull’Impero Romano della decadenza mi fecero porre in risalto lo sfacelo morale di quell’epoca. Ne è fedele e ispirata testimonianza la Lettera di Paolo ai Romani.
Ora ci troviamo allo stesso livello, anche dovuto al cattivo uso dei mezzi di comunicazione di massa in se stessi buoni, oltre al materialismo e al consumismo che hanno avvelenato il mondo occidentale.
A tal fine lo stesso Padre Amorth continua raccontando di una profezia di Leone XIII, in seguito a una terribile vi- sione del diavolo. Da qui la nascita della preghiera a San Michele Arcangelo.
Come è nata questa preghiera? Trascrivo quanto pubblicò la
rivista Ephemerides Liturgicae, nel 1955, pag. 58-59.
P. Domenico Pechenino scrive: “Non ricordo l’anno preciso. Un mattino il grande Pontefice Leone XIII aveva celebrato la S. Messa e stava assistendone un’altra, di ringraziamento, come al solito. Ad un tratto lo si vide drizzare energicamen- te il capo, poi fissare qualche cosa al di sopra del capo del celebrante. Guardava fisso, senza batter palpebra, ma con un senso di terrore e di meraviglia, cambiando colore e lineamen- ti. Qualcosa di strano, di grande avveniva in lui. Finalmente, come rivenendo in sé, dando un leggero ma energico tocco di mano, si alza. Lo si vede avviarsi verso il suo studio privato. I familiari lo seguono con premura e ansiosi. Gli dicono som- messamente: Santo Padre, non si sente bene? Ha bisogno di qualcosa? Risponde: Niente, niente.
Dopo una mezz’ora fa chiamare il Segretario della Congrega- zione dei Riti e, porgendogli un foglio, gli ingiunge di farlo stampare e di farlo pervenire a tutti gli Ordinari del mondo. Che cosa conteneva?
La preghiera che recitiamo al termine della Messa insieme al popolo, con la supplica a Maria e l’invocazione al Principe delle milizie celesti, implorando Dio che ricacci Satana nell’inferno”. In quello scritto si ordinava anche di recitare tali preghiere in ginocchio.
Il card. Nasalli Rocca che, nella sua Lettera Pastorale per la
quaresima, emanata a Bologna nel 1946, scrive:
“Leone XIII scrisse egli stesso quella preghiera. La frase (i demoni) che si aggirano nel mondo a perdizione delle anime ha una spiegazione storica, a noi più volte riferita dal suo segretario particolare, mons. Rinaldo Angeli. Leone XIII ebbe veramente la visione degli spiriti infernali che si addensavano sulla città eterna (Roma); e da quella esperienza venne la pre- ghiera che volle far recitare in tutta la Chiesa.
Tale preghiera egli la recitava con voce vibrata e potente: la udimmo tante volte nella basilica vaticana. Non solo, ma scrisse di sua mano uno speciale esorcismo contenuto nel Rituale Ro- mano (edizione 1954, tit. XII, c. III, pag. 863 e segg.).
Questi esorcismi egli raccomandava ai vescovi e ai sacerdoti di recitarli spesso nelle loro diocesi e parrocchie. Egli lo recitava spessissimo lungo il giorno”.
Come si vede la presenza di Satana è stata tenuta presente con molta chiarezza dai Pontefici; papa Paolo VI nella So- lennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Giovedì 29 giugno 1972, aveva avvisato la Chiesa:
Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che “da qualche fessura sia en- trato il fumo di Satana nel tempio di Dio”.
C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’in- soddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esser- ne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce.
Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distac- cano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: “Non so, non sappiamo, non possiamo sapere”.
La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.
Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecu- menismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli.
Nella sua omelia Benedetto XVI all’udienza generale Aula Paolo VI, Mercoledì 13 febbraio 2013, ci dice come Gesù è stato tentato dal diavolo nel deserto e ci porta a riflettere su noi stessi:
Anzitutto il deserto, dove Gesù si ritira, è il luogo del silenzio, della povertà, dove l’uomo è privato degli appoggi materiali e si trova di fronte alle domande fondamentali dell’esistenza, è
spinto ad andare all’essenziale e proprio per questo gli è più facile incontrare Dio. Ma il deserto è anche il luogo della morte, perché dove non c’è acqua non c’è neppure vita, ed è il luogo della solitudine, in cui l’uomo sente più intensa la tentazione. Gesù va nel deserto, e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane (cfr Lc 4,1-13). Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sé la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione.
Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita?
Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù di cambia- re una pietra in pane per spegnere la fame. Gesù ribatte che l’uomo vive anche di pane, ma non di solo pane: senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare (cfr vv. 3-4).
Nella seconda tentazione, il diavolo propone a Gesù la via del potere: lo conduce in alto e gli offre il dominio del mondo; ma non è questa la strada di Dio: Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore (cfr vv. 5-8).
Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù di gettarsi dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme e farsi salvare da Dio mediante i suoi angeli, di compiere cioè qualcosa di sensazionale per mettere alla prova Dio stesso; ma la risposta è che Dio non è un oggetto a cui imporre le nostre condizioni: è il Signore di tutto (cfr vv. 9-12).
Qual è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù?
È la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri in- teressi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo.
Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? È Lui il Signore o sono io?
Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri in- teressi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo.
“Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Qua- resima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di ope- rare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio.
Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cul- tura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei.
Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti, sono tante, e toccano la vita personale e sociale. Non è facile essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesi- derata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie.
La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita.
Ai giorni nostri anche Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Gaudete et exsultate, ci ricorda che Satana non è un mito o un’idea:
N.161. Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappre- sentazione, un simbolo, una figura o un’idea. Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distrug- gere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre comunità, perché «come leone ruggente va in giro cercando chi divo- rare» (1Pt 5,8).
N.162. La Parola di Dio ci invita esplicitamente a «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11) e a fermare «tutte le frecce infuocate del maligno» (Ef 6,16). Non sono parole poetiche, perché anche il nostro cammino verso la santità è una lotta costante. Chi non voglia riconoscerlo si vedrà esposto al fal- limento o alla mediocrità. Per il combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazio- ne della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impe- gno missionario.
N.164. Il cammino della santità è una fonte di pace e di gioia che lo Spirito ci dona, ma nello stesso tempo richiede che stiamo con «le lampade accese» (cfr Lc 12,35) e rimaniamo attenti: «Astenetevi da ogni specie di male» (1Ts 5,22); «ve- gliate» (cfr Mc 13,35; Mt 24,42); non addormentiamoci (cfr 1Ts 5,6). Perché coloro che non si accorgono di commettere gravi mancanze contro la Legge di Dio possono lasciarsi andare ad una specie di stordimento o torpore. Dato che non trovano niente di grave da rimproverarsi, non avvertono quella tiepidezza che a poco a poco si va impossessando della loro vita spirituale e finiscono per logorarsi e corrompersi.
3. Dove si annida lo spirito del mondo?
In questa fase spiritualmente forte, i serpentelli dei vizi ca- pitali presenti nel cuore di ognuno sono come assopiti, dor- mono, storditi da questo cambiamento e dalla Grazia di Dio che fa breccia sempre più. Il padre dei serpentelli, il demo- nio, giustamente, non essendo molto contento della novità, prepara degli attacchi facendo leva su quei vizi verso i qua- li eravamo più tendenti, rincarando la dose per derubarci e spogliarci della Grazia ricevuta; e così scopriamo che il cammino di santità non è tutto “rose e fiori”, ma irto di spi- ne, di pietre aguzze e taglienti, proprio come la salita del monte Krizevàc!
Il Signore permette le nostre cadute perché noi possiamo toccare con mano le nostre fragilità e la nostra miseria, com- prendendo così che senza di lui non possiamo fare nulla.
Come ci dice il Catechismo della Chiesa Cattolica:
N.1865. Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni per- verse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta va- lutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice.
N.1866. I vizi possono essere catalogati in parallelo alle vir- tù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l’esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno.
Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l’avarizia, l’invidia, l’ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.
Dai 7 vizi capitali traggono origine e forza quasi tutti gli altri peccati ed è per questo che in questa tappa dobbiamo, con l’aiuto di Maria, individuare innanzitutto tra questi 7 peccati quali oscurano la luce della nostra anima e poi con umiltà chiedere a Maria di aiutarci a ripulire le nostre ani- me.
Superbia: radicata convinzione della propria superio- rità, reale o presunta, che si traduce in atteggiamento di altezzoso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri, e di disprezzo di norme, leggi, rispetto altrui. Il superbo ostenta sicurezza e cultura e sminuisce i meriti altrui.
Avarizia: scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede. Estremo contenimento delle spese non perché lo imponga la necessità, ma per il gusto di risparmiare fine a se stesso. L’avaro si sente un virtuoso e si descrive con aggettivi delicati ed equilibrati: prudente, attento, oculato, parco.
Lussuria: incontrollata sensualità, irrefrenabile desi- derio del piacere sessuale fine a se stesso, concupiscenza (è definita concupiscenza la brama di possesso e la de- bolezza della natura umana, soprattutto quella a sfondo sessuale, che porta l’uomo a commettere il peccato, di qualunque natura esso sia. Essa non è considerata un pec- cato quanto un’inclinazione verso il male, ed è considerata uno dei segni del peccato originale. Nel protestantesimo essa costituisce addirittura il peccato originale stesso, per cui l’uomo è già “condannato” alla nascita); lussurioso è anche chi si lascia rapire e cullare continuamente dalle fantasie sensuali.
Invidia: tristezza per il bene altrui percepito come male proprio. Per l’invidioso, la felicità altrui è fonte di personale frustrazione. Sminuisce i successi altrui e li at- tribuisce alla fortuna o al caso o sostiene che siano frutto di ingiustizia.
Gola: meglio conosciuta come ingordigia, abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola. Il peccato di gola non è solo la mera ingordigia o la smodata consumazio- ne di cibo, ma il lusso alimentare, la predilezione per la cucina raffinata, la propensione a cibarsi esclusivamente di pietanze pregiate e costose.
Ira: desiderio di vendicare violentemente un torto su- bito. L’ira non è l’occasionale esplosione di rabbia: diventa un vizio in presenza di un’estrema suscettibilità che fa sì che anche la più trascurabile delle inezie sia capace di scatenare una furia selvaggia.
Accidia: torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene, pigrizia, indolenza, infingardag- gine, svogliatezza, abulia.
4.Conferenza sulla lotta spirituale
(Dal Diario di Santa Faustina Kowalska)
“Il male, una volta che lo scegli, poi è lui che sceglie te”. Respingilo nel nome di Gesù e vincerai nel suo nome. Da
soli è dura, ma con lui la vittoria è sicura! Ecco i segreti che
Gesù ha rivelato a suor Faustina su come proteggersi dagli attacchi del demonio. Queste istruzioni sono diventate l’ar- ma di Faustina nella lotta contro il nemico maligno.
Gesù ha iniziato dicendo: “Figlia Mia, voglio istruirti sulla lotta spirituale”:
1. Non confidare mai in te stessa, ma affidati completa- mente alla Mia volontà
La fiducia è un’arma spirituale. La fiducia è parte dello scudo della fede che San Paolo menziona nella Lettera agli Efesini (6,10-17): l’armatura del cristiano. L’abbandono alla volontà di Dio è un atto di fiducia. La fede in azione dissipa gli spiriti negativi.
2. Nell’abbandono, nelle tenebre e nei dubbi di ogni genere ricorri a Me ed al tuo direttore spirituale, che ti rispon- derà sempre a Mio nome
In tempi di guerra spirituale, prega immediatamente Gesù. Invoca il suo Santo Nome, che è molto temuto nell’infra- mondo. Porta le tenebre alla luce dicendolo al tuo direttore spirituale o al tuo confessore e segui le sue istruzioni.
3. Non metterti a discutere con nessuna tentazione, chiu- diti subito nel Mio Cuore
Nel Giardino dell’Eden, Eva ha negoziato con il diavolo e ha perso. Dobbiamo ricorrere al rifugio del Sacro Cuore. Cor- rendo verso Cristo diamo le spalle al demoniaco.
4. Alla prima occasione rivelala al confessore
Una buona confessione, un buon confessore e un buon peni- tente sono una ricetta perfetta per la vittoria sulla tentazio- ne e sull’oppressione demoniaca.
5. Metti l’amor proprio all’ultimo posto, in modo che non contamini le tue azioni
L’amor proprio è naturale, ma dev’essere ordinato, libero dall’orgoglio. L’umiltà vince il diavolo, che è l’orgoglio per- fetto. Satana ci tenta all’amor proprio disordinato, che ci porta al mare dell’orgoglio.
6. Sopporta te stessa con molta pazienza
La pazienza è un’arma segreta che ci aiuta a mantenere la pace della nostra anima, anche nelle grandi tormente della vita. La pazienza con se stessi fa parte dell’umiltà e della fi- ducia. Il diavolo ci tenta all’impazienza, a che si ritorca con- tro noi stessi di modo che ci irritiamo. Guarda te stesso con gli occhi di Dio. Egli è infinitamente paziente.
7. Non trascurare le mortificazioni interiori
La Scrittura insegna che alcuni demoni possono essere espulsi solo con preghiera e digiuno. Le mortificazioni in- teriori sono armi di guerra. Possono essere piccoli sacrifici offerti con grande amore. Il potere del sacrificio per amore fa fuggire il nemico.
8. Giustifica sempre dentro di te l’opinione dei superiori e del confessore
Cristo parla a Santa Faustina che vive in un convento, ma tutti abbiamo persone con autorità sopra di noi. Il diavolo ha come obiettivo quello di dividere e conquistare, per cui l’umile obbedienza all’autentica autorità è un’arma spiritua- le.
9. Allontanati dai mormoratori come dalla peste
La lingua è uno strumento potente che può fare molto dan- no. Mormorare o spettegolare non è mai una cosa di Dio. Il diavolo è un bugiardo che suscita accuse false e pettego- lezzi che possono uccidere la reputazione di una persona. Rifiuta le mormorazioni.
10. Lascia che gli altri si comportino come vogliono, tu comportati come voglio Io da te
La mente di una persona è la chiave nella guerra spirituale. Il diavolo cerca di trascinare tutti. Ringrazia Dio e lascia che le opinioni altrui vadano per la loro strada.
11. Osserva la regola nella maniera più fedele
In questo caso Gesù si riferisce alla regola di un ordine reli- gioso. La maggior parte di noi ha fatto qualche voto davanti a Dio e alla Chiesa e dobbiamo essere fedeli alle nostre pro- messe, ovvero voti matrimoniali e promesse battesimali. Satana tenta all’infedeltà, all’anarchia e alla disobbedienza. La fedeltà è un’arma per la vittoria.
12. Dopo aver ricevuto un dispiacere, pensa a che cosa potresti fare di buono per la persona che ti ha procurato quella sofferenza
Essere un vaso di misericordia divina è un’arma per il bene e per sconfiggere il male. Il diavolo lavora sull’odio, sull’ira, sulla vendetta e sulla mancanza di perdono. Qualcuno ci ha danneggiato in qualche momento. Cosa gli restituiremo? Dare una benedizione spezza le maledizioni.
13. Evita la dissipazione
Un’anima che parla sarà più facilmente attaccata dal demo- nio. Effondi i tuoi sentimenti solo davanti al Signore. Ricor- da, gli spiriti buoni e cattivi ascoltano ciò che dici a voce alta. I sentimenti sono effimeri. La verità è la bussola. Il rac- coglimento interiore è un’armatura spirituale.
14. Taci quando vieni rimproverata
La maggior parte di noi è stata rimproverata in qualche oc- casione. Non abbiamo alcun controllo su questo, ma pos- siamo controllare la nostra risposta. La necessità di avere ragione tutto il tempo può portarci a tranelli demoniaci. Dio conosce la verità. Il silenzio è una protezione. Il diavolo può utilizzare la giustizia per farci inciampare
15. Non domandare il parere di tutti, ma quello del tuo direttore spirituale; con lui sii sincera e semplice come una bambina
La semplicità della vita può espellere i demoni. L’onestà è un’arma per sconfiggere Satana, il menzognero. Quando mentiamo, mettiamo un piede sul suo terreno, ed egli cer- cherà di sedurci ancor di più.
A nessuno piace essere sottovalutato, ma quando ci trovia- mo di fronte all’ingratitudine o all’insensibilità, lo spirito di scoraggiamento può essere un peso per noi. Resisti a qualsiasi scoraggiamento perché non proviene mai da Dio. È una delle tentazioni più efficaci del demonio. Sii grato in tutte le cose della giornata e ne uscirai vincitore.
17. Non indagare con curiosità sulle strade attraverso le quali ti conduco
La necessità di conoscere e la curiosità per il futuro sono una tentazione che ha portato molte persone alle camere oscure degli stregoni. Scegli di camminare nella fede. Deci- di di confidare in Dio che ti porta per la via che va al cielo. Resisti sempre allo spirito di curiosità.
18. Quando la noia e lo sconforto bussano al tuo cuore, fuggi da te Stessa e nasconditi nel Mio Cuore
Gesù offre una seconda volta lo stesso messaggio. Ora si riferisce alla noia. All’inizio del Diario, ha detto a Santa Fau- stina che il diavolo tenta più facilmente le anime oziose. Stai attento alla noia, è uno spirito di letargo o accidia. Le anime oziose sono facile preda dei demoni.
19. Non aver paura della lotta; il solo coraggio spesso spaventa le tentazioni che non osano assalirci.
La paura è la seconda tattica più comune del diavolo (l’orgo- glio è la prima). Il coraggio intimidisce il diavolo, che fuggi- rà davanti al coraggio perseverante che si trova in Gesù, la roccia. Tutte le persone lottano, e Dio è la nostra forza.
Gesù istruisce una suora in un convento a “combattere” con convinzione. Può farlo perché Cristo l’accompagna. Noi cri- stiani siamo chiamati a lottare con convinzione contro tut- te le tattiche demoniache. Il diavolo cerca di terrorizzare le anime, bisogna resistere al terrorismo demoniaco. Invocate lo Spirito Santo durante la giornata.
21. Non lasciarti guidare dal sentimento poiché esso non sempre è in tuo potere, ma tutto il merito sta nella vo- lontà
Tutto il merito si basa sulla volontà, perché l’amore è un atto della volontà. Siamo completamente liberi in Cristo. Dob- biamo compiere una scelta, una decisione per il bene o il male. In quale terreno viviamo?
22. Sii sempre sottomessa ai superiori anche nelle più piccole cose
Cristo qui sta istruendo una religiosa. Tutti abbiamo il Si- gnore come nostro Superiore. La dipendenza da Dio è un’ar- ma di guerra spirituale, perché non possiamo vincere con i nostri mezzi. Proclamare la vittoria di Cristo sul male fa parte del discepolato. Cristo è venuto a sconfiggere la morte e il male, proclamalo!
23. Non t’illudo con la pace e le consolazioni; preparati a grandi battaglie
Santa Faustina ha sofferto a livello fisico e spirituale. Era preparata a grandi battaglie per la grazia di Dio che l’ha sostenuta. Nelle Scritture Cristo ci istruisce chiaramente ad
essere preparati a grandi battaglie, a indossare l’armatura di Dio e a resistere al diavolo (Ef 6, 11). Stare attenti e discer- nere sempre.
24. Sappi che attualmente sei sulla scena dove vieni os- servata dalla terra e da tutto il cielo
Siamo tutti in un grande scenario in cui il cielo e la terra ci guardano. Che messaggio stiamo offrendo con la nostra forma di vita? Che tipo di tonalità irradiamo: luce, oscurità o grigio? Il modo in cui viviamo attira più luce o più oscu- rità? Se il diavolo non ha successo nel portarci all’oscurità, cercherà di mantenerci nella categoria dei tiepidi, che non è gradita a Dio.
25. Lotta come un valoroso combattente, in modo che Io possa concederti il premio. Non aver troppa paura, poiché non sei sola
Le parole del Signore a Santa Faustina possono diventare il nostro motto: lotta come un cavaliere! Un cavaliere di Cristo conosce bene la causa per la quale lotta, la nobiltà della sua missione, il re che serve, e con la certezza benedetta della vittoria lotta fino alla fine, anche a costo della vita. Se una giovane senza istruzione, una semplice suora polacca unita a Cristo, può lottare come un cavaliere, ogni cristiano può fare lo stesso. La fiducia è vittoriosa.
Lo Spirito Santo sarà il nostro Maestro. Dobbiamo lasciarci illuminare dallo Spirito Santo su ciò che ci tiene ancora schiavi, chiedere a Gesù che la sua Parola che è Verità ci renda liberi da tutti questi serpentelli che sono in noi.
In questa tappa rinunciamo a tutte le intenzioni e preghia- mo e offriamo a Maria tutte le nostre preghiere, digiuni e atti di rinuncia. Nel cammino di liberazione dallo spirito del mondo è opportuno offrire a Gesù e alla Madonna tutto ciò che facciamo, le preghiere, gli atti di rinuncia e di umil- tà.
Il valore delle nostre stesse opere, tutto andrà per le inten- zioni di Maria e secondo la spiritualità dell’associazione
C.a.r.e.s. Divina Misericordia O.D.V.. Certamente, ci risulte- rà difficile fare questo visto le urgenti necessità di preghie- ra per i nostri cari e per coloro che ne hanno bisogno, ma anche questa è una rinuncia che noi facciamo di noi stessi mettendoci completamente nelle braccia di Maria, in atto di totale abbandono alla Volontà di Dio.
Cercheremo di correggerci con: i Sacramenti, la Preghiera e il Digiuno.
La mentalità del mondo è di volere essere qualcuno, essere importante, poter comandare, fare bella figura, essere ricchi per mostrare che siamo persone che contano. Nel mondo si cerca di essere furbi e forti più degli altri. Gesù ci ha detto invece che ciò che conta è volersi bene, la carità, l’amore.
Perciò bisogna essere gli uni al servizio degli altri, dispo- nibili e capaci di trovare gioia in questo. Dobbiamo sapere accettare i nostri limiti, senza pretendere di fare tutto; ma
nello stesso tempo dobbiamo sapere di potere essere utili agli altri, nelle piccole cose di ogni giorno, nel consolare chi è in difficoltà, nell’incoraggiare sempre, nel non creare divi- sione, ma unità; nel saper vedere il Signore che opera nelle circostanze della vita.
Di fronte alla gioia degli altri, spesso lo spirito del mondo porta ad essere invidiosi. Invece dobbiamo ringraziare il Si- gnore nel vedere le buone qualità degli altri. Di fronte al do- lore chi non ha fede è tentato di ribellarsi, anche senza poter cambiare le cose. Il Vangelo ci insegna ad avere serenità, a pensare che Dio è per noi un Padre amoroso, che ci conduce per mano; non dobbiamo mai disperare ma prendere le cose ogni giorno con pazienza. A volte in questo modo possiamo migliorare la nostra situazione; altre volte il Signore ci dà la forza per sopportare queste sofferenze.
“Ènecessario lottare e stare in guardia davanti alle nostre inclina- zioni aggressive ed egocentriche per non permettere che mettano radici: “Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira”» (esortazione apostolica Gaudete et exsultate).
Gesù ci invita a impegnarci per vincere il male, senza la- sciarci scoraggiare se vediamo che occorre molto tempo e che non otteniamo subito i risultati che vorremmo, dobbia- mo avere fiducia che il Signore può aiutarci e vincere ogni forma di male.
Cerchiamo di togliere da noi quello che ci può essere ancora di mondano: desiderio di apparire, di imporci sugli altri, l’invidia, lo spirito di ribellione.
Non ci fa bene guardare dall’alto in basso, assumere il ruolo di giu- dici spietati, considerare gli altri come indegni e pretendere conti- nuamente di dare lezioni. Questa è una sottile forma di violenza.
San Giovanni della Croce proponeva un’altra cosa: “Sii più incli- nato ad essere ammaestrato da tutti che a volere ammaestrare chi è inferiore a tutti”. E aggiungeva un consiglio per tenere lontano il demonio: “Rallegrandoti del bene degli altri come se fosse tuo e cercando sinceramente che questi siano preferiti a te in tutte le cose. In tal modo vincerai il male con il bene, caccerai lontano da te il demonio e ne ricaverai gioia di spirito. Cerca di fare ciò special- mente con coloro i quali meno ti sono simpatici. Sappi che se non ti eserciterai in questo campo, non giungerai alla vera carità né farai profitto in essa” (esortazione apostolica Gaudete et exsultate).
Riponiamo fiducia nel Signore, sull’esempio della Santa Ver- gine, che non ha guardato a ciò che pensano gli altri, ma ha detto unicamente al Signore: «Eccomi, si faccia di me secondo la volontà di Dio».
Noi non siamo ciò che sembra, non siamo ciò che di noi ap- pare, dentro ciascuno di noi è celato un mondo inconscio e conscio. Ciò che di noi appare, è solo quello che vogliamo gli altri vedano di noi. Possiamo essere paragonati ad una bella stanza della nostra casa, la cucina-soggiorno per esempio, tenuta sempre linda e pulita in modo da poter dare un’im- pressione positiva su chi viene a trovarci. Ma se osserviamo bene, è una stanza che non mostra alcunché di personale, è asettica, spenta è impersonale.
Noi risultiamo essere un po’ così agli occhi degli altri, istin- tivamente mostriamo solo ciò che sappiamo possa piacere a chi ci sta di fronte, nascondendo abilmente il nostro mondo interiore, le nostre ferite, i nostri difetti, le nostre paure, i nostri limiti e i nostri scheletri, tutto è ben serrato negli ar- madi.
Quando si intraprende il percorso di consacrazione accade che per conoscere veramente chi siamo dobbiamo aprire quelle ante e tirare tutto fuori, accade un po’ come quando
si fanno le pulizie generali. Quando una donna decide di pulire a fondo la cucina non sposta gli oggetti, ma tira fuori tutto ciò che è contenuto negli armadi, certamente il risul- tato iniziale sarà davvero una gran confusione e disordine, poi però si inizia a buttare il vecchio e l’inutile per rimettere a posto solo ciò che serve.
Questo è ciò che faremo in questa tappa, conoscere chi sia- mo veramente, liberi da tutte quelle zavorre e da tutti quei pesi inutili che ci portiamo dietro e ci impediscono di vola- re alto.
Gesù vuole trasmetterci un grande insegnamento: Amiamo il nostro prossimo come noi stessi! Questo comandamento racchiude tutti gli altri e racchiude anche una grande sag- gezza.
Chi non ama se stesso non riuscirà mai ad amare veramente il suo prossimo. Dobbiamo quindi amarci, ma non per ciò che crediamo di essere ma, per ciò che siamo veramente con tutte le nostre miserie, i nostri difetti e i nostri limiti. Ma per amarci per ciò che siamo dobbiamo anche riconoscere chi siamo veramente.
La consacrazione nelle prime due tappe ci condurrà in que- sto meraviglioso viaggio all’interno di noi e in questo sare- mo costantemente accompagnati da Maria Santissima.
6. Pratichiamo l’umiltà
Dal Diario di Santa Faustina pag. 223:
Il reverendo Sopocko, confessore di Suor Faustina le consi- gliò:
Senza umiltà non possiamo piacere a Dio. Esercitati nel terzo grado dell‘umiltà, cioè non solo non ricorrere a spiegazioni e giu- stificazioni, quando ci rimproverano qualche cosa, ma rallegrarsi dell’umiliazione...
L’umiltà è la capacità di riconoscere ed indagare la verità su di sé, è quella virtù che ci porta a capire la nostra identità, i nostri limiti e la nostra forza, che ci permette di entrare in una vera relazione con gli altri.
I limiti vanno intesi come confini, oltre i quali c’è il pros- simo e Dio, mentre la forza va intesa come i diversi doni e carismi attraverso i quali mettersi al servizio del prossi- mo e di Dio, inconsciamente essere umili significa amare il prossimo come esperienza di vita, sentimentale, lavorativa e sociale, senza fare distinzione o disparità.
Come dice Papa Francesco:
L’umiltà può radicarsi nel cuore solamente attraverso le umiliazio- ni. Senza di esse non c’è umiltà né santità. Se tu non sei capace di sopportare e offrire alcune umiliazioni non sei umile e non sei sulla via della santità. La santità che Dio dona alla sua Chiesa viene mediante l’umiliazione del suo Figlio: questa è la via. L’umiliazione ti porta ad assomigliare a Gesù, è parte ineludibile dell’imitazione di Cristo: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1Pt 2,21). Egli a sua volta manifesta l’umiltà del Padre, che si umilia per camminare con il suo popolo, che sopporta
le sue infedeltà e mormorazioni (cfr Es 34,6-9; Sap 11,23-12,2; Lc 6,36). Per questa ragione gli Apostoli, dopo l’umiliazione, erano
«lietidiessere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (At 5,41). (Esortazione apostolica Gaudete et exsultate).
6.1L’insegnamento della Madonna.
Maria Santissima, scelta a diventare Madre del Figlio di Dio, si umiliò davanti all’Arcangelo Gabriele, che la salutava
«Piena di grazia». Quanta umiltà in queste parole: «Ecco la
serva del Signore! Si faccia di me secondo la tua parola!»
Iddio la sceglieva per Madre e lei si dichiarava serva! Quan- tunque umilissima, la Vergine sciolse un inno d’amore e di gratitudine al Signore riconoscendo la propria dignità.
La Madonna c’insegna che nell’umiltà possiamo riconosce- re in noi i doni di Dio e gioire di ciò, purché di tutto si dia gloria al Signore.
6.2I tre gradi dell’umiltà
1. Umiltà davanti a Dio: non dobbiamo mai confidare in noi stessi, come se fossimo qualche cosa davanti a Dio, stimandoci giusti. Gesù dice infatti; chiunque si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato.
2. Umiltà col prossimo: l’umiltà con gli altri si pratica pensando bene di tutti e scusando quelli che sbaglia- no; non mormorando dei difetti altrui, anzi soppor- tandoli con pazienza; trattando con rispetto e cortesia tutti, anche i poveri, i rozzi e gl’ignoranti; non usando parole sprezzanti coi dipendenti e persone di servizio; non disprezzando la compagnia di chi è di bassa con- dizione; finalmente, aiutando i bisognosi. Facendo così, si diventa amici di tutti e naturalmente si è stimati e lodati con disinteresse.
Ma come avere la forza di praticare l’umiltà in tal guisa? Te- nendo presente l’esempio di Gesù Cristo! Nelle umiliazioni pensiamo a Gesù quando era insultato, ingiuriato, sputac- chiato e preso a schiaffi dai perfidi Giudei. Se Gesù, Figlio di Dio, innocentissimo, sopportò tante e sì gravi umiliazioni, noi cristiani, essendo suoi seguaci, sforziamoci d’imitarlo come facevano i Santi e così troveremo il riposo per le ani- me nostre.
recitiamo ogNi giorNo
“Eccomi si faccia di me secondo la volontà di Dio” e “Totuus Tuus”.
esame di coscieNza
(da effettuare alla fine della prima tappa)
Amare se stessi
SECONDA TAPPA
Le ferite emozionali sono dei dolori che hanno causato trau- mi, esse inducono a portare una maschera con la quale pian piano ci si identifica. Le ferite secondo l’ottica cristiana sono feritoie dalle quali possiamo far entrare la luce di Dio che illuminandole le trasformerà in fonte di luce e di possibi- lità di miglioramento per ciascuno di noi. Illuminarle vuol dire anche portarle alla luce ovvero riconoscerle, guardarle e insieme all’aiuto di Maria superarle andando oltre a ciò che è stato e ha bloccato la nostra vita rendendoci ciò che non siamo. Dio ci aiuterà a trasformare le nostre incapacità in Talenti.
Queste 5 ferite sono: rifiuto, abbandono, ingiustizia, umi- liazione e tradimento. Esse ci impediscono di essere ciò che siamo davvero, sono i 5 principali condizionamenti della nostra esistenza.
Sono ferite invisibili dette anche dell’anima perché vanno a danneggiare la nostra parte emozionale e quindi il nostro comportamento e le nostre capacità relazionali. Partiamo dal presupposto che ogni stimolo esterno provoca un ‘emo- zione nell’anima. Un bambino amato e coccolato proverà amore ma questo è uno stimolo positivo, quando invece lo stimolo è negativo e quindi crea dolore o una sensazione destabilizzante per il bambino accade che non avendo le ca-
pacità e i mezzi giusti per difendersi da una situazione che provoca malessere il bambino inizia a “indossare” una ma- schera, è questo l’unico modo possibile per schermarsi dal dolore. Naturalmente tutto ciò avviene in modo inconscio per cui chi indossa delle maschere certamente non può rico- noscerle. Le maschere sono come delle corazze a protezione del nostro vero io ma come tutte le corazze se da una parte proteggono dall’altra non permettono di essere se stessi e di manifestarci per ciò che siamo veramente.
Purtroppo molte ferite emozionali sono provocate seppur inconsciamente dai genitori, quindi dal rapporto con la ma- dre e il padre. Partiamo sempre dal presupposto che anche i nostri genitori portano delle ferite emozionali a loro volta provocate dai loro genitori. Purtroppo i genitori passano ai figli tutto ciò che hanno ricevuto nel bene e nel male com- prese le loro maschere protettive, le loro ansie e le loro paure. Noi ripetiamo tutto ciò che abbiamo visto fare. Oltre a quel- lo che può essere chiamato imprinting dei genitori ci sono al- tre forme pensiero che influenzano i nostri comportamenti e provengono dal nostro albero genealogico, per esempio se tra i nostri parenti anche lontani c’è stato un divorzio, o un cosiddetto “parente scomodo” (detenuto, tossicodipendente, malato mentale); è certamente accaduto che in famiglia si sia discusso in modo più o meno animato con più o meno ansia e paura dell’argomento, ciò ha comunque creato delle forme pensiero che ci vanno ad influenzare. Altro fattore influenzante è tutto ciò che accade nel periodo prenatale, sappiamo ormai bene infatti che il feto percepisce e subisce tutti gli stati d’animo della madre.
Durante le varie esperienze in cui il bambino percepisce una qualche minaccia e prova una particolare sofferenza psichica ed emozionale, nasce in lui un imprinting (una regi- strazione) che viene chiamata “ferita emozionale”.
La diversa modalità con cui tale sofferenza viene percepita, dà luogo ad una specifica ferita emozionale. Lise Bourbeau nel suo libro Le 5 ferite e come guarirle le classifica così:
1) Rifiuto
Fra le ferite emozionali, quella del rifiuto ha forse le radici più antiche nella vita di un individuo, poiché può manife- starsi già nel grembo materno, come riconosciuto dalla Psi- cologia Prenatale. Nel caso in cui la madre, dopo aver sco- perto di essere rimasta incinta, esprima sia a livello verbale che emozionale la sua prima reazione di contrarietà, questa diviene quasi una sentenza di condanna emessa sul nasci- turo ed egli, a livello istintivo la percepisce ancor prima di affacciarsi sul mondo.
Nella percezione sottile del bambino, questo atteggiamento di rifiuto potrà essere interpretato come un rigetto assoluto e una minaccia alla sua stessa sopravvivenza, creando in lui le basi per una profonda angoscia esistenziale che lo ac- compagnerà per tutta la vita. Questa è considerata la ferita più profonda e la più difficile da riconoscere e da curare. È anche collegata al mancato imprinting tra mamma e figlio.
2) Abbandono
Questa ferita di solito è abbinata al rifiuto ma non neces- sariamente. Colpisce di solito i bambini che vengono lette- ralmente abbandonati dalla madre. È riscontrabile anche in bambini che hanno una regolare famiglia ma hanno subito un trauma collegato all’abbandono.
3) Umiliazione
Di solito si sviluppa dai due ai cinque anni ed è collegata quasi sempre alla vergogna di qualche parte del corpo e al controllo degli sfinteri.
Ferita emozionale collegata al genitore del sesso opposto e quindi al complesso di Edipo e di Elettra. Il bambino è gelo- so interiormente del partner del genitore e non lo manifesta, interiorizzando la ferita. I bambini che soffrono di questa ferita fissano l’attenzione sul mantenimento delle promesse.
5) Ingiustizia
Si manifesta tra i quattro e i sei anni, nei confronti del ge- nitore dello stesso sesso; ma poi si risveglia nell’età scolare quando il bambino si sente sottovalutato da una figura au- torevole. Nasce come conseguenza alle aspettative del genitore nei confronti del figlio.
2.Le maschere
Ogni ferita, a sua volta, è all’origine di un particolare mecca- nismo comportamentale di protezione, istintivo e automati- co, che ha lo scopo di evitare di rivivere quella stessa soffe- renza e che si attiva, durante tutta la nostra vita, ogni qual volta accade un evento che percepiamo e interpretiamo con un significato analogo a quello delle prime registrazioni.
Questi meccanismi comportamentali automatici sono quel- le che vengono definite MASCHERE. Nell’età adulta, queste “MASCHERE” si rivelano però limitanti per l’individuo in quanto fanno percepire una irreale vulnerabilità e lo intrap- polano, di conseguenza, in modalità relazionali ripetitive e vincolanti, che gli impediscono di maturare le sue piene potenzialità di adulto libero, consapevole e responsabile, in grado di relazionarsi con gli altri esseri umani in modo pro- fondo ed autentico.
Ma le maschere non si manifestano solo a livello psicologico, ma anche e soprattutto a livello fisico.
Le maschere non sono altro che la somatizzazione fisica della ferita non risolta. Lo spessore della maschera sarà pro- porzionale al grado della ferita. Ogni maschera corrisponde a una tipologia di persona dotata di un carattere ben defi- nito in quanto avrà sviluppato numerose credenze che ne influenzeranno gli atteggiamenti e il comportamento.
Ad ogni ferita emozionale corrisponde una specifica ma- schera visibile soprattutto a livello fisico, nei tratti somatici del viso e nella conformazione fisica.
- Alla ferita del RIFIUTO corrisponde la maschera del FUGGITIVO
- Alla ferita dell’ABBANDONO corrisponde la maschera del DIPENDENTE
- Alla ferita dell’UMILIAZIONE corrisponde la maschera del MASOCHISTA
- Alla ferita del TRADIMENTO corrisponde la maschera del CONTROLLORE
- Alla ferita dell’INGIUSTIZIA corrisponde la maschera del RIGIDO
Come le maschere si manifestano a livello fisico
Grazie alla Morfopsicologia, la disciplina che studia le relazioni tra la forma del viso e la conformazione del corpo con la personalità, secondo il principio per il quale il nostro viso e il nostro corpo sono la sede della nostra anima, è possibile interpretare le evoluzioni del nostro aspetto fisico come ri- flesso della nostra evoluzione interiore.
Il linguaggio della Morfopsicologia, efficace e agevole per- ché desunto dall’osservazione del viso e della conformazio- ne fisica, consente di capire se stessi e gli altri, comunicare meglio, instaurare relazioni più gratificanti, riconoscere e realizzare il proprio talento.
Vediamo ora in sintesi come le nostre maschere si manife-
stano a livello fisico:
Rifiuto – Fuggitivo
Abbandono – Dipendente
Umiliazione – masochista
Tradimento – Controllore
Ingiustizia – Rigido
3. “Papa Francesco Amoris Laetitia”: Il mon- do delle emozioni... e le vecchie ferite...
Alla luce di quanto abbiamo letto risuonano ancora più forti le parole di Papa Francesco, che nell’esortazione apostolica sull’amore nella famiglia Amoris Laetitia, si rivolge alle fami- glie alle difficoltà che in questa società attuale si riscontano, e parla anche di come le vecchie ferite ne siano la causa:
N.168. Ogni bambino che si forma all’interno di sua madre è un progetto eterno di Dio Padre e del suo amore eterno:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato» (Ger 1,5). Ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio, e nel mo- mento in cui viene concepito si compie il sogno eterno del Creatore. [...] Non è possibile una famiglia senza il sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, i bambini non crescono e l’amore non cresce, la vita si affie- volisce e si spegne ...
N.170. Alcuni genitori sentono che il loro figlio non arriva nel momento migliore. Hanno bisogno di chiedere al Si- gnore che li guarisca e li fortifichi per accettare pienamente quel figlio, per poterlo attendere con il cuore. È importante che quel bambino si senta atteso. L’amore dei genitori è stru- mento dell’amore di Dio Padre che attende con tenerezza la nascita di ogni bambino, lo accetta senza condizioni e lo accoglie gratuitamente. Il sentimento di essere orfani che sperimentano oggi molti bambini e giovani è più profondo di quanto pensiamo.
N.175. La madre, che protegge il bambino con la sua tene- rezza e la sua compassione, lo aiuta a far emergere la fidu- cia, a sperimentare che il mondo è un luogo buono che lo accoglie, e questo permette di sviluppare un’autostima che favorisce la capacità di intimità e l’empatia. La figura pater- na, d’altra parte, aiuta a percepire i limiti della realtà e si caratterizza maggiormente per l’orientamento, per l’uscita verso il mondo più ampio e ricco di sfide, per l’invito allo sforzo e alla lotta. Un padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo tratto verso la mo- glie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le cure materne. Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione del bambino...
... Ci sono persone che si sentono capaci di un grande amore solo perché hanno una grande necessità di affetto, però non sono in grado di lottare per la felicità degli altri e vivono rinchiusi nei propri desideri. In tal caso i sentimenti distol- gono dai grandi valori e nascondono un egocentrismo che non rende possibile coltivare una vita in famiglia sana e fe- lice. L’amore matrimoniale porta a fare in modo che tutta la vita emotiva diventi un bene per la famiglia e sia al servizio della vita in comune.
N.239. È comprensibile che nelle famiglie ci siano molte dif- ficoltà quando qualcuno dei suoi membri non ha maturato il suo modo di relazionarsi, perché non ha guarito ferite di qualche fase della sua vita. La propria infanzia e la propria adolescenza vissute male sono terreno fertile per crisi per- sonali che finiscono per danneggiare il matrimonio. Se tutti fossero persone maturate normalmente, le crisi sarebbero meno frequenti e meno dolorose. Ma il fatto è che a volte le persone hanno bisogno di realizzare a quarant’anni una maturazione arretrata che avrebbero dovuto raggiungere alla fine dell’adolescenza. A volte si ama con un amore ego- centrico proprio del bambino, fissato in una fase in cui la realtà si distorce e si vive il capriccio che tutto debba girare intorno al proprio io. È un amore insaziabile, che grida e piange quando non ottiene quello che desidera. Altre vol- te si ama con un amore fissato ad una fase adolescenziale, segnato dal contrasto, dalla critica acida, dall’abitudine di incolpare gli altri, dalla logica del sentimento e della fanta- sia, dove gli altri devono riempire i nostri vuoti o sostenere i nostri capricci.
N.240. Molti terminano la propria infanzia senza aver mai sperimentato di essere amati incondizionatamente, e que- sto ferisce la loro capacità di aver fiducia e di donarsi. Una relazione mal vissuta con i propri genitori e fratelli, che non è mai stata sanata, riappare, e danneggia la vita coniugale. Dunque bisogna fare un percorso di liberazione che non si è mai affrontato. Quando la relazione tra i coniugi non funzio- na bene, prima di prendere decisioni importanti, conviene assicurarsi che ognuno abbia fatto questo cammino di cura della propria storia. Ciò esige di riconoscere la necessità di guarire, di chiedere con insistenza la grazia di perdonare e di perdonarsi, di accettare aiuto, di cercare motivazioni positive e di ritornare a provare sempre di nuovo. Ciascuno dev’essere molto sincero con se stesso per riconoscere che il suo modo di vivere l’amore ha queste immaturità. Per quan- to possa sembrare evidente che tutta la colpa sia dell’altro, non è mai possibile superare una crisi aspettando che solo l’altro cambi. Occorre anche interrogarsi sulle cose che uno potrebbe personalmente maturare o sanare per favorire il superamento del conflitto.
4.I talenti
Nella vita spirituale è importante conoscere bene anche ciò che di bello c’è in noi stessi, altrimenti ci possiamo anche ingannare, illudere o non avere il coraggio di fare il bene perché pensiamo di non esserne capaci.
Ognuno di noi ha delle buone qualità. Non dobbiamo pen- sare di non valere nulla: il Signore ha fiducia in noi e ci vuole come suoi collaboratori. La vita di ciascuno infatti è preziosa agli occhi del Signore. Egli è andato in cerca della pecora smarrita; ha aspettato il ritorno del figlio che si era allontanato da casa.
Durante l’Angelus del 16 Novembre 2014, Papa Francesco in- vita i fedeli a tornare a casa, prendere il Vangelo e rileggere il versetto di Matteo sui talenti (Mt 25, 14-30) e a meditarlo.
L’uomo della parabola rappresenta Gesù, i servitori siamo noi e i talenti sono il patrimonio che il Signore affida a noi. Qual è il patrimonio? La sua Parola, l’Eucaristia, la fede nel Padre celeste, il suo perdono… insomma, tante cose, i suoi beni più preziosi.
Questo è il patrimonio che Lui ci affida. Non solo da custodire, ma da far crescere! Mentre nell’uso comune il termine “talento” indica una spiccata qualità individuale – ad esempio talento nella musica, nello sport, eccetera –, nella parabola i talenti rappresentano i beni del Signore, che Lui ci affida perché li facciamo fruttare. La buca scavata nel terreno dal «servo mal- vagio e pigro» (v. 26) indica la paura del rischio che blocca la creatività e la fecondità dell’amore. Perché la paura dei rischi dell’amore ci blocca. Gesù non ci chiede di conservare la sua grazia in cassaforte! Non ci chiede questo Gesù, ma vuole che la usiamo a vantaggio degli altri.
Tutti i beni che noi abbiamo ricevuto sono per darli agli altri, e così crescono. È come se ci dicesse: “Eccoti la mia misericordia, la mia tenerezza, il mio perdono: prendili e fanne largo uso”. E noi che cosa ne abbiamo fatto? Chi abbiamo “contagiato” con la nostra fede? Quante persone abbiamo incoraggiato con la nostra speranza? Quanto amore abbiamo condiviso col nostro prossimo? Sono domande che ci farà bene farci.
Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile, può diventare luogo dove far fruttificare i talenti. Non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla presenza e alla testimonianza cristiana. La testimonianza che Gesù ci chiede non è chiusa, è aperta, dipende da noi.
Questa parabola ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra vita, nelle relazioni, nelle situazioni concrete, come forza che mette in crisi, che purifica, che rinnova. Così pure il perdono, che il Signore ci dona specialmente nel Sacramento della Riconciliazione: non teniamolo chiuso in noi stessi, ma lasciamo che sprigioni la sua forza, che faccia cadere muri che il nostro egoismo ha innalzato, che ci faccia fare il primo passo nei rapporti bloccati, riprendere il dialogo dove non c’è più comunicazione… E così via.
Fare che questi talenti, questi regali, questi doni che il Signore ci ha dato, vengano per gli altri, crescano, diano frutto, con la nostra testimonianza. Il Signore non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo: ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti, in tutti c’è qualcosa di uguale: la stessa, immensa fiducia.
Dio si fida di noi, Dio ha speranza in noi! E questo è lo stesso per tutti. Non deludiamolo! Non lasciamoci ingannare dalla paura, ma ricambiamo fiducia con fiducia! La Vergine Maria incarna questo atteggiamento nel modo più bello e più pieno. Ella ha ricevuto e accolto il dono più sublime, Gesù in persona, e a sua volta lo ha offerto all’umanità con cuore generoso. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere “servi buoni e fedeli”, per partecipare alla gioia del nostro Signore.
Quali sono le nostre buone qualità, i nostri talenti?
Sensibilità, generosità, bontà, disponibilità, discrezione, amabilità, dolcezza, intelligenza, forza di volontà, senso dell’organizzazione, creatività, capacità di collaborare con gli altri, pazienza, perseveranza.
Cerchiamo di conoscere i talenti che Dio ci ha dato e che dobbiamo mettere a disposizione del prossimo. Possiamo farci aiutare a riconoscerli da chi ci conosce: il marito, la moglie, i figli, i genitori, gli amici, un sacerdote ecc… E con essi dobbiamo anche vedere i nostri difetti e limiti.
I difetti come l’essere arroganti, presuntuosi, violenti, su- perbi, distratti, egoisti, avidi si possono correggere se li rico- nosciamo e vi facciamo attenzione. Possiamo riuscirci con il tempo, senza pretendere di domarli subito , ma confidando nella misericordia del Signore, facendoci aiutare e pregan- do. I limiti non sono delle colpe, siamo fatti così e dobbiamo accettarli serenamente. Ne sono esempio: la poca salute, la paura, la timidezza, una grande emotività, la mancanza di fiducia in noi stessi, il poco senso pratico.
Non dobbiamo pretendere di fare ciò che veramente è al di là delle nostre possibilità. Questo ci ricorda che solo Dio è grande e che noi siamo poca cosa, ci mantiene nell’umiltà, ma anche nella fiducia e nell’abbandono a Dio, ci mette in relazione con l’altro e ci fa chiedere aiuto dove noi non sia- mo capaci e limitati.
La nostra natura umana è stata salvata da Gesù Cristo. Dob- biamo perciò credere che il Signore può compiere molte cose in noi, nonostante le debolezze e i limiti nostri.
Per mezzo nostro Egli può compiere meraviglie, senza che noi sappiamo come, perché Dio ci ama così come siamo, ma non ci lascia mai così come siamo! Ci cambia ci rende mi- gliori.
Alla luce dello Spirito Santo, quando facciamo esperienza di tale Amore, quando entriamo nel cuore della preghiera, al- lora scopriamo quanto grande sia la nostra miseria e quanto siamo bisognosi di misericordia e purificazione.
5. Il peccato
Attraverso gli articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica comprenderemo come nel nostro cammino di conversio- ne dobbiamo innanzitutto avere consapevolezza dei nostri peccati e come siamo indotti in tentazione.
N.1848. Come afferma san Paolo: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20). La grazia però, per compiere la sua opera, deve svelare il peccato per convertire il nostro cuore e accordarci «la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rm 5,21). Come un medico che esamina la piaga prima di medi- carla, Dio, con la sua Parola e il suo Spirito, getta una viva luce sul peccato:
La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell’azione dello Spirito di verità nell’intimo dell’uo- mo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell’elargi- zione della grazia e dell’amore: “Ricevete lo Spirito Santo”. Così in questo “convincere quanto al peccato” scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il Consolatore.
N.1849. Il peccato è una mancanza contro la ragione, la veri- tà, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito “una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna”.
N.1850. Il peccato è un’offesa a Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da lui i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare «come Dio» (Gn 3,5), conoscendo e de- terminando il bene e il male. Il peccato pertanto è “amore di sé fino al disprezzo di Dio”. Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza.
N.1. È proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omici- da, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliac- cheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbando- no dei discepoli. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del principe di questo mondo, il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribil- mente il perdono dei nostri peccati.
N.1. La diversità dei peccati
N.1852. La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La lettera ai Gàlati contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito: «Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisio- ni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le com- pie non erediterà il regno di Dio» (Gal5,19-21).
N.1853. I peccati possono essere distinti secondo il loro og- getto, come si fa per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per eccesso o per difetto, op- pure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si possono anche suddividere a seconda che riguardino Dio, il prossi- mo o se stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione. La radice del peccato è nel cuore dell’uomo, nella sua libera volontà, secondo quel che insegna il Signore:
«Dal cuore [...] provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo» (Mt 15,19-20). Il cuore è anche la sede della carità, principio delle opere buone e pure, che il peccato ferisce.
N.2. La gravità del peccato: peccato mortale e veniale
N.1854. È opportuno valutare i peccati in base alla loro gra- vità. La distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, già adombrata nella Scrittura, si è imposta nella Tradizione della Chiesa. L’esperienza degli uomini la convalida.
N.1855. Il peccatomortale distrugge la carità nel cuore dell’uo- mo a causa di una violazione grave della Legge di Dio; di- stoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beati- tudine, preferendo a lui un bene inferiore.
Il peccatovenialelascia sussistere la carità, quantunque la of- fenda e la ferisca.
N.1856. Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il prin- cipio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa del- la misericordia di Dio e una conversione del cuore, che nor- malmente si realizza nel sacramento della Riconciliazione:
«Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé con- traria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere morta- le [...] tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc. [...] Invece, quando la volon- tà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordi- ne, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo
– è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. –, tali peccati sono veniali» (cfr Mc 3,5-6; Lc 16,19-31).
N.1857. Perché un peccato sia mortale si richiede che concor- rano tre condizioni: “È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso”.
N.1858. La materia grave è precisata dai dieci comandamen- ti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: «Non ucci- dere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre» (Mc 10,19). La gravità dei peccati è più o meno grande: un omici- dio è più grave di un furto. Si deve tenere conto anche della qualità delle persone lese: la violenza esercitata contro i ge- nitori è di per sé più grave di quella fatta ad un estraneo.
N.1859. Perché il peccato sia mortale deve anche essere com- messo con piena consapevolezza e pieno consenso. Presuppone la conoscenza del carattere peccaminoso dell’atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica inoltre un consen- so sufficientemente libero perché sia una scelta personale. L’ignoranza simulata e la durezza del cuore non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono.
N.1860. L’ignoranza involontaria può attenuare se non annul- lare l’imputabilità di una colpa grave. Si presume però che nessuno ignori i principi della legge morale che sono iscritti nella coscienza di ogni uomo. Gli impulsi della sensibilità, le passioni possono ugualmente attenuare il carattere vo- lontario e libero della colpa; come pure le pressioni esterne o le turbe patologiche. Il peccato commesso con malizia, per una scelta deliberata del male, è il più grave.
N.1861. Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguen- za la perdita della carità e la privazione della grazia san- tificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la no- stra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili. Tuttavia, anche se possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio.
N.1862. Si commette un peccato veniale quando, trattandosi di materia leggera, non si osserva la misura prescritta dal- la legge morale, oppure quando si disobbedisce alla legge morale in materia grave, ma senza piena consapevolezza o senza totale consenso.
N.1863. Il peccato veniale indebolisce la carità; manifesta un affetto disordinato per dei beni creati; ostacola i progressi dell’anima nell’esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale; merita pene temporali. Il peccato veniale deliberato e che sia rimasto senza pentimento, ci dispone poco a poco a commettere il peccato mortale. Tuttavia il peccato veniale non rompe l’alleanza con Dio. È umanamente riparabile con la grazia di Dio. «Non priva della grazia santificante, dell’amicizia con Dio, della carità, né quindi della beatitu- dine eterna».
«L’uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quan- do resta nel corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a que- sti peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco con- to quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce riempiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la Confessione...».
N.1864. «Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata» (Mt 12,31). La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraver- so il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna.
N.3. La proliferazione del peccato
N.1865. Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni per- verse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta va- lutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice.
N.1866. I vizi possono essere catalogati in parallelo alle vir- tù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l’esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno. Sono chiama- ti capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l’avarizia, l’invidia, l’ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.
N.1867. La tradizione catechistica ricorda pure che esisto- no «peccati che gridano verso il cielo». Gridano verso il cielo: il sangue di Abele; il peccato dei Sodomiti; il lamento del popolo oppresso in Egitto; il lamento del forestiero, della vedova e dell’orfano; l’ingiustizia verso il salariato.
N. 8. Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo:
N.1869. Così il peccato rende gli uomini complici gli uni de- gli altri e fa regnare tra di loro la concupiscenza, la violenza e l’ingiustizia. I peccati sono all’origine di situazioni sociali e di istituzioni contrarie alla bontà divina. Le “strutture di peccato” sono espressione ed effetto dei peccati personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male. In un senso analogico esse costituiscono un «peccato sociale».
6. Lotta contro le tentazioni(Dal Compendio di Teologia Ascetica e Mistica)
N.900. Nonostante gli sforzi per sradicare i vizi, possiamo e dobbiamo aspettarci la tentazione.
Abbiamo infatti nemici spirituali, la concupiscenza, il mon- do e il demonio, che non cessano di tenderci insidie. Dob- biamo quindi trattare della tentazione, sia della tentazione in generale, sia delle principali tentazioni degl’incipienti.
N.901. La tentazione è una sollecitazione al male provenien- te dai nostri nemici spirituali.
N.902. Dio direttamente non ci tenta: “Nessuno dica, quan- do è tentato: è Dio che mi tenta, poiché Dio non è tentato al male né tenta”. Permette che siamo tentati dai nostri nemici spirituali, dandoci però le grazie necessarie per resistere: “[Fidelis est Deus qui non patietur vos tentari supra id quod po- testis, sed faciet etiam cum tentatione proventum] C’è un Dio è fedele, che non soffrirà che siate tentati sopra quello che si è in grado: ma farà anche con l’edizione tentazione”.
E ne ha ottime ragioni:
1) Ci vuole far meritare il paradiso. Avrebbe certo potuto concederci il cielo come dono; ma sapientemente volle che lo meritassimo come ricompensa.Vuole anzi che la ricompensa sia proporzionata al merito e quindi alla vinta difficoltà. Ora è certo che una delle difficoltà più penose è la tentazio- ne, che mette in pericolo la fragile nostra virtù.
Combatterla energicamente è uno degli atti più meritori; e quando, con la grazia di Dio, ne usciamo trionfanti, possiamo dire con S. Paolo che abbiamo combattuto il buon com- battimento e che altro non ci resta se non ricevere la corona di giustizia preparataci da Dio. L’onore e la gioia nel possederla sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà stata la fatica per meritarla.
2) N.903. La tentazione è pure un mezzo di purificazione:
Ecco perché Dio, quando vuole purificare un’anima per elevarla alla contemplazione, permette che subisca orribili tentazioni, come diremo trattando della via unitiva.
3) N.904. è poi un mezzo di spirituale progresso:
a)La tentazione è come una frustata che ci desta nel momento in cui stavamo per addormentarci e rat- tiepidirci; ci fa capire la necessità di non fermarci a mezzo il cammino, ma mirare più in alto, a fine di allontanare, più sicuramente ogni pericolo.
b) è pure una scuola d’umiltà, di diffidenza di sé: si capisce meglio la propria fragilità, la propria impo- tenza, si sente maggiormente il bisogno della grazia e si prega con più fervore. Si vede meglio la necessità di mortificare l’amore del piacere che è fonte di tentazioni, onde si abbracciano con maggior generosità le piccole croci quotidiane per smorzare l’ardore della concupiscenza.
c) è una scuola d’amore di Dio: perché uno, a più si- curamente resistere, si getta nella braccia di Dio per trovarvi forza e protezione; è riconoscente delle grazie che Dio gli concede; si comporta con lui come un fi- glio che, in ogni difficoltà, ricorre al più amante dei padri.
La tentazione ha dunque molti vantaggi ed è per questo che Dio permette che i suoi amici siano tentati: “Perché eri gradito a Dio, disse l’angelo a Tobia, fu necessario che la tentazione ti provasse; quiaacceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te”.
6.1. La psicologia della tentazione.
Descriveremo: la frequenza della tentazione, le varie fasi, i segni e i gradi del consenso.
1) N.905. Frequenza delle tentazioni.
La frequenza e la violenza delle tentazioni variano grande- mente: vi sono anime spesso e violentemente tentate; altre lo sono raramente e senza profonde scosse.
Molte cause spiegano questa diversità.
a) Prima di tutto il temperamento e il carattere: vi sono persone, facilissime ad appassionarsi e nello stesso tempo deboli di volontà, tentate spesso e dalla tenta- zione sconvolte; altre poi bene assestate ed energiche sono tentate di raro e in mezzo alla tentazione si serbano calme.
b) L’educazione porta altre differenze: vi sono anime educate nel timore e nell’amor di Dio, nella pratica abituale ed austera del dovere, che non ricevettero se non buoni esempi; altre invece furono allevate nell’amore dei piaceri e nel ribrezzo d’ogni patimento e videro troppi esempi di vita mondana e sensuale. È chiaro che le seconde saranno tentate più violentemente delle prime.
c) Bisogna anche tener conto dei disegni provvidenziali di Dio: vi sono anime da lui chiamate a santa voca- zione, la cui purità egli gelosamente preserva; ve ne sono altre da lui destinate pure alla santità, ma che vuol far passare per dure prove, onde rinsaldarne la virtù; altre infine che non chiama a vocazione così alta e che saranno tentate più spesso, benché mai al di sopra delle loro forze.
2) N.906. Le tre fasi della tentazione.
Secondo la dottrina tradizionale, esposta già da S. Agostino, nella tentazione vi sono tre fasi: la suggestione, la dilettazione, il consenso.
a) La suggestione consiste nella proposta di qualche male: la fantasia o la mente si rappresenta, in modo più o meno vivo, le attrattive dei frutto proibito; talvolta questa rappresentazione è molto seducente, assale con tenacia e diventa una specie d’ossessione. Per quanto pericolosa sia, la suggestione non è pecca- to, purché non sia stata volontariamente provocata e non vi si acconsenta; non vi è colpa se non quando la volontà vi da consenso.
b) Alla suggestione s’aggiunge la dilettazione: la parte inferiore dell’anima piega istintivamente verso il male suggerito e ne prova un certo diletto.
“Avviene molte volte, dice S. Francesco di Sales, che la parte inferiore si compiace nella tentazione senza il consenso, anzi a dispetto della parte superiore.
È la lotta descritta da S. Paolo quando dice che la carne ha desideri contrari allo spirito”.
Questa dilettazione della parte inferiore, finché la volontà non vi aderisce, non è peccato; ma è un pericolo, perché la volontà si trova così sollecitata a dar l’adesione; onde si pone l’alternativa: la volontà acconsentirà sì o no?
c) Se la volontà rifiuta il consenso, combatte la tenta- zione e la respinge, esce vittoriosa e fa atto molto meritorio.
Se invece si compiace nella dilettazione, vi prende volontario piacere e vi consente, il peccato interno è commesso.
Quindi tutto dipende dal libero consenso della vo- lontà, onde noi, per maggior chiarezza, indicheremo i segni da cui si può conoscere se e in quale misura si è acconsentito.
3) N.907. Segni di consenso.
A spiegar meglio questo punto importante, vediamo i segni di non consenso, di consenso imperfetto, di pieno consenso.
a) Si può tenere che non si è acconsentito, quando, non ostante la suggestione e l’istintivo diletto che l’accompagna, si prova disgusto e noia in vedersi così tentati; quando si lotta per non soccombere; quando nella parte superiore dell’anima si ha vivo orrore del male proposto.
b) Si può essere colpevoli in causa della tentazione, quando si prevede che questa o quell’azione, che possiamo evitare, ci sarà fonte di tentazioni: “Se so, dice S. Francesco di Sales, che una conversazione mi è causa di tentazione e di caduta, eppure ci vado di mia volontà; io sono indubbiamente colpevole di tutte le tentazioni che vi proverò”.Ma non si è allora, colpevoli che secondo la previ- sione, e se la previsione è stata vaga e confusa, la colpevolezza diminuisce in proporzione.
c) N.908. Il consenso si può giudicare imperfetto: Quando non si respinge la tentazione prontamente, appena se ne vede il pericolo; vi è colpa di impru- denza che, senza essere grave, espone al pericolo di acconsentire alla tentazione. Quando si esita un istante: si vorrebbe gustare un pochino il proibito diletto ma senza offendere Dio; ossia, dopo un momento di esitazione, si respinge la tentazione; anche qui è colpa veniale d’imprudenza. Quando non si respinge la tentazione che a metà: si resiste ma fiaccamente e imperfettamente; ora una mezza resistenza è un mezzo consenso: quindi colpa veniale.
d) N.909. Il consenso è pieno ed intero, quando la volontà, indebolita dalle prime concessioni, si lascia trascinare a gustare volontariamente il cattivo diletto nonostante le proteste della coscienza che riconosce che è male; allora, se la materia è grave, il peccato è mortale: è peccato di pensiero o di dilettazione morosa, come dicono i teologi. Se al pensiero si aggiunge il desiderio acconsentito, è colpa più grave. Se poi da desiderio si passa all’esecuzione, o almeno alla ricerca alla provvisione dei mezzi atti all’esecu- zione del proprio disegno, si ha peccato di opera.
N.910. Nei vari casi che abbiamo esposti, sorgono qualche volta dubbi sul consenso o sul semiconsenso dato.
Bisogna allora distinguere tra coscienze delicate e coscienze lasse; nel primo caso si giudica che non ci sia stato consenso, perché la persona di cui si tratta è solita a non acconsentire; mentre nel secondo caso si dovrà fare giudizio tutto contrario.
6.2. Il modo di comportarci nella tentazione
Per trionfare delle tentazioni e farle servire al nostro bene spirituale, occorrono tre cose principali:
prevenire la tentazione, vigorosamente combatterla, ringra- ziare Dio dopo la vittoria o rialzarsi dopo la caduta.
N.911. Prevenire la tentazione.
Conducendo i tre apostoli nell’interno del giardino degli Ulivi, Nostro Signore dice loro. «Vigilate e pregate onde non entriate in tentazione: vigilate et orate ut non intretis in tentationem»; vigilanza e preghiera: ecco dunque i due grandi mezzi a prevenire la tentazione.
1) N.912. Vigilare è fare la guardia attorno all’anima propria per non lasciarsi cogliere, essendo così facile soccombere in un momento di sorpresa!
Questa vigilanza include due principali disposizioni: la dif-
fidenza di sé e la confidenza in Dio.
a) Bisogna quindi evitare quella orgogliosa presunzione che ci fa gettare in mezzo ai pericoli col pretesto che siamo abbastanza forti da trionfarne. Fu questo il peccato di S. Pietro, che, mentre Nostro Signore prediceva la fuga degli apostoli, esclamò: «Se anche tutti si scandalizzassero, io mai». Bisogna invece rammentarsi che colui che crede di stare in piedi deve badare a non cadere: “Itaque qui se existimat stare, videat ne cadat”; perché se lo spirito è pronto, la carne è debole, e la sicurezza non si trova che nell’umile diffidenza della propria debolezza.
b) Ma bisogna pure schivare quei vani terrori che non fanno che accrescere il pericolo; da noi, è vero, siamo deboli, ma diventiamo invincibili in Colui che ci dà forza: “Fedele è Dio, che non permetterà che siate tentati oltre le forze, ma darà con la tentazione anche il modo di poterla sostenere”.
c) Questa giusta diffidenza di noi ci fa schivare le occa- sioni pericolose, per esempio quella compagnia, quel divertimento ecc., in cui l’esperienza ci mostrò che corriamo rischio di soccombere. Combatte l’oziosità, che è una delle occasioni più pe- ricolose, come pure quell’abituale mollezza che rilassa tutte le forze della volontà e la prepara a ogni specie di transazioni.
d) La vigilanza poi deve specialmente esercitarsi sul punto debole dell’anima, perché di là viene ordinariamente l’assalto. A fortificare questo lato vulnerabile, bisogna servirsi dell’esame particolare, che concentra l’attenzione, per un notevole tempo, su cotesto difetto, o meglio ancora sulla virtù contraria.
2) N.913. Alla vigilanza si aggiunga la preghiera.
N.914. Resistere alla tentazione.
Questa resistenza dovrà variare secondo la natura delle ten- tazioni.
Ce ne sono di quelle frequenti ma poco gravi: bisogna trat- tarle col disprezzo, come spiega sì bene S. Francesco di Sales.
“Quanto a quelle tentazioncelle di vanità di sospetti, di stiz- za, di gelosia, di invidia, di amorucci, e simili bricconerie, che, come le mosche e le zanzare, ci vengono a passare da- vanti agli occhi e ora ci pungono le guance, ora il naso... la migliore resistenza che si possa fare è di non affliggersene, perché sono tutte cose che non possono far danno, benché possano dar fastidio, a patto che si sia ben risoluti di voler servire Dio. Disprezzate quindi questi piccoli assalti e non vi degnate neppure di pensare che cosa vogliano dire, ma lasciatele ronzare intorno agli orecchi quanto vorranno, come si fa con le mosche”. Qui ci occupiamo soprattutto delle tentazioni gravi: è ne- cessario combatterle prontamente, energicamente, con costanza ed umiltà.
A) Prontamente, senza discutere col nemico, senza esitazione alcuna: sul principio, non avendo la tentazione preso ancora saldo piede nell’anima, è molto facile il respingerla; ma se aspettiamo che vi abbia messo radice, sarà assai più difficile. Quindi non fermiamoci a discutere; associamo l’idea del cattivo diletto a tutto ciò che vi è di più ripugnante, a un serpente, a un traditore che ci vuole sorprendere, e richia- miamo la parola della Sacra Scrittura: “Fuggi il peccato come dalla vista di un serpente; perché se ti lasci accostare, ti morderà: [quasia facie colubri fuge peccata] Fuggite dal peccato come da un serpente”. Si fugge pregando, e applicando intensamente ad altro la mente.
B) N.915. Energicamente, non fiaccamente e come a ma- lincuore, che sarebbe quasi un invito alla tentazione a ri- tornare; ma con forza e vigore, esprimendo l’orrore che si ha per cosiffatta proposta: “Via, brutto demonio, vade retro, Satana”. Si ha però da variare la tattica secondo il genere delle tenta- zioni: se si tratta di diletti seducenti, bisogna dare subito di volta e fuggire, applicando fortemente l’attenzione ad altra cosa che possa occuparci bene la mente - la resistenza diret- ta d’ordinario non farebbe che aumentare il pericolo.
Se si tratta invece di ripugnanza a fare il proprio dovere, di antipatia, di odio, di rispetto umano, spesso è meglio affrontare la tentazione, guardare francamente in faccia la difficoltà e ricorrere ai principi di fede per trionfarne.
C) N.916. Con costanza: talora infatti la tentazione, vinta per un momento, ritorna con nuovo accanimento, e il demo- nio conduce dal deserto sette altri spiriti peggiori di lui. A questa ostinazione del nemico bisogna opporre una non meno tenace resistenza, perché solo colui che combatte sino alla fine riporta vittoria.
Ma per essere più sicuri del trionfo, conviene palesare la tentazione al direttore.
È il consiglio che danno i Santi, specialmente S. Ignazio e
S. Francesco di Sales: “Notate bene, dice quest’ultimo che la prima condizione posta dal maligno all’anima che vuol se- durre, è il silenzio, come fanno quelli che vogliono sedurre le donne e le giovanette che, subito fin da principio, proibiscono di comunicare le proposte ai genitori o ai mariti; mentre Dio, nelle sue ispirazioni, richiede soprattutto che le facciamo riconoscere dai superiori e direttori”. Pare infatti che grazia speciale sia annessa a questa apertu- ra di cuore: tentazione svelata è mezzo vinta.
D) N.917. Con umiltà: è lei infatti che attira la grazia, e la grazia ci dà la vittoria. Il demonio che peccò per superbia, fugge davanti a un sincero atto d’umiltà; e la triplice concupiscenza, che trae la forza dalla superbia, è facilmente vinta quando con l’umiltà siamo riusciti, per così dire, a decapitarla.
N.918. Dopo la tentazione, bisogna guardarsi bene dall’esaminare troppo minuziosa- mente se si è consentito o no: è imprudenza che potrebbe ricondurre la tentazione e costituire un nuovo pericolo.
È facile del resto conoscere dal testimonio della coscienza, anche senza profondo esame, se si è rimasti vittoriosi.
A) Se si ebbe la ventura di trionfarne, si ringrazi di gran cuore Colui che ci diede la vittoria: è dovere di riconoscenza e il mezzo migliore per ottenere a suo tempo nuove grazie. Sventura agli ingrati che, attribuendo a sé la vittoria, non pensassero a ringraziarne Dio! Non tarderebbero molto a sperimentar la propria debolezza!
B) N.919. Chi invece avesse avuto la disgrazia di soccom- bere, non si disanimi: ricordi l’accoglienza fatta al figliuol prodigo e corra, come lui, a gettarsi ai piedi del rappresentante di Dio, gridando dal fondo del cuore: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di voi: non merito più d’essere chiamato vostro figlio. E Dio, che è anche più misericordioso del padre del prodigo, gli darà il bacio di pace e gli restituirà l’amicizia. Ma, a schivare le ricadute, il peccatore pentito si giovi del suo peccato per profondamente umiliarsi davanti a Dio, riconoscere la propria impotenza a fare il bene, mettere tutta la confidenza in Dio, diventare più circospetto schivando diligentemente le occasioni di peccato, e rifarsi alla pratica della penitenza. Un peccato così riparato non sarà ostacolo alla perfezione. Come giustamente nota Agostino, chi così si rialza diventa più umile, più prudente e più fervoroso: “[ex casu humiliores, cautiores, ferventiores]”.
7Le principali tentazioni degli incipienti
Gl’incipienti vanno soggetti ad ogni sorta di tentazioni pro- venienti dalle fonti che abbiamo indicate.
Ma ve ne sono alcune che li riguardano in modo più par- ticolare: le illusioni provenienti dalle consolazioni e dalle aridità; l’incostanza; la premura eccessiva; qualche volta gli scrupoli.
Illusioni degl’incipienti sulle consolazioni.
N.920. Il Signore ordinariamente concede consolazioni sen- sibili agl’incipienti per attirarli al suo servizio; poi per un tempo li priva al fine di provarne e rinsaldarne la virtù.
Or vi sono taluni che si credono già arrivati a un certo gra- do di santità quando hanno molte consolazioni; se poi esse vengono a cessare e cedono il posto alle aridità, si credono perduti.
A prevenire quindi nello stesso tempo la presunzione e lo scoraggiamento, conviene spiegare loro la vera dottrina sul- le consolazioni e sulle aridità.
Le consolazioni
1) N.921. Natura ed origine.
Le consolazioni sensibili sono dolci emozioni che toccano, la sensibilità e fanno gustare una viva gioia spirituale. Il cuore si dilata e batte allora più animatamente, il sangue circola con maggiore rapidità, radioso è il volto, la voce commos- sa, e la gioia si manifesta talora con le lacrime. Si distin- guono dalle consolazioni spirituali, concesse generalmente alle anime proficienti, consolazioni d’ordine superiore che operano sull’intelligenza illuminandola e sulla volontà atti- randola alla preghiera e alla virtù. Spesso però vi è un certo misto di queste due consolazioni, e quel che diremo può applicarsi così alle une come alle altre.
Queste consolazioni possono provenire da triplice fonte:
2) N.922. Vantaggi.
Le consolazioni hanno certamente la loro utilità:
3) N.923. Pericoli.
Ma hanno anche i loro pericoli queste consolazioni: eccita- no una specie di spirituale ghiottoneria, la quale fa che uno si affezioni più alle consolazioni di Dio che al Dio delle con- solazioni; cosicché, cessate che siano, si trascurano poi gli esercizi spirituali e i doveri del proprio stato; anzi, in quel- lo stesso momento che ne godiamo, la nostra devozione è tutt’altro che soda, perché, pur piangendo sulla Passione del Salvatore, gli rifiutiamo il sacrificio di questa o quell’amici- zia sensibile o di quella privazione!
Ora virtù soda non v’è che quando l’amor di Dio giunge
sino ad abbracciare il sacrificio.
“Vi sono molte anime che hanno di queste tenerezze e con- solazioni e che pure non lasciano d’essere molto viziose, che non hanno quindi alcun vero amor di Dio e tanto meno al- cuna vera devozione”.
Fomentano spesso la superbia sotto una forma o sotto un’al- tra:
si, quando invece bisognerebbe raddoppiare gli sforzi e progredire.
Per trarre profitto dalle divine consolazioni e schivare i pe- ricoli che abbiamo indicati, ecco le regole da seguire.
In questo senso la Chiesa ci fa chiedere, il giorno di Pentecoste, nella Colletta, la grazia della consolazione spirituale: “[et de ejus semper consolatione gaudere] Mi piace sempre il conforto della sua”.
È infatti un dono di Dio, che mira ad aiutarci nell’ope- ra della nostra santificazione: bisogna quindi stimarlo molto, e si può anche domandarlo, purché si stia ras- segnati alla santa volontà di Dio.
Soprattutto poi non vantiamocene, che sarebbe questo il miglior mezzo di perderle.
Ora Dio ce le concede, dice S. Francesco di Sales, “per renderci dolci con tutti e amorosi verso di lui.
La madre dà i confetti al figliolino perché la baci; baciamo dunque questo Salvatore che ci dà tante dolcezze.
Ora baciare il Salvatore vuol dire obbedirlo, osser- varne i comandamenti, farne la volontà, secondarne i desideri, insomma teneramente abbracciarlo con obbedienza e umiltà”.
Intanto, in cambio di voler prolungare con sforzata applicazione queste consolazioni, bisogna moderarle e attaccarsi fortemente al Dio delle consolazioni.
Delle aridità.
A rassodarci nella virtù, Dio è obbligato a mandarci di tan- to in tanto delle aridità; esponiamone: la natura; lo scopo provvidenziale e la condotta da tenere.
Le aridità sono una privazione delle consolazioni sensibili e spirituali che agevolavano la preghiera e la pratica delle virtù.
Nonostante sforzi spesso rinnovati, non si ha più gusto per la preghiera, vi si prova anzi noia e stanchezza, e il tempo pare molto lungo; la fede e la confidenza sembrano assopite e l’anima, in cambio di sentirsi svelta e lieta, vive in una specie di torpore: non si va più avanti se non per forza di volontà.
È questo certamente uno stato molto penoso, ma ha pure i suoi vantaggi.
Le aridità provengono talvolta dalle colpe nostre, onde biso- gna prima di tutto esaminare seriamente, ma senza affan- no, se non ne siamo responsabili noi.
Trovata la causa di queste aridità, bisogna umiliarsene e cercare di sopprimerla.
N.928. Se poi non ne siamo causa noi, conviene trarre buon partito da questa prova.
Il gran mezzo per riuscirvi è di persuaderci che servire Dio senza gusto e senza sentimento è cosa più meritoria che ser- virlo con molta consolazione.
Che basta volere amare Dio per amarlo, e che il più perfetto atto d’amore è poi quello di conformare la propria volontà a quella di Dio.
Per rendere quest’atto ancora più meritorio, non c’è di me- glio che unirsi a Gesù, il quale, nel giardino degli Ulivi, vol- le per amore nostro provare noia e tristezza, e ripetere con lui: «[verumtamen non mea voluntas sed tua fiat] Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta».
Soprattutto poi non bisogna disanimarsi mai, né diminuire gli esercizi di pietà, gli sforzi, le risoluzioni, ma imitare No- stro Signore che, immerso nell’agonia, pregava anche più a lungo: «[factus in agonia prolixius orabat] essendo in agonia, egli pregava vie più».
N.929. Consiglio al direttore.
Affinché questa, dottrina sulle consolazioni e sulle aridità sia ben capita dai diretti, bisogna tornarci sopra di frequen- te; perché essi credono pur sempre di far meglio quando tutto va a seconda dei loro desideri che quando si è costretti a remare contro corrente; ma a poco a poco si fa la luce e quando sanno non inorgoglirsi nelle consolazioni e non di- sanimarsi nelle aridità, molto più rapidi e costanti ne sono i progressi.
Quando un anima si dà a Dio e comincia a progredire nelle vie spirituali, viene sorretta dalla grazia di Dio, dall’attrat- tiva della novità e da un certo slancio verso la virtù che ap- piana molte difficoltà.
Ma viene il momento che la grazia di Dio ci è data sotto forma meno sensibile, che ci sentiamo stanchi di dover sem- pre rifare gli stessi sforzi, che lo slancio pare infranto dalla continuità degli stessi ostacoli.
Si è allora esposti all’incostanza e al rilassamento. Questa disposizione si manifesta:
genza, accorciandoli e trascurandoli;
Impossibile progredire con tali disposizioni: senza sforzo perseverante non si riesce a nulla.
N.931. Il rimedio.
Bisogna convincersi che l’opera della perfezione è opera di lunga lenta, che richiede molta costanza, e che quei soli che riescono si rimettono continuamente al lavoro con novello ardore, nonostante le parziali sconfitte che subiscono.
Così fanno gli uomini d’affari che vogliono riuscire, così pure deve fare ogni anima che vuol progredire.
Ogni mattino ella deve chiedersi se non potrebbe fare un po’ più e soprattutto un po’ meglio per Dio; e ogni sera deve attentamente esaminare se ha effettuato almeno in parte il programma del mattino.
Nulla giova meglio ad assicurare la costanza quanto la pra- tica fedele dell’esame particolare; concentrando l’attenzione su un dato punto, su una data virtù, e rendendo conto al confessore dei progressi fatti, si è sicuri di progredire, an- che quando non se ne avesse coscienza.
Molti incipienti, pieni di buona volontà, mettono un ardore e una premura eccessiva a lavorare alla propria perfezione, onde finiscono con lo stancarsi e spossarsi in sforzi inutili.
N.932. La causa principale di questo difetto è che si sostitu- isce la propria attività a quella di Dio: in cambio di riflettere prima di operare, di chiedere allo Spirito Santo i suoi lumi e seguirli, uno corre all’opera con ardore febbrile; in cambio di consultare il direttore, uno prima fa e poi gli presenta il fatto compiuto; onde molte imprudenze e molti sforzi per- duti, “[magnipassusextraviam] grande passo fuori strada”.
Spesso c’entra pure la presunzione: si vorrebbe fare dei sal- ti, uscire presto dagli esercizi della penitenza, e giungere subito all’unione con Dio; ma ahimè! sorgono molti ostacoli
imprevisti e uno si disanima, indietreggia e cade talora in colpe gravi.
Altre volte domina la curiosità: si cercano continuamente nuovi mezzi di perfezione, si provano per qualche tempo e presto si mettono da parte prima ancora che abbiano potuto produrre i loro effetti.
Si fanno sempre nuovi disegni di riforma per sé e per gli altri, dimenticando poi di metterli in pratica.
Il risultato più chiaro di questa attività eccessiva è la perdi- ta del raccoglimento interiore, l’agitazione e il turbamento, senza alcun serio vantaggio.
N.933. Il rimedio principale è di assoggettarsi con intera di- pendenza all’azione di Dio, di riflettere maturamente prima di operare, di pregare per ottenere i lumi divini, di consul- tare il direttore e stare alla sua risoluzione.
Come nell’ordine della natura non sono le forze violente quelle che ottengono i migliori effetti ma le forze ben re- golate, così, nella vita soprannaturale, non sono gli sforzi febbrili ma gli sforzi calmi e ben regolati che ci fanno pro- gredire: chi va piano va sano.
Ma per assoggettarsi così all’azione di Dio è necessario com- battere le cause di questa eccessiva premura:
Conviene dunque assalire uno dopo l’altro questi difetti con l’esame particolare, e allora Dio riprenderà il suo po- sto nell’anima e la guiderà con calma e dolcezza nei sentieri della perfezione.
In questa tappa apriamo più che mai il cuore allo Spirito Santo, senza paura di ciò che succederà, delle ferite e dei ri- cordi dolorosi della nostra vita che riporterà alla luce, perché il Signore ci vuole toccare, ci vuole guarire oggi, in questo momento e vuole fare di noi dei testimoni autentici del suo Amore, della sua Pace, della sua Misericordia. Chiediamo la conoscenza di noi stessi, per offrire tutto a Dio: le buone qualità, perché siano a servizio del bene, a vantaggio degli altri e non per il nostro interesse; e i limiti e i difetti, perché il Signore ci aiuti a superarli e ad accettarli con serenità. La santa Vergine, scrive san Luigi Maria ci presenta al Signore come su un vassoio d’oro; se ci sono difetti e debolezze, ella supplisce con la grazia che ci ottiene da Dio.
recitiamo ogNi giorNo
Sul libretto Piccolo Breviario dell’Associato recitare:
“Spirito di Dio fa che io possa conoscere me stesso” e “Totuus Tuus”.
esame di coscieNza
(da effettuare alla fine della seconda tappa)
Conoscere se stessi
cosa che mi espone alla brutta figura?
Buon lavoro, ricordati Gesù ti vede nel tuo segreto, ciò che
stai facendo e una opera di carità.
terza tappa
CONOSCERE LA SANTA VERGINE MARIA
“Volle il Padre delle misericordie che l’accettazione di colei che era predestinata a essere la Madre precedesse l’incarna- zione, perché così, come la donna aveva contribuito a dare la morte, la donna contribuisse a dare la vita”.
quella d’essere la madre di tutti i viventi. In forza di questa promessa, Sara concepisce un figlio nonostante la sua vec- chiaia. Contro ogni umana attesa, Dio sceglie ciò che era ritenuto impotente e debole per mostrare la sua fedeltà alla promessa: Anna, la madre di Samuele, Debora, Rut, Giu- ditta e Ester, e molte altre donne. Maria “primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da Lui la salvezza. Infine con Lei, la eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova economia”.
“La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salva- tore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale”.
di ogni altra persona creata, il Padre l’ha «benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo» (Ef 1,3). In lui l’ha scelta «prima della creazione del mondo, per essere» santa e immacolata «al suo cospetto nella carità» (Ef1,4).
Come dice sant’Ireneo, “obbedendo divenne causa della sal- vezza per sé e per tutto il genere umano”. Con lui, non po- chi antichi Padri affermano: “Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la Vergine Maria ha sciolto con la sua fede”, e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria “la Madre dei viventi” e afferma- no spesso: “La morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria”.
Così, sant’Ignazio di Antiochia (inizio II secolo): “Voi siete pienamente convinti riguardo a nostro Signore che è vera- mente della stirpe di Davide secondo la carne, Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, veramente nato da una Vergine; [...] veramente è stato inchiodato [alla croce] per noi, nella sua carne, sotto Ponzio Pilato. [...] Veramente ha sofferto, così come veramente è risorto”.
la vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14), secondo la versione greca di Mt 1,23.
in modo significativo come «l’altra Maria» (Mt 28,1). Si trat- ta di parenti prossimi di Gesù, secondo un’espressione non inusitata nell’Antico Testamento.
(Gv 3,34). «Dalla pienezza» di lui, capo dell’umanità redenta,
«noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Gv 1,16).
“Madre delle membra” (di Cristo), [...] perché ha cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali di quel Capo sono le membra”. “Maria, [...] Madre di Cristo, Madre della Chiesa”.
«La beata Vergine ha avanzato nel cammino della fede e ha conservato fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette ritta, soffrì profondamente col suo Figlio unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente con- senziente all’immolazione della vittima da lei generata; e fi- nalmente, dallo stesso Cristo Gesù morente in croce fu data come madre al discepolo con queste parole: «Donna, ecco il tuo figlio» (cfr 1Gv19,26-27)».
Ella è nostra Madre nell’ordine della grazia
[...] Per questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice”.
Il culto della santa Vergine
Maria - icona escatologica della Chiesa
“La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel cor- po e nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla ter- ra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino”.
In questa valle di lacrime ogni uomo è destinato a soffrire e ognuno deve sopportare i mali di ogni giorno. Ma quan- to sarebbe più tormentosa la vita se egli conoscesse anche i mali che lo affliggeranno in futuro! Troppo infelice, dice Seneca, sarebbe colui al quale toccasse questa sorte: “L’ani- ma ansiosa per il futuro è sventurata, misera prima delle miserie”.
Il Signore usa questa compassione con noi, di non farci ve- dere le croci che ci aspettano, affinché, se le abbiamo da pa- tire, almeno le patiamo una volta sola.
Ma non usò questa compassione con Maria, la quale ebbe sempre davanti agli occhi e patì continuamente tutte le pene che l’attendevano, riguardo la passione e morte del suo ama- to Gesù. Simeone nel tempio, dopo aver ricevuto il fanciullo divino tra le braccia, predisse a Maria che quel suo Figlio sa- rebbe stato il segno di tutte le contraddizioni e persecuzioni degli uomini: Egli è qui come segno di contraddizione; e perciò la spada del dolore le avrebbe trapassato l’anima: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc2,34-35).
Come fu rivelato a santa Teresa, la Madre benedetta sape- va già il sacrificio che si sarebbe compiuto della vita del Fi- glio per la salvezza del mondo, tuttavia allora conobbe in particolare e più distintamente le pene e la morte spietata che attendevano il povero Figlio. Conobbe che egli sarebbe stato contraddetto in tutto: contraddetto nella dottrina per-
ché, invece di essere creduto, sarebbe stato considerato un bestemmiatore nell’insegnare che egli era il Figlio di Dio, come lo dichiarò l’empio Caifa: «Ha bestemmiato... è reo di morte» (Mt 26,65-66).
Gesù sarebbe stato contraddetto nella stima, poiché egli che era di stirpe regale fu disprezzato come un villano: Non è costui il figlio del falegname? (Mt 13,55); non è costui il fale- gname, il figlio di Maria? (Mc 6,3). Egli era la stessa sapien- za e fu trattato da ignorante: Come mai costui conosce le Scritture senza avere studiato? (Gv 7,15); da falso profeta Lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: «Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?» (Lc 22,64). Trattato da paz- zo: «È fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?» (Gv 10,20); da ubriaco, ghiottone e amico dei cattivi: «Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori» (Lc7,34); da stregone: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni» (Mt9,34); da eretico e indemoniato: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un samaritano e un indemo- niato?» (Gv 8,48). Insomma Gesù fu stimato un uomo così scellerato e notorio, che non è necessario un processo per condannarlo, come a Pilato: «Se costui non fosse un malfat- tore, non te l’avremmo consegnato» (Gv18,30).
Contraddetto nell’anima, poiché anche il suo eterno Padre, per dar luogo alla divina giustizia, lo contraddisse non esaudendolo, quando egli lo pregò: «Padre mio, se è possibi- le, passi via da me questo calice» (Mt 26,39); e lo abbandonò in preda al timore, al tedio, alla mestizia, tanto che l’affitto Signore disse: «La mia anima è triste fino alla morte» (Mt 26,38); e per la pena interna giunse a sudare sangue vivo.
Contraddetto e perseguitato infine nel corpo e nella vita, mentre basta dire che fu straziato in tutte sue sacre mem- bra, nelle mani, nei piedi, nella faccia nella testa, e in tutto il
suo corpo, fino a morire di dolore dissanguato e svergogna- to sopra un legno infame.
Davide, in mezzo a tutte le delizie e grandezze regali, quan- do si sentì annunciare dal profeta Natan la morte del figlio (cfr 2Sam 12,14), non sapeva darsi pace: pianse, digiunò, dormì per terra. Maria con somma pace ricevette la notizia della morte del Figlio e con pace continuò a soffrirla, ma quale dolore ella doveva continuamente soffrire nel vedersi sempre davanti agli occhi l’amabile Figlio, nel sentirgli dire parole di vita eterna, nel vedere i suoi comportamenti così santi! [...]
La beata Vergine rivelò a santa Brigida che, nella sua vita ter- rena, non ebbe un’ora in cui questo dolore non la affliggesse. “Ogni volta, - le disse ancora- che contemplavo il Figlio mio, ogni volta che lo fasciavo, ogni volta che vedevo le sue mani e i suoi piedi, l’anima mia era presa in una nuova morsa di dolore, perché pensavo che sarebbe stato crocifisso”. L’abate Ruperto contempla Maria che, mentre allattava il Figlio, gli diceva: «L’amato mio è per me un fascetto di mirra: si ferma sul mio seno» (Ct1,13 Vg). Figlio mio, ti stringo tra le braccia perché mi sei tanto caro ma, pensando ai dolori che avrai, mi diventi un fascetto di mirra e di dolore. [...]
L’evangelista Luca dice che Gesù, crescendo in età, cresceva anche in sapienza e in grazia davanti a Dio e agli uomini (cfr Lc 2,52). [...] Ora, se Gesù cresceva nella stima e nell’amo- re davanti gli altri, ancor più cresceva agli occhi di Maria! E quanto più cresceva in lei l’amore, tanto più progrediva il dolore di doverlo perdere con una morte crudele; e quanto più si avvicinava il tempo della passione del Figlio, tanto più la spada di dolore predettale da Simeone trafiggeva con maggior pena il cuore della Madre. Se dunque Gesù nostro re e la sua Madre santissima per amore nostro non ricusarono di patire per tutta la vita una pena così atroce, non c’è motivo che noi ci lamentiamo quando soffriamo un poco.
Una volta Gesù crocifisso apparve a suor Maddalena Orsini, domenicana, mentre essa da molto tempo stava soffrendo una tribolazione, e le fece animo a stare con lui sulla croce. Suor Maddalena, lamentandosi rispose: “Signore, tu pena- sti sulla croce soltanto per tre ore, mentre io sopporto que- sta croce da diversi anni!”. Allora il Redentore riprese: “Che cosa dici? Non sai che io, fin dal primo istante di vita ho sofferto nel cuore quello che poi ho sofferto sulla croce?”
Quando dunque anche noi soffriamo qualche afflizione e ci lamentiamo, immaginiamoci che Gesù e la sua Madre Ma- ria ci dicano la stessa cosa.
Passiamo ora a considerare la seconda spada di dolore, che ferì Maria nella fuga in Egitto del suo bambino Gesù per la persecuzione di Erode.
Erode, avendo sentito che l’atteso Messia era nato, temet- te scioccamente che gli avrebbe tolto il regno. Perciò egli aspettava dai santi Magi la notizia sul luogo della sua nasci- ta, per togliergli la vita; e vedendosi deluso dai Magi, ordinò la morte di tutti i bambini di Betlemme e dintorni. A questo punto l’angelo apparve in sogno a Giuseppe e gli ordinò:
«Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egit- to» (Mt 2,13). Vuole il Gersone che subito nella stessa notte san Giuseppe ne diede l’avviso a Maria e, prendendo Gesù bambino, si misero in viaggio, come sembra che si ricavi chiaramente dallo stesso Vangelo: «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto» (Mt 2,1). Vedendo che Gesù, appena nato, era perseguitato l’afflitta Madre capi che già cominciava a verificarsi la profezia di Simeone: «Egli è qui segno di contraddizione» (Lc2,34).
Quale pena dovette essere per il cuore di Maria, scrive san Giovanni crisostomo, sentirsi intimare quel duro esilio in- sieme con il Figlio: “Fuggi dai tuoi e va’ verso un popolo straniero, lascia il tempio di Dio e recati nel paese degli ido- li. Quanto dolore per il neonato avvinto al collo della madre, e per la stessa madre, essere costretti a fuggire!”
Ciascuno può immaginare quanto patì Maria durante que- sto viaggio. La strada per giungere in Egitto era molto lun- ga. Gli autori sacri concordano con il Barrada che essa era di quattrocento miglia; sicché il viaggio fu di almeno trenta giornate. [...] Oh, quale compassione era vedere quella tene- ra ragazza con quel bambino appena nato in braccio andar fuggendo per questo mondo! [...]
Abitarono nell’Egitto, nell’antica Eliopoli, presso la città del Cairo. Consideriamo la grande povertà che dovettero ivi sopportare per sette anni Maria e Giuseppe, con il bambi- no Gesù. Erano forestieri, sconosciuti, senza rendite, senza denaro, senza parenti; appena arrivavano a sostentarsi con le loro povere fatiche: “Essendo poverelli - scrisse san Ba- silio - è chiaro che si procuravano il necessario per la vita con il continuo lavoro. Il vedere dunque Gesù e Maria an- dare fuggiaschi pellegrinando per questo mondo, c’insegna a dover anche noi vivere su questa terra da pellegrini, senza attaccarci ai beni che il mondo ci offre, che presto dobbiamo lasciare per andare all’eternità non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura (Eb 13,14). Al che soggiunge sant’Agostino: “Sei straniero, guarda e passa oltre”.
Di più c’insegna ad abbracciare le croci, poiché non si può vivere in questo mondo senza croce. A tal proposito la beata Veronica da Binasco, agostiniana, fu portata in spirito ad accompagnare Maria con Gesù bambino in questo viaggio d’Egitto, al termine del quale le disse la Divina Madre: “Figlia, hai visto con quanti stenti siamo giunti a questo paese; ora sappi che nessuno riceve grazie se non patisce”.
Fra i dolori più gravi sofferti dalla Madre di Dio vi fu questo che ora consideriamo, cioè quando ella smarrì il suo Figlio nel tempio. Chi nasce cieco, sente poco la pena di non poter vedere la luce del giorno; ma a chi un tempo ha avuto la vista e goduto della luce, troppo duro diventa poi con la cecità vedersene privo. Così parimenti quelle anime infelici che, accecate dal fango di questa terra, poco hanno cono- sciuto Dio, poco sentono la pena di non trovarlo. Chi invece, illuminato dalla luce celeste, è stato fatto degno di trovare, con l’amore, la dolce presenza del sommo Bene, troppo si dispiace quando se ne vede privato. Vediamo quindi quanto a Maria, che era abituata a godere continuamente la dolcis- sima presenza del suo Gesù dovette essere dolorosa questa terza spada, che la ferì quando, avendolo smarrito in Geru- salemme, per tre giorni se ne vide lontana.
Narra san Luca (Lc 2,44-52) che la beata Vergine, con il suo sposo Giuseppe e con Gesù, era solita ogni anno recarsi al tempio nella solennità della Pasqua. Quando il Figlio aveva dodici anni, al momento del ritorno Gesù rimase in Gerusa- lemme, ma lei non se ne accorse, perché credeva che fosse in compagnia degli altri. Perciò, dopo una giornata di viaggio, domandò del Figlio e non avendolo trovato ritornò subito a Gerusalemme per cercarlo, e lo trovò dopo tre giorni.
Ora pensiamo quale affanno doveva provare l’afflitta Madre in quei tre giorni in cui, come la sposa del Cantico, andava domandando dappertutto: Avete visto l’amore dell’anima mia? (Ct 3,3), e non ne aveva notizia. C’è chi dice che questo dolore di Maria fu il più grande ed acerbo di tutti, e non senza ragione.
Primo, perché Maria negli altri dolori aveva con sé Gesù. Ella patì nel vaticinio fattole da san Simeone nel tempio; patì nella fuga in Egitto, ma sempre con Gesù. In questo dolore, invece, patisce lontana da Gesù, senza sapere dove egli sia: luce degli occhi miei, ed egli non è con me (cfr Sal 37,11).
Quei tre giorni furono talmente lunghi per Maria che le parvero tre secoli. Furono giorni amari, senza che alcuno potesse consolarla.
In secondo luogo, degli altri dolori Maria ne capiva la causa e il fine, cioè la redenzione del mondo, la volontà divina. Ma in questo dolore non sapeva la causa della lontananza del Figlio. L’addolorata Madre soffriva quando vedeva Gesù appartato perché la sua umiltà le faceva credere di essere indegna di stargli vicino per assisterlo e aver cura di tanto tesoro. Poteva pensare tra sé: Chissà forse non l’ho servi- to come dovevo, forse Mi ha lasciato perché ho commesso qualche negligenza.
Lo cercavano, temendo che li avesse abbandonati scrive Ori- gene.
Di certo non c’è maggior pena per chi ama Dio, che il timore di averlo offeso. Per questo Maria in nessun altro dolore, fuorché in questo, si lamentò amorosamente con Gesù, dopo averlo ritrovato: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Con queste parole ella non volle riprendere Gesù, come bestemmiano gli eretici, ma volle solamente palesargli il dolore da lei pro- vato nella sua lontananza, per l’amore che gli portava. “Non era un rimprovero, dice il beato Dionigi Certosino, ma un amoroso lamento”. [...]
Questo dolore di Maria deve servire da conforto alle anime desolate che non godono più della dolce presenza del loro Signore. Piangano sì, ma piangano con pace, come Maria
pianse la lontananza del suo Figlio. E prendano animo a non temere, perciò, di aver perso la grazia divina, da ciò che Dio disse a santa Teresa: “Nessuno si perde senza conoscer- lo, e nessuno resta ingannato senza voler essere ingannato”. Il Signore si allontana dagli occhi di chi lo ama, ma non dal cuore. Si nasconde spesso per essere cercato con maggior desiderio e amore. Ma chi Vuol trovare Gesù, deve cercarlo non tra le delizie e i piaceri del mondo, ma tra le croci e le mortificazioni come lo cercò Maria: Angosciati, ti cercava- mo.
Impariamo da Maria a cercare Gesù.
Maria nella misura in cui amava il Figlio, con altrettanto do- lore lo vide patire, specialmente quando lo incontrò mentre andava con la croce verso il luogo del suo supplizio. Questa è la quarta spada di dolore, che ora consideriamo.
Quando era ormai vicina la passione del Signore, pensando all’amato Figlio che stava per perdere in questa terra, Maria aveva gli occhi sempre pieni di lacrime. Come lei stessa ri- velò a santa Brigida, un freddo sudore le andava scorrendo per le membra, a causa del timore che l’assaliva del vici- no spettacolo di dolore. Quando giunse il giorno destinato, Gesù, piangendo, venne a licenziarsi dalla Madre per anda- re alla morte. San Bonaventura, contemplando come Maria avesse trascorso quei momenti, così le dice: “Passasti la not- te insonne e, mentre gli altri dormivano, tu vegliasti”.
Al mattino i discepoli di Gesù vennero da questa afflitta Madre a portarle chi una notizia chi un’altra, ma tutte di dolore, avverandosi allora per lei il detto di Geremia: Pian- ge amaramente nella notte, le sue lacrime sulle sue guance.
«Nessuno la consola fra tutti i suoi» (Lam 1,2). Chi dunque veniva a riferirle i maltrattamenti fatti al suo Figlio nella casa di Caifa, chi i disprezzi da lui ricevuti da parte di Ero- de. Venne infine, - lascio tutto il resto per venire al nostro punto - venne san Giovanni e riferì a Maria che l’ingiustis- simo Pilato l’aveva condannato alla morte in croce.
“Madre addolorata - le disse Giovanni - tuo Figlio è stato condannato a morte ed è uscito portando egli stesso la croce per andare al Calvario”, come poi registrò nel suo Vangelo:
«Ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio» (Gv 19,17). “Vieni, se vuoi vederlo e dargli l’ultimo addio in qualche strada dalla quale dovrà passare”. Maria parte insieme con Giovanni e dal sangue di cui trovava aspersa la via, capiva che il Figlio era passato di là. Così ella rivelò a santa Brigida: “Dalle tracce di sangue del mio Figlio riconoscevo il suo passaggio: infatti più avanzava verso la mèta, più la terra era intrisa di sangue”. Medita san Bona- ventura che l’afflitta Madre, attraversando una strada più breve, si mise in un capo di via per incontrarsi con il Figlio che sarebbe passato di là. Fermatasi in quel luogo, Maria, dai Giudei che la conoscevano, quante parole dovette senti- re contro il caro Figlio, e forse quanti motteggi anche contro di lei! Ohimè, quale scenario di dolore fu per lei vedere gli strumenti funesti della morte del Figlio: i chiodi, le funi, che venivano portati! Quale spada fu per il suo cuore sentire la tromba che andava pubblicando la sentenza data al suo Gesù!
Maria alza gli occhi ed ecco: vede un giovane tutto pieno di sangue e di piaghe dal capo fino ai piedi, con un fascio di spine sulla testa, con due travi pesanti sulle spalle lo guarda e quasi non lo riconosce, come è detto in Isaia: «Lo guar- dammo ed era irriconoscibile» (Is 53,2 Vg). Infatti le ferite, i lividi, il sangue annerito lo facevano sembrare un lebbroso,
in modo che non si riconosceva più: «Lo credemmo un leb- broso... II suo volto era nascosto e sfigurato; perciò neppu- re lo prendemmo in considerazione» (Is 53,3 Vg). Alla fine l’amore glielo fa riconoscere. Quale fu allora, dice san Pietro d’Alcantara, l’amore e il timore del cuore di Maria! Da una parte desiderava vederlo, dall’altra rifiutava di vedere una figura così compassionevole. Alla fine si guardano: il Figlio, come fu rivelato a santa Brigida, togliendosi un grumo di sangue dagli occhi che gli impediva la vista, guardò la Ma- dre, la Madre guardò il Figlio. Ahì, sguardi di dolore, con cui come con tante saette furono trafitte queste due belle anime innamorate! Margherita, figlia di Tommaso Moro, quando incontrò per via il padre che andava alla morte, altro non poté dirgli che due volte: “O padre! O padre!” e cadde svenuta ai suoi piedi. Maria, alla vista del Figlio che andava al Calvario, non svenne, perché non era opportuno che questa Madre perdesse l’uso della ragione, come dice il padre Suarez; e neppure morì, perché Dio la conservava per un dolore ancora più grande; tuttavia dice sant’Anselmo, voleva abbracciarlo, ma i ministri con ingiuria l’allontana- no e spingono avanti l’addolorato Signore, e Maria lo segue. Vergine santa, vai verso il Calvario: come potrai sopportare di vedere pendere da un legno colui che è la tua vita? «La tua vita ti starà dinanzi come sospesa a un filo» (Dt 28,66). Tuttavia, nonostante che veder morire il suo Gesù abbia a costargli un dolore così acerbo, Maria non vuole lasciarlo: il Figlio avanza e la Madre gli va dietro per essere anch’essa crocifissa con lui.
San Giovanni Crisostomo scrive: “Abbiamo compassione perfino delle fiere”. Se vedessimo una leonessa seguire il suo leoncino condotto alla morte, ne avremmo compassio- ne. E non ci farà compassione vedere Maria che va dietro al suo Agnello immacolato condotto alla morte?
Compatiamola dunque e procuriamo anche noi di accom- pagnare il suo Figlio insieme con lei, portando con pazienza la croce che ci dà il Signore. San Giovanni Crisostomo si do- manda perché Gesù Cristo nelle altre pene volle essere solo, ma nel portare la croce volle essere aiutato dal Cireneo.E risponde: “Perché tu comprenda che la croce di Gesù Cri- sto non basta senza la tua”. La sola croce di Gesù non basta a salvarci, se noi non portiamo con rassegnazione la nostra fino alla morte.
Fermiamoci oggi sul Calvario a considerare la quinta spa- da, che trapassò il cuore di Maria nella morte di Gesù.
Quando il nostro affannato Redentore giunse sul monte, i carnefici lo spogliarono delle vesti, e piantando rozzi chiodi nelle mani e nei piedi, lo inchiodarono alla croce. Poi innal- zarono la croce e lo lasciarono morire così.
I carnefici lo abbandonano, ma non lo abbandona Maria. Allora ella si fece più vicina alla croce per assistere alla sua morte. Oddio, quale spettacolo di dolore doveva essere al- lora vedere questo Figlio agonizzare sulla croce, e sotto la croce vedere agonizzare questa Madre, che soffriva tutte le pene del Figlio! Ecco come Maria descrive a santa Brigida lo stato compassionevole del Figlio moribondo, quando lo vide sulla croce: “Il mio caro Gesù stava sulla croce affannato e agonizzante; gli si vedevano gli occhi affossati, semichiu- si e smorti; le labbra pendenti e la bocca aperta; le guan- ce smunte e attaccate ai denti, stirate le mascelle, affilato il naso, mesta la faccia. Gli si vedeva il capo abbandonato sul petto, i capelli neri di sangue, il ventre attaccato ai reni, le braccia e le gambe intirizzite, e il resto del corpo tutto pia- ghe e sangue”.
Tutte queste pene di Gesù erano anche di Maria, dice san Girolamo: “Quante furono le piaghe sul corpo di Cristo, tante furono le ferite nel cuore della Madre”. Chi dunque si fosse allora trovato sul Calvario, avrebbe visto due altari dove si consumavano due sacrifici: uno nel corpo di Gesù, l’altro nel cuore di Maria. Così scrive l’abate Arnaldo. Ma sembra meglio guardare la croce di Gesù come unico altare sul quale, insieme alla vittima, l’Agnello divino, viene sacri- ficata anche la Madre, il Figlio sacrificava il corpo, la Madre sacrificava l’anima, come scrive san Bernardino.
Le madri fuggono dalla presenza dei figli moribondi. Se poi una madre è costretta ad assistere un figlio che sta per morire, essa cerca di procurargli ogni sollievo possibile: gli accomoda il letto, perché stia in una posizione più comoda; gli rinfresca il viso e la bocca. Così la povera madre cerca di consolare il suo dolore. O Madre, più afflitta di tutte le madri o Maria, a te è imposto di assistere Gesù moribon- do, ma non ti è data la possibilità di offrirgli alcun sollievo. Maria sentì il Figlio dire: «Ho sete», ma non gli fu permesso di dargli un poco d’acqua per rinfrescare la sua sete. Non poté dirgli altro che questo: “Figlio, ho solo l’acqua delle lacrime”, come le fa dire san Vincenzo Ferreri. Vedeva che sopra quel letto di dolore il Figlio, appeso a tre chiodi di ferro, non trovava riposo, e avrebbe voluto abbracciarlo per dargli sollievo, o almeno per farlo spirare tra le sue braccia, ma non poteva. Vedeva il povero Figlio, che in quel mare di affanni cercava chi lo consolasse; ma chi voleva consolarlo, dal momento che tutti gli erano nemici? «Nel tino ho pigia- to da solo... Guardai nessuno mi aiutava osservai stupito: nessuno mi sosteneva» (Is 53,3.5). Anche sulla croce, alcuni lo bestemmiavano e deridevano: «Quelli che passavano di li lo insultavano, scuotendo il capo» (Mt27,39).
Altri gli dicevano in faccia: «Se tu sei Figlio di Dio scendi dalla croce (Mt 27,40). Altri: Ha salvato altri e non può sal- vare se stesso» (Mt 27,42). La beata Vergine a santa Brigida: “Intesi altri che dicevano che mio Figlio era un ladro; altri che era un impostore, altri che nessuno meritava la morte come lui; ed erano come altrettante spade di dolore”.
Ciò che maggiormente accrebbe il dolore di Maria e la com- passione verso il Figlio, fu il sentirlo sulla croce lamentarsi che anche l’eterno Padre lo aveva abbandonato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mt 27,46). Parole, come disse la divina Madre a santa Brigida, che non pote- rono mai più uscirle dalla mente per tutta la vita. Cosicché l’affitta Madre vedeva il suo Gesù addolorato da ogni parte. Voleva dargli sollievo, ma non poteva. Inoltre le dava pena il vedere che lei stessa con la sua presenza e dolore accresceva gli affanni del Figlio. La pena che riempiva il cuore di Maria si riversava sul cuore di Gesù, fino al punto che egli soffriva più per compassione della Madre, che per i suoi stessi do- lori, come dice san Bernardo, che così fa parlare la Vergine: “Stavo sotto la croce guardando lui, mentre lui guardava me e soffriva più per me che per se stesso”.
Scrive Simone da Cascia che tutti si meravigliavano nel ve- dere questa Madre stare in silenzio, senza lamentarsi nel suo grande dolore. Ma se Maria taceva con la bocca, non taceva con il cuore. Allora, infatti, offriva alla divina giusti- zia la vita del Figlio per la nostra salvezza. Per il merito dei suoi dolori, lei cooperò a farci nascere alla vita della grazia; perciò noi siamo figli dei suoi dolori. “Il Cristo, - dice Lan- spergio - volle che fosse presente la cooperatrice della nostra redenzione, che aveva stabilito di dare a noi come madre: doveva infatti generarci come figli ai piedi della croce”.
Se mai nel mare di amarezza del cuore di Maria entrò qual- che sollievo, questo era l’unico sollievo che allora la conso lava: sapere che per mezzo dei suoi dolori lei ci partoriva alla salvezza eterna, come Gesù stesso rivelò a santa Brigi- da: “Maria mia Madre, mediante la compassione e l’amore, divenne madre di tutti in cielo e in terra”. Infatti queste fu- rono le ultime parole con le quali Gesù si licenziò da lei pri- ma di morire, questo fu l’ultimo ricordo: lasciarle noi come suoi figli nella persona di Giovanni quando disse: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19,26). E fin da allora Maria cominciò a esercitare per noi l’ufficio di madre, e così ha continuato e continua sempre a farlo.
Con la morte del Figlio i dolori di Maria non sono ancora fi- niti. Infatti viene ferita da un’altra spada di dolore nel veder trapassare con una lancia il costato del Figlio già morto e nel tenere tra le braccia il suo corpo, deposto dalla croce. Con- sideriamo dunque il sesto dolore che afflisse questa povera Madre: Attenzione e lacrime. Finora i dolori hanno colpito Maria uno alla volta; ora sembra che vengano ad assalirla tutti insieme.
Una madre, appena si sente dire che suo figlio è morto, su- bito di accende nell’amore per lui. Per alleviare il dolore del- le madri che hanno perso un figlio, alcuni ricordano loro i dispiaceri da lui un tempo ricevuti. Ma io, Regina mia, se volessi in questo modo alleggerire il tuo dolore nella morte di Gesù, quale dispiacere da lui ricevuto potrei mai ricor- darti? Ah no, egli ti ha sempre amato, obbedito, rispettato. Ora l’hai perso: chi mai può spiegare il tuo dolore? Spiegalo tu che lo hai provato.
Quando il nostro Redentore mori, per prima cosa Maria accompagnò e presentò all’eterno Padre l’anima santissima
del Figlio. “Dio mio, dovette allora dire Maria, ti presen- to l’anima immacolata del Figlio tuo e mio, obbediente fino alla morte: ricevila fra le tue braccia. Ora la tua volontà si è compiuta, si è consumato il sacrificio di salvezza”. Poi, guar- dando il corpo morto del suo Gesù, disse: O piaghe d’amore, per mezzo vostro è stata data la salvezza al mondo. Voi re- sterete aperte nel corpo del mio Figlio per essere il rifugio degli uomini che ricorreranno a voi. Molti per mezzo vostro riceveranno il perdono dei peccati e arderanno d’amore per il sommo Bene!
Perché la festa del seguente sabato pasquale non fosse di- sturbata, i Giudei volevano che il corpo di Gesù fosse tolto dalla croce. Però i condannati non potevano essere deposti se non erano già morti.
Perciò vennero alcuni con delle mazze di ferro per spezzar- gli le gambe, come avevano fatto con i due ladri crocifissi. Mentre Maria sta piangendo, quegli uomini si avvicinano al Figlio. A tal vista Maria tremò per lo spavento e disse: “Mio Figlio è già morto: non maltrattatelo ancora e non maltrattate più anche me, povera madre!”. “Li supplicò per- ché non gli spezzassero le gambe”, scrive san Bonaventura. Mentre sta dicendo così, vede, oddio, un soldato che allunga con impeto una lancia, e con essa apre il costato di Gesù: Uno dei soldati gli colpi il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Al colpo della lancia tremò la croce, il Cuore di Gesù fu spezzato e ne uscì sangue e acqua. Erano rimaste poche gocce di sangue: il Salvatore volle spargere anche quelle, per farci capire che non aveva più sangue da donarci. L’ingiuria di questo colpo di lancia riguardò Gesù, ma il dolore fu di Maria dice il devoto Lanspergio. I santi Padri ritengono che la spada predetta alla Vergine da san Simeone fosse questa; spada non di ferro, ma di dolore che trapassò la sua anima benedetta nel cuore Gesù, dove lei
sempre abitava. Così dice, fra gli altri, san Bernardo: “La lancia che aprì il costato, vi ficcò l’anima della Vergine, così che di là non poteva più staccarsi”. E a santa Brigida la stessa divina Madre rivelò: “Ritraendo la lancia, apparve la punta rossa di sangue. Allora nel vedere il cuore del mio diletto Figlio trapassato, ebbi la sensazione che anche il mio fosse lacerato”. L’angelo disse a santa Brigida che i dolori di Maria furono tali, che allora non morì per miracolo divino. Negli altri dolori almeno aveva il Figlio che la compativa; ora qui non con ha neppure il Figlio che la compatisce.
L’Addolorata Madre, temendo che facessero altre ingiurie all’amato Figlio, prega Giuseppe di Arimatea di farsi con- segnare da Pilato il corpo del suo Gesù, affinché almeno morto avesse potuto proteggerlo e liberarlo dagli oltraggi. Giuseppe andò da Pilato ed espose il dolore e il desiderio di questa afflitta madre. Secondo sant’Anselmo, la compassio- ne della madre commosse Pilato e lo spinse a concederle il Corpo del Salvatore.
“Oh quante spade – dice san Bonaventura - ferirono l’anima di questa Madre quando le presentarono il Figlio tolto dalla croce!“ Si consideri la pena che proverebbe ogni madre nel vedersi davanti un figlio morto. Fu rivelato a santa Brigida che per deporre Gesù appoggiarono tre scale alla croce. I discepoli schiodarono prima le mani, poi i piedi (e i chiodi furono consegnati a Maria, come riferisce Metafraste). Poi, tenendo il corpo di Gesù uno da sopra, l’altro da sotto, lo calarono dalla croce. Bernardino de Bustis descrive l’afflitta Madre che si alza sulla punta dei piedi e, tendendo le brac- cia, riceve il caro Figlio, lo abbraccia e si siede sotto la croce. Vede la sua bocca aperta, gli occhi spenti; tocca le carni la- cerate, le ossa scoperte; gli toglie la corona e guarda la testa rovinata dalle spine; guarda le mani e i piedi trafitti e dice: “Figlio, come ti ha ridotto l’amore che hai portato agli uomini! Che male hai fatto loro, per essere maltrattato così?”. Tu mi eri padre, continua a farle dire Bernardino dei Bustis, tu eri per me fratello, sposo, mia gioia, mia gloria, tu per me eri tutto”. “Figlio, vedi come sono addolorata, guardami e consolami. Ma tu non mi guardi più. Parla, dimmi una pa- rola di consolazione; ma tu non parli più. O spine crudeli, chiodi, lancia spietata, come avete potuto tormentare così il vostro Creatore? Ma voi non ne avete colpa. O peccatori, esclamava, voi avete maltrattato così il Figlio mio!”.
Così diceva allora Maria, lamentandosi di noi. Se ora lei fos- se capace di dolore, cosa direbbe e quale pena sentirebbe nel vedere che gli uomini, dopo la morte del Figlio, conti- nuano a straziarlo e a crocifiggerlo con i loro peccati? Non tormentiamo più, dunque, questa addolorata Madre; e se in passato anche noi l’abbiamo afflitta con le nostre colpe, ora facciamo ciò che lei ci dice. Ecco cosa ci dice: “Peccatori, tor- nate al cuore ferito del mio Gesù; tornate pentiti, ed egli vi accoglierà”. “Tornate a lui - continua a parlarci per mezzo di Guerrico abate - da lui giudice a lui Redentore, dal tribunale alla croce”.
O uomo, continua a dire Maria, ecco il tuo tempo, il tempo dell’amore (Ez 16,8): ora che il mio Figlio è morto per salvarti non è più per te tempo di timore, ma di amore; tempo di amare chi, per dimostrarti il suo amore, ha voluto patire tanto. “Il cuore di Cristo fu ferito - dice san Bernardo - per- ché attraverso la ferita visibile si rendesse palese la ferita dell’amore invisibile”. Mio Figlio, conclude Maria per boc- ca di Giacomo di Milano, “ha voluto che gli fosse aperto il costato per darti il suo cuore”, perché tu, o uomo, gli doni il tuo. “E se voi, o figli di Maria, - dice Ubertino da Casale - volete trovar posto nel cuore Gesù, cercate di entrarvi in- sieme con Maria: ei otterrà questa grazia.
Quando una madre si trova presente al figlio che soffre, senza dubbio essa allora sente e soffre tutte le pene del fi- glio. Ma quando poi il tormentato figlio, già morto, sta per essere seppellito e l’afflitta madre deve accomiatarsi da lui, il pensiero di non poterlo più vedere è un dolore più forte di tutti gli altri dolori. L’ultima spada di dolore fu quando Maria, dopo aver assistito il Figlio sulla croce, dopo averlo abbracciato morto, dovette finalmente lasciarlo nel sepolcro col pensiero di non vederlo più e di non poter più godere della sua amata presenza.
Per meglio considerare quest’ultimo dolore, ritorniamo sul Calvario a contemplare l’afflitta Madre, che tiene ancora tra le braccia il Figlio morto.
I discepoli, temendo che la povera Madre spirasse per il dolore, si mossero a strapparle presto dal seno quel mor- to Figlio, per portarlo a seppellire. Con riverente violenza glielo tolsero dalle braccia e, imbalsamandolo con aromi, lo avvolsero nella sindone, sulla quale il Signore volle lasciare al mondo la sua immagine impressa, come si vede oggi a Torino.
Il corpo di Gesù viene portato a seppellire e cominciano le dolorose esequie. I discepoli se lo mettono sulle spalle, gli angeli del cielo a schiere lo accompagnano, le sante donne lo seguono e, insieme con esse, l’addolorata Madre accom- pagna il Figlio alla sepoltura. Giunti al luogo destinato, oh, quanto volentieri Maria si sarebbe seppellita viva insieme con il Figlio, come lei disse a santa Brigida. Ma siccome non era questa la volontà divina, lei accompagnò il corpo sacro- santo di Gesù nel sepolcro. Vi posero, come riferisce il Baro- nio, i chiodi e la corona di spine. Poi, alzando la pietra per chiudere il sepolcro, i discepoli del Salvatore si voltarono alla Vergine per dirle: “Suvvia, Signora, dobbiamo chiude- re il sepolcro. Abbi pazienza, guardalo per l’ultima volta e congedati da lui”. “Figlio mio diletto - dovette allora dire l’addolorata Madre - non potrò più vederti! Ricevi l’ultimo addio da me tua cara Madre e ricevi anche il mio cuore, che lascio sepolto con te”. Maria stessa rivelò a santa Brigida: “Posso dire con verità che, sepolto mio Figlio, i nostri due cuori furono come deposti in un unico sepolcro” [...) San Bonaventura ritiene che, nel ritorno, passando davanti alla croce ancora bagnata del sangue di Gesù, Maria fu la prima ad adorarla. “O santa croce - disse allora - io ti bacio e t’ado- ro, giacché ora non sei più legno infame, ma trono d’amore e altare di misericordia, consacrato dal sangue dell’Agnel- lo divino, che su di te è stato immolato per la salvezza del mondo”.
Lascia poi la croce e ritorna a casa. Qui giunta, l’affitta Ma- dre va girando gli occhi d’intorno e, non vedendo più il suo Gesù, le si presentano davanti agli occhi i ricordi della sua vita bella e della sua morte spietata. Ricorda gli abbracci dati al Figlio nella stalla di Betlemme, le conversazioni con lui per tanti anni nella bottega di Nazaret, gli affetti scambie- voli, gli sguardi amorosi, le parole di vita eterna uscite dalla sua bocca divina. Poi rivede la scena funesta di quel giorno: i chiodi, le spine, le carni lacerate del Figlio, le piaghe pro- fonde, le ossa spolpate, la bocca aperta, gli occhi oscurati. Ah, quale notte di dolore fu quella notte per Maria! Maria piange insieme a tutti quelli che stanno con lei. E tu, anima mia, non piangi? Rivolgiti e dille con san Bonaventura: “La- sciami piangere mia Signora, tu sei innocente, io colpevole”. Pregala di ammetterti a pregare insieme con lei: “fa’ che io pianga con te”.
Lei piange per amore, tu per il dolore dei tuoi peccati.
San Luigi Montfort ci invita a conoscere ciò che Dio ha asse- gnato a Maria nella storia della salvezza e quindi anche nel- la nostra storia, come persone in cammino verso Dio. Com- prendere e vivere Maria è uno dei doni più grandi che Gesù possa fare ad un’anima innamorata. Con Maria entriamo nel cuore del cristianesimo e di ogni devozione, con Maria siamo sicuri di non fare naufragio nella fede, con Maria ab- bracciamo il Cristo tutto intero, perché lei è Madre del suo corpo mistico. Maria è infatti Madre di Gesù, Figlio di Dio. Gesù è il capo del corpo mistico della Chiesa e il corpo sia- mo tutti noi che formiamo il popolo di Dio. Quindi se Gesù è il capo del corpo mistico Maria è anche Madre del corpo mistico quindi Madre della Chiesa e di tutti noi. Maria è quindi fonte di unità della Chiesa. Sotto la croce, assistiamo ad un dialogo toccante tra Gesù, sua madre e Giovanni, nel quale Gesù dice a Maria: “Ecco tuo Figlio”, e a Giovanni: “Ecco tua madre”. Giovanni è il discepolo amato dal Signore, egli rap- presenta ciascuno di noi. In Giovanni Gesù affida tutti noi, tutta la Chiesa, tutti i discepoli futuri, alla madre e la madre a noi. Ma chi è Maria? proviamo a conoscerla spiegando al- cuni delle denominazioni usate per lei nelle Litanie.
e Giuseppe ritrovano dopo 3 giorni Gesù che legge tra i dottori del tempio, Gesù sulla via della Croce, Gesù sulla Croce) ella resta in silenzio pur restando sempre alla sequela del Figlio, con il suo silenzio ri- mette nelle mani la sua volontà a quella di Dio.
S. Santo.
cioè ”la Nuova ed Eterna Alleanza”.
Dice il Montfort che possiamo paragonare la Vera Devozio- ne a Maria, ad un albero: l’albero della vita. Nel libro della Genesi il tentatore ha sedotto Adamo ed Eva invitandoli a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, che Dio aveva proibito mangiare perché frutto che dà la morte; nel Nuovo Testamento Dio ci invita a mangiare il Corpo di Gesù, frutto benedetto del seno di Maria, nuovo albero immacolato, albero della vita.
Maria è quindi la nuova Eva (Eva mangia il frutto proibi- to del bene e del male, Maria ci offre il frutto del suo seno Gesù che è l’albero della vita e che ogni giorno possiamo mangiarne nell’eucarestia). L’albero della vita però deve crescere in noi e affinché ciò avvenga l’albero ha bisogno di:
mai su se stessi e sulle proprie forze nè su miraco- losi interventi umani ma fidarsi solo dell’aiuto ma- terno di Maria.
N.1803. «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabi- le, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8).
La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tutte le proprie ener- gie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete:
“Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simili a
Dio”.
Le virtù umane
N.1804. Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell’intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e gui- dano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L’uomo virtuoso è colui che li- beramente pratica il bene.
Le virtù morali vengono acquisite umanamente. Sono i frutti e i germi di atti moralmente buoni; dispongono tutte le potenzialità dell’essere umano ad entrare in comunione con l’amore divino.
N.1805. Quattro virtù hanno funzione di “cardine”. Per questo sono dette “cardinali”; tutte le altre si raggruppano
attorno ad esse. Sono: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. «Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza» (Sap 8,7). Sotto altri nomi, queste virtù sono lodate in molti passi della Scrittu- ra.
La prudenza
N.1806. È la virtù che dispone la ragione pratica a discerne- re in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mez- zi adeguati per compierlo. L’uomo «accorto controlla i suoi passi» (Prv 14,15). «Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera» (1Pt4,7). La prudenza è la «retta norma dell’azio- ne», scrive san Tommaso sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta «auriga virtutum – cocchiere delle virtù»: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e mi- sura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.
La giustizia
N.1807. È la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata «virtù di religione». La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune. L’uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri Sacri, si distingue per l’abituale dirittura dei propri pensieri
e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo.
«Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giusti- zia» (Lv 19,15). «Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo» (Col 4,1).
La fortezza
N.1808. È la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa raffor- za la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende ca- paci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. «Mia forza e mio canto è il Signore» (Sal 118,14). «Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fidu- cia; io ho vinto il mondo» (Gv16,33).
La temperanza
N.1809. È la virtù morale che modera l’attrattiva dei piace- ri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore. La temperanza è spesso lodata nell’Antico Testamento: «Non seguire le pas- sioni; poni un freno ai tuoi desideri» (Sir 18,30). Nel Nuo- vo Testamento è chiamata «moderazione» o «sobrietà». Noi dobbiamo «vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt2,12).
«Vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, e con tutto il proprio agi- re. Gli si dà (con la temperanza) un amore totale che nessu- na sventura può far vacillare (e questo mette in evidenza la fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel ti- more di lasciarsi sorprendere dall’astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza)».
Le virtù e la grazia
N.1810. Le virtù umane acquisite mediante l’educazione, mediante atti deliberati e una perseveranza sempre rin- novata nello sforzo, sono purificate ed elevate dalla grazia divina. Con l’aiuto di Dio forgiano il carattere e rendono spontanea la pratica del bene. L’uomo virtuoso è felice di praticare le virtù.
N.1811. Per l’uomo ferito dal peccato non è facile conserva- re l’equilibrio morale. Il dono della salvezza fattoci da Cri- sto ci dà la grazia necessaria per perseverare nella ricerca delle virtù. Ciascuno deve sempre implorare questa grazia di luce e di forza, ricorrere ai sacramenti, cooperare con lo Spirito Santo, seguire i suoi inviti ad amare il bene e a stare lontano dal male.
N.1812. Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà dell’uomo idonee alla partecipazio- ne alla natura divina. Le virtù teologali, infatti, si riferisco- no direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino.
N.1813. Le virtù teologali fondano, animano e caratterizza- no l’agire morale del cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell’anima dei fe- deli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell’essere umano. Tre sono le vir- tù teologali: la fede, la speranza e la carità.
La fede
N.1814. È la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Chiesa ci propone da credere, perché egli è la stessa verità. Con la fede «l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente». Per questo il credente cerca di conoscere e di fare la volontà di Dio. «Il giusto vivrà mediante la fede» (Rm 1,17). La fede viva «opera per mezzo della carità» (Gal5,6).
N.1815. Il dono della fede rimane in colui che non ha peccato contro di essa. Ma «la fede senza le opere è morta» (Gc2,26). Se non si accompagna alla speranza e all’amore, la fede non unisce pienamente il fedele a Cristo e non ne fa un membro vivo del suo corpo.
N.1816. Il discepolo di Cristo non deve soltanto custodire la fede e vivere di essa, ma anche professarla, darne testimo- nianza con franchezza e diffonderla: «Devono tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguir- lo sulla via della croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa». Il servizio e la testimonianza della fede sono indispensabili per la salvezza: «Chi [...] mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò da- vanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32-33).
La speranza
N.1817. È la virtù teologale per la quale desideriamo il re- gno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spiri- to Santo. «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso» (Eb 10,23). Lo Spirito è stato «effuso da lui su di noi abbondan- temente per mezzo di Gesù Cristo, Salvatore nostro, perché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna» (Tt3,6-7).
N.1818. La virtù della speranza risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assu- me le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al regno dei cieli; salvaguarda dallo scorag- giamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall’egoismo e conduce alla gioia della carità.
N.1819. La speranza cristiana riprende e porta a pienezza la speranza del popolo eletto, la quale trova la propria ori- gine ed il proprio modello nella speranza di Abramo, colmato in Isacco delle promesse di Dio e purificato dalla prova del sacrificio. «Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli» (Rm4,18).
N.1820. La speranza cristiana si sviluppa, fin dagli inizi della predicazione di Gesù, nell’annuncio delle beatitudini. Le beatitudini elevano la nostra speranza verso il cielo come verso la nuova Terra promessa; ne tracciano il cammino at- traverso le prove che attendono i discepoli di Gesù. Ma per i meriti di Gesù Cristo e della sua passione, Dio ci custodi-
sce nella speranza che «non delude» (Rm 5,5). La speranza è l’«àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra [...]» là «dove Gesù è entrato per noi come precursore» (Eb 6,19-20). È altresì un’arma che ci protegge nel combattimen- to della salvezza: «Dobbiamo essere [...] rivestiti con la co- razza della fede e della carità, avendo come elmo la speran- za della salvezza» (1Ts 5,8). Essa ci procura la gioia anche nella prova: «Lieti nella speranza, forti nella tribolazione» (Rm12,12). Si esprime e si alimenta nella preghiera, in modo particolarissimo nella preghiera del Signore, sintesi di tutto ciò che la speranza ci fa desiderare.
N.1821. Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da Dio a coloro che lo amano e fanno la sua volon- tà. In ogni circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di perseverare sino alla fine e ottenere la gioia del cielo, quale eterna ricompensa di Dio per le buone opere com- piute con la grazia di Cristo. Nella speranza la Chiesa prega che «tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4). Essa anela ad essere unita a Cristo, suo Sposo, nella gloria del cielo:
“Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l’ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotte- rai, tanto più proverai l’amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in un’estasi che mai potranno aver fine”.
La carità
N.1822. La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.
N.1823. Gesù fa della carità il comandamento nuovo. Aman- do i suoi «sino alla fine» (Gv 13,1), egli manifesta l’amore che riceve dal Padre. Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l’amore di Gesù, che essi ricevono a loro volta. Per questo Gesù dice: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv15,9). E ancora:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12).
N.1824. La carità, frutto dello Spirito e pienezza della Leg- ge, osserva i comandamenti di Dio e del suo Cristo: «Rima- nete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore» (Gv 15,9-10).
N.1825. Cristo è morto per amore verso di noi, quando era- vamo ancora «nemici» (Rm5,10). Il Signore ci chiede di ama- re come lui, perfino i nostri nemici, di farci prossimo del più lontano, di amare i bambini e i poveri come lui stesso.
L’Apostolo san Paolo ha dato un ineguagliabile quadro del- la carità: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tie- ne conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4-7).
N.1826. Se non avessi la carità, dice ancora l’Apostolo, «non sono nulla». E tutto ciò che è privilegio, servizio, perfino vir- tù... senza la carità, «niente mi giova». La carità è superiore a tutte le virtù. È la prima delle virtù teologali: «Queste le
tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità» (1Cor13,13).
N.1827. L’esercizio di tutte le virtù è animato e ispirato dal- la carità. Questa è il «vincolo di perfezione» (Col 3,14); è la forma delle virtù; le articola e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica cristiana. La carità garantisce e purifica la nostra capacità umana di amare. La eleva alla perfezione soprannaturale dell’amore divino.
N.1828. La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. Egli non sta davanti a Dio come uno schiavo, nel timore servile, né come il mercenario in cerca del salario, ma come un figlio che cor- risponde all’amore di colui che «ci ha amati per primo» (1Gv 4,19):
“O ci allontaniamo dal male per timore del castigo e sia- mo nella disposizione dello schiavo. O ci lasciamo prendere dall’attrattiva della ricompensa e siamo simili ai mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l’amore di colui che comanda che noi obbediamo [...] e allora siamo nella dispo- sizione dei figli”.
N.1829. La carità ha come frutti la gioia, la pace e la miseri- cordia; esige la generosità e la correzione fraterna; è benevo- lenza; suscita la reciprocità, si dimostra sempre disinteres- sata e benefica; è amicizia e comunione:
«Il compimento di tutte le nostre opere è l’amore. Qui è il nostro fine; per questo noi corriamo, verso questa meta cor- riamo; quando saremo giunti, vi troveremo riposo».
N.1830. La vita morale dei cristiani è sorretta dai doni dello Spirito Santo. Essi sono disposizioni permanenti che rendo- no l’uomo docile a seguire le mozioni dello Spirito Santo.
N.1831. I sette doni dello Spirito Santo sono la sapienza, l’in- telletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio. Appartengono nella loro pienezza a Cristo, Figlio di Davide. Essi completano e portano alla perfezione le virtù di coloro che li ricevono. Rendono i fedeli docili ad obbedire con prontezza alle ispirazioni divine.
«Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana» (Sal 143,10).
«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. [...] Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm8,14.17).
2. I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come primizie della gloria eterna. La tradizione della Chiesa ne enumera dodici: «amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità» (Gal 5,22-23 Vg).
S. Alfonso Maria de Liguori nel suo libro Le Glorie di Maria
scrive delle virtù di Maria Santissima.
Maria, la regina dei santi e la nostra prima avvocata, dopo aver sottratto un’anima dagli artigli di Lucifero e averla uni- ta a Dio, vuole che quest’anima cerchi d’imitarla, altrimenti non potrà arricchirla delle sue grazie come vorrebbe, ve- dendola contraria ai suoi comportamenti. Perciò la Vergine chiama beati quelli che imitano diligentemente la sua vita:
«Ora, figli, ascoltatemi: beati quelli che seguono le mie vie!»
(Prv 8,32).
Chi ama, o è simile o cerca di rendersi simile alla perso- na amata, secondo il celebre proverbio: «L’amore trova o fa uguali». Perciò san Girolamo ci esorta dicendo che se noi amiamo Maria, dobbiamo cercare d’imitarla, perché questo è il maggiore omaggio che possiamo offrirle [...]
In quanto poi alle virtù di questa Madre, anche se i Vangeli non ne riportano molti dettagli, tuttavia, dato che vi si dice che fu piena di grazia, comprendiamo facilmente che Maria ebbe tutte le virtù e tutte in grado eroico.
San Tommaso dice: “Ciascuno degli altri santi ha primeg- giato in una virtù particolare: uno fu soprattutto casto, un altro fu soprattutto umile, un altro fu soprattutto miseri- cordioso. Ma la beata Vergine ci è stata data come esempio di tutte le virtù”. E poiché, come insegnano i santi padri, l’umiltà è il fondamento di tutte le virtù, vediamo in primo luogo quanto fu grande l’umiltà della Madre di Dio.
L’umiltà di Maria
“L’umiltà è fondamento e custode delle virtù”, dice san Ber- nardo, e con ragione. Senza umiltà, infatti, non vi può es- sere alcun’altra virtù in un’anima. Anche se essa possiede tutte le virtù, tutte verranno meno se viene meno l’umiltà. Al contrario, come san Francesco di Sales scrisse alla beata suor Giovanna di Chantal, Dio ama tanto l’umiltà, che su- bito accorre dove la vede. Questa bella virtù così necessaria era sconosciuta nel mondo, ma il Figlio stesso di Dio ven- ne ad insegnarla sulla terra con il suo esempio e volle che specialmente in essa noi cercassimo d’imitarlo: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Come fu la prima e più perfetta discepola di Gesù Cristo in tutte le virtù, così Maria lo fu anche nell’umiltà, per cui meritò di essere esaltata sopra tutte le creature. Fu rivelato a santa Matilde che la prima virtù esercitata dalla Vergine fin dalla fanciullezza fu l’umiltà.
Il primo atto dell’umiltà di cuore è avere un basso concetto di sé. Maria ebbe sempre un così basso concetto di se stessa, come fu ugualmente rivelato a santa Matilde, che, pur ve- dendosi arricchita di grazie più degli altri, non si mise mai al di sopra di nessuno [...] Non che non confessasse di aver ricevuto da Dio maggiori grazie di tutte le altre creature, perché un cuore umile ben riconosce i favori speciali del Signore per umiliarsi ancor più; ma la divina Madre, alla luce più grande che aveva per conoscere l’infinita grandez- za e bontà del suo Dio, conosceva meglio la sua piccolezza. Perciò si umiliava più di ogni altro [...]
Dice san Bernardino, “la Vergine aveva sempre un rapporto attuale con la divina maestà e con il proprio niente”. Come una mendicante, se indossa una ricca veste che le è stata donata, non se ne insuperbisce, ma nel vederla tanto più si umilia davanti al suo donatore perché più si ricorda del-
la sua povertà, così Maria, quanto più si vedeva arricchi- ta, tanto più si umiliava, ricordandosi che tutto era dono di Dio. La Vergine stessa disse alla benedettina santa Elisabet- ta: “Sappi che io mi ritenevo la creatura più spregevole e in- degna della grazia di Dio”. San Bernardino afferma: “Come nessuna creatura, dopo il Figlio di Dio, s’innalzò sulle vette della grazia quanto Maria, così nessuna creatura scese più in basso nell’abisso dell’umiltà”.
Inoltre è atto di umiltà nascondere i doni celesti. Maria volle tacere a san Giuseppe la grazia di essere divenuta Madre di Dio, anche se pareva necessario informarlo, per dissipare i sospetti che lo sposo poteva avere sulla sua onestà vedendo- la incinta, o almeno per liberarlo dal turbamento. San Giu- seppe infatti, non potendo dubitare della castità di Maria e d’altra parte ignorando il mistero, «decise di rimandarla in segreto» (Mt 1,19); e, se l’angelo non gli avesse rivelato che la sposa aveva concepito per opera dello Spirito Santo, l’avrebbe lasciata.
Inoltre l’umile rifiuta le lodi per sé e le riferisce tutte a Dio. Maria si turbò nel sentirsi lodare dall’angelo Gabriele e quando santa Elisabetta le disse: «Benedetta tu fra le don- ne... A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?... Beata colei che ha creduto...» (Lc 1), la Vergine, attribuendo tutte quelle lodi a Dio, rispose con l’umile cantico: «L’anima mia magnifica il Signore». Come se dicesse: Elisabetta, tu lodi me, ma io lodo il Signore a cui solo è dovuto l’onore. Tu ammiri che io venga a te; io ammiro la divina bontà: «il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore». Tu mi lodi perché ho creduto; io lodo il mio Dio che ha voluto esaltare il mio niente: «perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48).
Maria disse a santa Brigida: “Perché mi umiliavo tanto e ho
meritato tanta grazia, se non perché ho saputo e pensavo
di non essere e di non avere niente? Perciò non volli la mia lode, ma soltanto quella del donatore e del creatore”. Par- lando dell’umiltà di Maria, sant’Agostino esclama: “O beata umiltà, che donò Dio agli uomini, aprì il paradiso e liberò le anime dagli inferi”.
È proprio degli umili il servire, e Maria non esitò ad andare a servire Elisabetta per tre mesi. Dice dunque san Bernar- do: “Elisabetta si meravigliava che Maria fosse venuta, ma ancor più si stupisca che sia venuta non per essere servita, ma per servire”.
Gli umili se ne stanno in disparte e si scelgono il posto peg- giore. Perciò Maria, osserva san Bernardo, quella volta che Gesù stava predicando in una casa (Mt 12), desiderava par- largli ma “non volle interrompere il discorso di suo Figlio con la sua autorità di madre e non entrò nella casa in cui egli parlava”. Per la stessa ragione, stando nel cenacolo con gli apostoli, Maria volle mettersi all’ultimo posto.
Leggiamo in san Luca: «Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù» (At 1,14). Non che san Luca non conoscesse i meriti della divina Madre, per cui avrebbe dovuto nomi- narla in primo luogo; ma poiché Maria si era messa all’ul- timo posto nel cenacolo, dopo gli apostoli e le altre donne, san Luca menziona tutti i presenti secondo l’ordine in cui stavano collocati. È questo il pensiero di un autore. Dice san Bernardo: “Giustamente l’ultima è diventata la prima per- ché, pur essendo la prima di tutti, si comportava come se fosse l’ultima”.
Infine gli umili amano le manifestazioni di disprezzo. Per- ciò non si legge che Maria fosse presente in Gerusalemme quando nella Domenica delle palme il Figlio fu ricevuto dal popolo con tanti onori. Invece al momento della morte di Gesù la Vergine non si astenne dal comparire in pubblico
sul Calvario, affrontando il disonore di essere riconosciuta come madre del condannato, che moriva da infame con una morte infame. Maria disse a santa Brigida: “Che cosa c’è di più spregevole di essere considerata incapace, di avere bi- sogno di tutto e di credersi la più indegna di tutti? Tale, o figlia, fu la mia umiltà, questa la mia gioia e questa la mia volontà, perché non avevo altro pensiero che di piacere uni- camente a mio Figlio”.
Alla venerabile suor Paola da Foligno fu dato in un’estasi di comprendere quanto fu grande l’umiltà della santa Vergine. Parlandone al suo confessore, la religiosa, piena di stupo- re, diceva: “Ah padre, l’umiltà della Madonna! Nel mondo non vi è neppure un minimo grado di umiltà in confronto a quella di Maria”. Una volta, il Signore fece vedere a santa Brigida due dame, una tutta fasto e vanità. “Questa, le disse, è la superbia. L’altra che vedi, con atteggiamento modesto, rispettosa verso tutti, con il pensiero rivolto unicamente a Dio e che si considera come un niente, è l’umiltà e si chiama Maria”. Dio volle in tal modo manifestarci che la sua beata Madre era così umile, che era l’umiltà stessa.
È certo che per la nostra natura corrotta dal peccato non c’è forse, dice san Gregorio Nisseno, nessuna virtù più difficile da praticare che l’umiltà. Ma non c’è altra via: non potremo mai essere veri figli di Maria se non siamo umili. Dice san Bernardo: “Se non puoi imitare la verginità dell’umile, imita l’umiltà della Vergine”.
Ella aborrisce i superbi, chiama a sé soltanto gli umili: «Chi è fanciullo venga a me» (Prv 9,4). Riccardo di san Lorenzo afferma: “Maria ci protegge sotto il mantello dell’umiltà”. La Madre di Dio stessa così parlò a santa Brigida: “Anche tu, figlia mia, vieni e nasconditi sotto il mio mantello; questo mantello è la mia umiltà”. Poi disse che la considerazione della sua umiltà è un buon mantello che riscalda.
Ma come il mantello non riscalda se non chi lo porta, non solo con il pensiero, ma anche in opera, così, aggiunse, “la mia umiltà non giova, se non ci si sforza di imitarla. Perciò, figlia mia, rivestiti di questa umiltà”. Quanto sono care a Maria le anime umili! San Bernardo scrive: “La Vergine ri- conosce e ama quelli che la amano ed è vicina a coloro che la invocano, specialmente a quelli che vede conformi a sé nella castità e nell’umiltà”. Perciò il santo esorta tutti coloro che amano Maria ad essere umili: “Sforzatevi di emulare questa virtù, se amate Maria”.
La carità di Maria verso Dio
Dice sant’Anselmo: “Quanto più un cuore è puro e vuoto di se stesso, tanto più sarà pieno di amore verso Dio”. Maria fu tutta umile e vuota di sé, scrive san Bernardino, e perciò fu tutta piena di amore divino, superando l’amore di tutti gli uomini e di tutti gli angeli verso Dio. Con ragione dunque san Francesco di Sales la chiamò la “Regina dell’amore”.
Chi mai adempì come lei quel primo comandamento: Ame- rai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore? L’amore divino fu in lei così ardente che non poté sfiorarla alcun difetto». “L’amore di Cristo, scrive san Bernardo, non solo ferì, ma trapassò l’anima di Maria tanto che non restò alcuna parte senza ferita. Così ella amò con tutto il cuore, con tutta l’ani- ma, con tutte le forze e fu piena di grazia”. Quindi Maria poteva ben dire: «Il mio diletto è per me, e io per lui» (Ct 2,16). “Anche i serafini, dice Riccardo, potevano scendere dal cielo per imparare nel cuore della Vergine il modo di amare Dio”.
Dio, che «è amore» (1Gv4,8), venne sulla terra ad accendere in tutti la fiamma del suo divino amore, ma non ne infiam- mò nessun cuore quanto quello di sua Madre che, essendo libero dagli affetti terreni, era interamente disposto ad ar-
dere di questo fuoco. Così san Girolamo scrive: “L’amore di Dio aveva acceso talmente Maria, che niente al mondo po- teva alterare il suo sentimento, ma c’erano in lei un ardore continuo e l’ebbrezza di un amore senza limiti [...]
San Bonaventura afferma che la santa Vergine non fu mai tentata dall’inferno, perché “come un grande fuoco fa fuggi- re le mosche, così dal suo cuore ardente di amore venivano scacciati i demoni che non ardivano avvicinarsi a lei”. Riccar- do di san Vittore dice ugualmente: “La Vergine fu terribile verso i principi delle tenebre, che non osarono avvicinarsi a tentarla, perché li spaventava la fiamma dell’amore”. Maria stessa rivelò a santa Brigida che in questo mondo non ebbe altro pensiero, altro desiderio, altro gaudio che Dio. Dato che sulla terra la sua anima benedetta stava quasi sempre a contemplare Dio, gli atti d’amore che faceva erano innume- revoli, come scrive il padre Suarez [...].
Neppure il sonno impediva a Maria di amare il suo Dio. Se tale privilegio fu concesso ai nostri progenitori nello stato d’innocenza, come afferma sant’Agostino, dicendo che allo- ra “erano ugualmente felici i loro sogni mentre dormivano e la vita quando erano svegli”, quello stesso privilegio non deve essere certamente negato alla divina Madre. Glielo ac- cordano il Suarez, l’abate Ruperto, san Bernardino da Siena e sant’Ambrogio il quale, parlando di Maria, lasciò scritto: “Mentre riposava il corpo, vegliava l’animo”. In lei si realiz- zava ciò che disse il Saggio: «Non si spegne di notte la sua lampada» (Prv31,18).
Sì, dice san Bernardino, mentre il suo santo corpo in un leggero sonno prendeva il necessario riposo, «la sua anima liberamente tendeva verso Dio. Perciò allora la sua contem- plazione era più perfetta di quanto mai poté essere quella di qualunque persona sveglia. Ma poiché Maria ama tanto il suo Dio, certamente non ri- chiede nessun’altra cosa dai suoi devoti, quanto che amino Dio come meglio possono. Così appunto disse alla beata Angela da Foligno un giorno in cui essa si era comunica- ta: “Angela, sii benedetta dal Figlio mio. Tu cerca di amarlo quanto puoi”. A santa Brigida la beata Vergine disse: “Figlia, se vuoi legarmi a te, ama il Figlio mio”. Maria non desidera nulla più che di vedere amato il suo diletto, che è Dio [...]
“Poiché fu ardente d’amore per Dio, dice san Bonaventura, Maria infiamma e rende simili a sé tutti coloro che la ama- no e l’avvicinano”. Perciò santa Caterina da Siena la chia- mava “Portatrice del fuoco” dell’amore divino. Se vogliamo dunque ardere anche noi di questa santa fiamma, cerchia- mo sempre di accostarci alla nostra Madre con le preghiere e con gli affetti.
La Carità di Maria verso il prossimo
Durante la sua vita Maria fu così piena di carità, che soccor- reva i bisognosi senza esserne neppure richiesta. Così fece alle nozze di Cana, quando domandò al Figlio il miracolo del vino, esponendo la pena di quella famiglia: «Non han- no vino» (Gv 2,3). Come era sollecita la Vergine quando si trattava di aiutare il prossimo! Quando per un compito di carità si recò da Elisabetta, «si mise in viaggio verso la mon- tagna in fretta» (Lc1,39). Ma la prova più grande di carità, la diede offrendo alla morte suo Figlio per la nostra salvezza. San Bonaventura dice: “Maria ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. E sant’Anselmo esclama: “O benedetta fra le donne, che superi gli angeli nella purezza e i santi nella pietà!”. San Bonaventura afferma: “Grande fu la misericordia di Maria verso i miseri mentre era pellegrina su questa terra, ma molto più grande è ora che regna nel cielo, perché vede meglio le miserie degli uomini”.
L’angelo rivelò a santa Brigida che non vi è nessuno che pre- ghi senza ricevere grazie per la carità della Vergine. Poveri noi, se Maria non pregasse per noi! Gesù stesso disse a santa Brigida: “Senza l’intercessione di mia Madre, non ci sarebbe speranza di misericordia”.
«Beato l’uomo che mi ascolta, dice la divina Madre, veglian- do alle mie porte ogni giorno, custodendone la soglia» (Prv 8,34), e osserva la mia carità per esercitarla verso gli altri a mia imitazione. San Gregorio Nazianzeno afferma che niente ci può conciliare la benevolenza della Vergine quan- to la misericordia verso il prossimo. Dio ci esorta: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36). Così anche Maria sembra dire a tutti i suoi figli: «Siate misericordiosi, come è misericordiosa la Madre vostra».
È certo che secondo la carità che noi useremo col prossi- mo, Dio e Maria l’useranno con noi: «Date e vi sarà dato... con la stessa misura con cui misurate, sarà misurato anche a voi» (Lc 6,38). San Metodio diceva: “Dona al povero e rice- verai il paradiso”. Scrisse l’Apostolo: «La pietà è utile a tutto, avendo la promessa della vita presente e di quella futura» (1Tm4,8). «Chi fa la carità al povero presta a Dio» (Prv19,17). Commentando queste parole, san Giovanni Crisostomo af- ferma che chi soccorre i bisognosi fa sì che Dio gli diventi debitore.
La fede di Maria
Come la beata Vergine è madre dell’amore e della speran- za, così è anche madre della fede. «Io sono la madre del bell’amore, del timore e della scienza e della santa speran- za» (Sir24,24 Vg). E con ragione, dice sant’Ireneo, poiché quel danno che Eva fece con la sua incredulità, Maria lo riparò con la sua fede. Eva, conferma Tertulliano, poiché volle cre- dere al serpente preferendolo a quello che aveva detto Dio,
apportò la morte. Ma la nostra Regina, col credere, come le aveva detto l’angelo, che sarebbe divenuta Madre del Si- gnore pur restando vergine, apportò al mondo la salvezza. Sant’Agostino dice che, dando il suo consenso all’Incarna- zione del Verbo, Maria, per mezzo della sua fede, aprì agli uomini il paradiso [...] la santa Vergine ebbe più fede di tutti gli uomini e tutti gli angeli. Vedeva il Figlio suo nella stalla di Betlemme e lo credeva il creatore del mondo. Lo vedeva fuggire da Erode e non cessava di credere che era il re dei re. Lo vide nascere e lo credette eterno. Lo vide povero, bi- sognoso di cibo e lo credette Signore dell’universo; coricato sul fieno e lo credette onnipotente. Osservò che non parlava e credette che era la Sapienza infinita. Lo sentiva piangere e credeva che era il gaudio del paradiso. Lo vide infine mo- rire vilipeso e crocifisso, ma benché negli altri vacillasse la fede, Maria continuò a credere fermamente che egli era Dio.
«Vicino alla croce di Gesù stava sua madre» (Gv 19,25). Me-
ditando su queste parole sant’Antonino scrive: “Maria stava salda nella fede, che conservò incrollabile, nella divinità di Cristo”. Per questo, aggiunge il santo, nell’ufficio delle Te- nebre si lascia una sola candela accesa. A tale proposito san Leone applica alla Vergine questo passo dei Proverbi: «Non si spegne di notte la sua lampada» (Prv 31,18). [...]
Ma come possiamo imitare questa fede di Maria? La fede è insieme dono e virtù. È dono di Dio in quanto è una luce che Dio infonde nell’anima; è virtù in quanto l’anima la mette in pratica. Perciò la fede ci deve servire da regola non solo per credere, ma anche per agire. Così san Gregorio diceva: “Crede veramente colui che nella sua vita mette in pratica ciò che crede”. E sant’Agostino: “Tu dici: credo. Fa’ quello che dici: questa è la fede”. Questo è l’avere una fede viva, cioè il vivere secondo quel che si crede: «Il mio giusto vive di fede» (Eb 10,38).
Così visse la beata Vergine, a differenza di coloro che non vivono secondo quel che credono e la cui fede è morta, come dice san Giacomo: «La fede senza le opere è morta» (Gc 2,26) [...]
Dalla mancanza di fede, diceva santa Teresa, nascono tutti i peccati. Perciò preghiamo la santa Vergine affinché per i meriti della sua fede ci ottenga una fede viva: «Signora, au- menta la nostra fede!» (cfr Lc 17,6).
La speranza di Maria
Dalla fede nasce la speranza. Dio ci illumina con la fede alla conoscenza della sua bontà e delle sue promesse, affinché ci innalziamo con la speranza al desiderio di possederlo. Poiché dunque Maria ebbe la virtù di una fede eminente, ebbe anche la virtù di una speranza eminente, che le faceva dire con Davide: «Il mio bene è stare vicino a Dio, porre nel Signore Dio la mia speranza» (Sal72,28).
Maria fu quella sposa fedele dello Spirito Santo della quale fu detto: «Chi è costei che sale dal deserto, ricolma di de- lizie, appoggiata al suo diletto?» (Ct 8,5). Sale dal deserto, spiega il cardinale Giovanni Algrino, perché fu sempre di- staccata dal mondo, da lei considerato un deserto e perciò, non fidando né nelle creature né nei propri meriti, si ap- poggiò interamente sulla grazia divina nella quale soltanto confidava, per avanzare sempre nell’amore del suo Dio.
La santa Vergine dimostrò quanto fosse grande la sua fidu- cia in Dio in primo luogo quando si accorse che il suo san- to sposo Giuseppe, ignorando il modo della sua prodigiosa gravidanza, era turbato e pensava di lasciarla: «Giuseppe... decise di rimandarla in segreto» (Mt 1,19). Come abbiamo già detto in precedenza, sembrava necessario che Maria gli rivelasse il mistero nascosto. “Ma, dice Cornelio a Lapide, la beata Vergine non volle far conoscere ella stessa la grazia
ricevuta e preferì abbandonarsi alla divina provvidenza, confidando che Dio avrebbe difeso la sua innocenza e la sua reputazione”. Dimostrò inoltre la fiducia in Dio quando, vi- cina al parto, si vide esclusa a Betlemme anche dall’albergo dei poveri e ridotta a partorire in una stalla: «Lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alber- go» (Lc2,7). Non pronunziò allora nessuna parola di lamen- to ma, tutta abbandonata in Dio, confidò che egli l’avrebbe assistita in quella prova.
La divina Madre dimostrò un’altra volta la sua grande fidu- cia nella divina provvidenza quando, avvisata da san Giu- seppe di dover fuggire in Egitto, la stessa notte intraprese un così lungo viaggio verso un paese straniero e sconosciu- to, senza provviste, senza denaro, senza altro accompagna- mento che quello del suo bambino Gesù e del suo povero sposo: «Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre, nella notte, e partì per l’Egitto» (Mt 2,14).
Molto più Maria dimostrò la sua fiducia quando chiese al Figlio la grazia del vino per gli sposi di Cana. Alle sue paro- le: «Non hanno vino», Gesù aveva risposto: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Pareva dunque chiaro che la sua domanda fosse respinta. Ma la Vergine, fiduciosa nella bontà divina, disse ai servi:
«Fate quello che vi dirà», perché era sicura che il Figlio le avrebbe accordato la grazia. Gesù infatti fece riempire le giare d’acqua e poi la mutò in vino.
Impariamo dunque da Maria ad avere piena fiducia, prin- cipalmente per quanto riguarda la nostra salvezza eterna, per la quale, benché la nostra cooperazione sia necessaria, tuttavia dobbiamo sperare solo da Dio la grazia per conse- guirla, diffidando delle nostre proprie forze e ripetendo con l’apostolo: «Tutto posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13).
La castità di Maria
Dopo il peccato di Adamo, essendosi i sensi ribellati alla ragione, la virtù della castità è per gli uomini la più diffici- le da praticare. “Tra tutte le lotte, dice sant’Agostino, le più aspre sono le battaglie della castità; il combattimento è quo- tidiano e la vittoria è rara”. Sia sempre lodato il Signore che in Maria ci ha dato un grande modello di questa virtù. “A ragione, esclama il beato Alberto Magno, Maria è chiamata Vergine delle vergini perché, per prima, senza il consiglio e l’esempio di nessuno, offrendo la sua verginità a Dio, gli ha dato poi tutte le vergini che l’hanno imitata”. Già Davide aveva predetto: «Le vergini sue compagne sono introdotte... nel palazzo del re» (Sal 44,15-16). Senza consiglio e senza esempio; sì, dice san Bernardo: “O Vergine, chi ti insegnò a piacere a Dio con la verginità e a condurre sulla terra una vita angelica?”. “Cristo, risponde Sofronio, si scelse per ma- dre questa Vergine purissima, affinché ella fosse per tutti un esempio di castità”. Perciò sant’Ambrogio chiama Maria la vessillifera della verginità.
Per questa sua purezza lo Spirito Santo proclama la santa Vergine bella come la tortorella: «Le tue guance sono belle come le guance della tortora» (Ct 1,9 Vg). “Tortorella purissi- ma è Maria”, commenta Aponio. Perciò fu paragonata anche al giglio: «Come un giglio tra gli spini, così l’amica mia tra le fanciulle» (Ct2,2).
San Dionisio Cartusiano osserva che Maria fu chiamata gi- glio tra le spine perché “tutte le altre vergini furono spine o per se stesse o per gli altri; ma la beata Vergine né per sé né per gli altri. Infatti col solo farsi vedere infondeva a tutti pensieri e desideri di purezza”.
San Tommaso conferma: “La bellezza della beata Vergine spingeva alla castità quelli che la guardavano”. San Girolamo pensa che san Giuseppe si mantenne vergine in virtù della compagnia di Maria. Contro l’eretico Elvidio, che negava la verginità di Maria, il santo scrive: “Tu dici che Maria non rimase vergine, ma io sostengo che anche Giuseppe fu vergine grazie a Maria”.
Sant’Ambrogio dice: “Chi conserva la castità è un angelo, chi la perde è un demonio”. Quelli che sono casti diventano angeli, come disse il Signore: «Saranno come angeli di Dio» (Mt22,30), ma quelli che peccano contro la castità diventano odiosi a Dio, come i demoni.
San Remigio diceva che la maggior parte degli adulti si per- de per questo vizio. Rara è la vittoria su questo vizio, come abbiamo detto in precedenza con sant’Agostino, perché non si praticano i mezzi per vincere.
Tre sono i mezzi, come dicono, con san Roberto Bellarmino, i maestri della vita spirituale: «Il digiuno, la fuga dai peri- coli e la preghiera». Per digiuno s’intende la mortificazione, specialmente degli occhi e della gola. Benché fosse piena della grazia divina, Maria mortificava i suoi occhi al punto che li teneva sempre bassi e non li fissava mai su nessuno. Così dicono sant’Epifanio e san Giovanni Damasceno e ag- giungono che sin da fanciulla era così modesta che suscita- va l’ammirazione di tutti. [...]
San Giovanni Damasceno dice che Maria «è pura e ama la purezza». Perciò non può sopportare gli impuri. Ma a chi ricorre a lei basterà invocare con fiducia il suo nome per essere liberato da questo vizio.
Il venerabile Giovanni Avila diceva che molte persone ten- tate contro la castità hanno vinto grazie all’amore verso Maria immacolata.
La povertà di Maria
Il nostro amorevole Redentore, per insegnarci a disprezzare i beni mondani, volle essere povero su questa terra.
La sua discepola più perfetta, Maria, seguì mirabilmente il suo esempio. San Pietro Canisio afferma che con l’eredità lasciatale dai suoi genitori la santa Vergine avrebbe potuto vivere agiatamente, ma si accontentò di essere povera con- servando per sé un piccola parte dei suoi beni e distribuen- do tutto il resto in elemosina al tempio e ai poveri.
Molti sostengono che Maria fece anche voto di povertà. Ella stessa rivelò a santa Brigida: «Fin dal principio feci voto in cuor mio di non possedere nulla in questo mondo». I doni ricevuti dai Magi non dovevano essere certamente di poco valore, ma li distribuì tutti ai poveri. Così attesta san Ber- nardo: «Maria non serbò per sé l’oro offerto dai Magi, che fu considerevole, come si addiceva alla loro dignità regale, ma lo distribuì ai poveri per mezzo di Giuseppe». Che la divina Madre avesse distribuito subito i doni dei Magi, si deduce dal vedere che andando al tempio non offrì l’agnello che era l’offerta dei benestanti prescritta dal Levitico (Lv 12,6), ma, come dice la legge del Signore, un paio di tortore o due giovani colombi (Lc 2,24), offerta dei poveri. Maria stessa disse a santa Brigida: «Tutto quello che potei avere, lo diedi ai poveri, riservando per me un po’ di cibo e il vestito».
Per amore della povertà non disdegnò di sposarsi con un semplice fabbro, san Giuseppe, e di sostentarsi con le fatiche delle sue mani, filando e cucendo, come attesta san Bona- ventura.
Parlando di Maria, l’angelo rivelò a santa Brigida: “Considerava le ricchezze terrene come fango”. Insomma visse sem- pre povera e povera morì, poiché morendo non si sa che avesse lasciato altro che due povere vesti a due donne che
l’avevano assistita in vita, come riferiscono il Metafraste e Niceforo.
“Chi ama le cose non diventerà mai santo”, diceva san Fi- lippo Neri. Santa Teresa aggiungeva: “È giusto che chi va dietro a cose perdute si perda anch’egli”. Al contrario, di- ceva la stessa santa, la virtù della povertà è un bene che comprende tutti gli altri beni. “«La virtù della povertà, scri- ve san Bernardo, non consiste solamente nell’essere povero, ma nell’amare la povertà”. Perciò Gesù disse: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Beati, perché quelli che non vogliono altro che Dio, in Dio trovano ogni bene e trovano nella povertà il loro paradiso in terra, come lo trovò san Francesco nell’esclamare: “Dio mio e mio tutto”. “
Amiamo dunque quell’unico bene in cui sono tutti i beni”, come esortava sant’Agostino. E preghiamo il Signore con sant’Ignazio: “Dammi soltanto il tuo amore con la tua gra- zia e sono ricco abbastanza”. Quando ci affligge la pover- tà, consoliamoci sapendo che Gesù e sua Madre sono stati poveri come noi. “O povero, dice san Bonaventura, ti puoi molto consolare pensando alla povertà di Maria e alla po- vertà di Cristo”.
L’obbedienza di Maria
Per l’amore che portava alla virtù dell’obbedienza, quando l’arcangelo Gabriele le annunziò la nascita di Gesù, Maria non volle chiamarsi con altro nome che quello di serva:
«Ecco la serva del Signore». “Vera ancella, dice san Tomma- so da Villanova, che né con le parole, né con le opere, né con il pensiero si oppose mai all’Altissimo, ma spogliandosi di ogni volontà propria visse sempre e in tutto ubbidiente alla divina volontà”.
Ella stessa dichiarò che Dio si era compiaciuto di questa sua ubbidienza: «Ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc1,48). Questa è l’umiltà propria di una serva: essere sempre pron- ta a ubbidire. Sant’Agostino dice che la divina Madre con la sua ubbidienza rimediò al danno che aveva fatto Eva con la sua disubbidienza: “Come Eva disubbidendo divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria Ver- gine ubbidendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano”.
L’ubbidienza di Maria fu molto più perfetta di quella di tutti gli altri santi. Inclini al male per il peccato originale, gli uomini provano difficoltà nel bene operare; ma non così la beata Vergine. San Bernardino scrive: esente dal pecca- to originale, “Maria non aveva impedimenti nell’ubbidire a Dio, ma fu come una ruota che si muoveva prontamente ad ogni ispirazione dello Spirito Santo”. Lo stesso santo ag- giunge: “La Vergine tenne sempre gli occhi fissi su ciò che piace a Dio e lo eseguì con fervido consenso”. Di lei fu detto:
«L’anima mia si è liquefatta, quando il mio diletto ha par- lato» (Ct 5,6). Riccardo di san Lorenzo commenta: “L’anima della Vergine era come un metallo liquefatto per un incen- dio d’amore, pronta a prendere tutte le forme della divina volontà”.
Maria dimostrò quanto era pronta all’ubbidienza in primo luogo quando per piacere a Dio volle ubbidire anche all’im- peratore romano facendo alla volta di Betlemme un viaggio di novanta miglia, in pieno inverno, incinta e povera, tan- to che fu costretta a partorire in una stalla. Fu ugualmente pronta quando, avvertita da san Giuseppe, si mise subito in cammino la notte stessa per il lungo e penoso viaggio verso l’Egitto. Perché, si domanda il Silveira, la rivelazione di fuggire in Egitto fu fatta a san Giuseppe e non alla beata Vergine che più doveva sentirne la fatica? E risponde: «Per-
ché non le fosse tolta l’occasione di esercitare un atto di ub- bidienza alla quale era prontissima». Ma soprattutto Maria dimostrò la sua eroica ubbidienza quando, per ubbidire alla divina volontà, offrì alla morte il Figlio suo con tanta fer- mezza che, come dice sant’Ildefonso, sarebbe stata pronta a crocifiggere il Figlio, se fossero mancati i carnefici. Quando la donna del Vangelo esclamò: «Beato il grembo che ti ha portato!», Gesù rispose: «Beati piuttosto coloro che ascolta- no la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28). Commen- tando queste parole, il venerabile Beda scrive che Maria fu più felice per l’ubbidienza alla volontà divina che per essere stata costituita Madre di Dio stesso.
Quindi sono molto graditi alla Vergine quelli che amano l’ubbidienza. [...] Parlando a santa Brigida della sicurezza che vi è nell’ubbidire al padre spirituale, Maria le disse: “L’ubbidienza conduce tutti alla gloria”. La Madre di Dio ri- velò poi a santa Brigida che per merito della sua ubbidienza ha ottenuto dal Signore che tutti i peccatori che ricorrono a lei pentiti, per quanto gravi siano le loro colpe, saranno perdonati.
La pazienza di Maria
Poiché questa terra è luogo di merito, giustamente viene chiamata valle di lacrime. Qui siamo tutti destinati a patire e con la pazienza a salvare le nostre anime nella vita eterna, come disse il Signore: «Con la vostra pazienza salverete le vostre anime» (Lc21,19). Dio ci diede la Vergine Maria come esempio di tutte le virtù, ma specialmente come esempio di pazienza. San Francesco di Sales osserva che alle nozze di Cana Gesù diede alla santa Vergine quella risposta, con cui mostrava di tenere poco conto delle sue preghiere: «Che ho da fare con te, o donna?», proprio per dare a noi l’esempio della pazienza della sua santa Madre.
Ma tutta la vita di Maria fu un esercizio continuo di pazien- za. L’angelo rivelò a santa Brigida che la beata Vergine visse sempre tra le pene: “Come la rosa cresce tra le spine, così la santa Vergine crebbe fra le tribolazioni in questo mon- do”. La compassione delle pene del Redentore bastò a fare di lei una martire della pazienza. Perciò san Bonaventura dice: “Colei che fu crocifissa concepì il crocifisso”. Quanto poi ella soffrì durante il viaggio e la permanenza in Egitto, come in tutto il tempo che visse con il Figlio nella bottega di Nazaret, l’abbiamo già considerato.
Basta la sua presenza accanto a Gesù moribondo sul Calva- rio, a far capire quanto costante e sublime fu la sua pazien- za: «Vicino alla croce di Gesù stava sua madre» (Gv 19,25). Proprio per merito di questa sua pazienza, dice il beato Al- berto Magno, Maria divenne nostra madre che ci partorì alla vita della grazia.
Se desideriamo dunque essere figli di Maria, bisogna che cerchiamo d’imitarla nella pazienza. “Che cosa mai, dice san Cipriano, può arricchirci più di meriti in questa vita e di gloria nell’altra, che il soffrire le pene con pazienza?”.
«Chiuderò la tua via con una siepe di spine», dice il Signore per bocca di Osea (Os 2,8). E san Gregorio aggiunge: «Le vie degli eletti sono cosparse di spine». Come la siepe pro- tegge la vigna, così Dio circonda di tribolazioni i suoi servi, affinché non si attacchino alla terra. San Cipriano conclude dunque che la pazienza ci libera dal peccato e dall’inferno. La pazienza è quella che fa i santi: «Rende l’opera perfetta» (Gc 1,4), facendoci sopportare in pace le croci che ci vengo- no direttamente da Dio, cioè l’infermità, la povertà, ecc. e quelle che ci vengono dagli uomini: persecuzioni, ingiurie, ecc. San Giovanni vide tutti i santi con le palme - segno del martirio - nelle mani: «Dopo ciò apparve una moltitudine immensa... avevano palme nelle loro mani» (Ap7,9); il che significa che tutti gli adulti che si salvano devono essere mar- tiri di sangue o di pazienza. Rallegriamoci dunque, esclama san Gregorio, “possiamo essere martiri senza strumenti di martirio, se siamo pazienti”; se soffriremo le pene di questa vita, come dice san Bernardo, “pazientemente, volentieri, gioiosamente”.
Quanto ci frutterà in cielo ogni pena sofferta per Dio! Perciò l’Apostolo ci incoraggia: «Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2Cor 4,17). Belli sono i pensieri di santa Teresa a tale proposito. Diceva: “Chi abbraccia la croce, non la sente”. E altrove: “Quando uno è risoluto a patire, è finita la pena”.
Quando ci sentiamo oppressi dalle croci, ricorriamo a Ma- ria, che la Chiesa chiama “Consolatrice degli afflitti” e san Giovanni Damasceno “Rimedio di tutti i dolori dei cuori”.
Lasciando questo mondo Cristo diede a sua Madre un uomo che fosse per lei come un figlio: Giovanni. Lo affidò a lei. E, in conseguenza di questo dono e di questo affidamento, Maria diventò madre di Giovanni. La Madre di Dio è dive- nuta madre dell’uomo.
Una particolare manifestazione della maternità di Maria ri- guardo agli uomini sono i luoghi, nei quali Ella s’incontra con loro; le case nelle quali Ella abita; case nelle quali si ri- sente una particolare presenza della Madre.
Tali luoghi e tali case sono numerosissimi. E sono di una grande varietà: dalle edicole nelle abitazioni o lungo le stra- de, nelle quali risplende l’immagine della Madre di Dio, alle Cappelle e alle Chiese costruite in suo onore. Ci sono però alcuni luoghi, nei quali gli uomini sentono particolarmente viva la presenza della Madre. A volte questi posti irradiano ampiamente la loro luce, attirano la gente da lontano. Il loro raggio può estendersi ad una diocesi, a un’intera nazione, a volte a più nazioni e persino a più continenti. Sono questi i Santuari mariani.
In tutti questi luoghi si realizza in modo mirabile quel sin- golare testamento del Signore Crocifisso: l’uomo vi si sente consegnato e affidato a Maria; l’uomo vi accorre per stare con lei come con la propria Madre; l’uomo apre a lei il suo cuore e le parla di tutto: «La prende nella sua casa», cioè dentro tutti i suoi problemi, a volte difficili. Problemi propri ed altrui. Problemi delle famiglie, delle società, delle nazio- ni, dell’intera umanità. È questo il discorso del 13 maggio 1982 di Papa Giovanni Paolo II che all’anniversario del suo attentato in Pazza san Pietro si trovava a Fatima:
Vengo dunque qui oggi perché proprio in questo giorno dello scorso anno, in piazza san Pietro a Roma, si è verificato l’at- tentato alla vita del Papa, misteriosamente coinciso con l’an- niversario della prima apparizione a Fatima, che ebbe luogo il 13 maggio del 1917.
Queste date si sono incontrate tra loro in modo tale che mi è parso di riconoscervi una speciale chiamata a venire qui. Ed ecco, oggi sono qui. Sono venuto a ringraziare la Divina Provvidenza in questo luogo che la Madre di Dio sembra avere così particolarmente scelto. «Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti» (Lam 3,22), ripeto ancora una volta con il profeta.
Sono venuto soprattutto per confessare qui la gloria di Dio stesso: «Benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra», dico con le parole dell’odierna liturgia (Gdt 13,18)...
Se la Chiesa ha accolto il messaggio di Fatima è soprattutto perché esso contiene una verità e una chiamata, che nel loro fondamentale contenuto sono la verità e la chiamata del Van- gelo stesso.
«Convertitevi, (fate penitenza) e credete al Vangelo» (Mc 1,15), sono queste le prime parole del Messia rivolte all’umanità. Il messaggio di Fatima è nel suo nucleo fondamentale la chiamata alla conversione e alla penitenza, come nel Vangelo. Questa chiamata è stata pronunciata all’inizio del XX secolo, e, pertan- to, a questo secolo è stata particolarmente rivolta. La Signora del messaggio sembra leggere con una speciale perspicacia i “segni dei tempi”, i segni del nostro tempo.
L’appello alla penitenza è materno e, al tempo stesso, forte e deciso. La carità che «si compiace della verità» (1Cor 13,6), sa essere schietta e decisa. La chiamata alla penitenza si unisce, come sempre, con la chiamata alla preghiera. Conformemente alla tradizione di molti secoli, la Signora del messaggio di
Fatima indica il “Rosario”, che giustamente si può definire “la preghiera di Maria”: la preghiera, nella quale Ella si sente particolarmente unita con noi. Lei stessa prega con noi. Con questa preghiera si abbracciano i problemi della Chiesa, della Sede di san Pietro, i problemi di tutto il mondo. Inoltre, si ricordano i peccatori, perché si convertano e si salvino, e le anime del purgatorio.
Le parole del messaggio sono state rivolte a fanciulli dai 7 ai 10 anni d’età. I fanciulli, come Bernardetta di Lourdes, sono particolarmente privilegiati in queste apparizioni della Madre di Dio.
Da qui il fatto che anche il suo linguaggio è semplice, a misura della loro comprensione. I bambini di Fatima sono diventati gli interlocutori della Signora del messaggio ed anche i suoi collaboratori. Una di essi vive ancora.
Quando Gesù disse sulla Croce: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19,26), in modo nuovo aprì il cuore di sua Madre, il Cuore Immacolato, e le rivelò la nuova dimensione dell’amore e la nuova portata dell’amore, al quale era chiamata nello Spirito Santo con la forza del sacrificio della Croce.
Nelle parole di Fatima ci sembra di ritrovare proprio questa di- mensione dell’amore materno, che col suo raggio comprende tut- ta la strada dell’uomo verso Dio: quella che conduce attraverso la terra, e quella che va, attraverso il purgatorio, oltre la terra. La sollecitudine della Madre del Salvatore è la sollecitudine per l’opera della salvezza: l’opera del suo Figlio. È sollecitudine per la salvezza, per l’eterna salvezza di tutti gli uomini. Mentre si compiono ormai 65 anni da quel 13 maggio 1917, è difficile non scorgere come questo amore salvifico della Madre abbracci nel suo raggio, in modo particolare, il nostro secolo.
Alla luce dell’amore materno comprendiamo tutto il messaggio della Signora di Fatima. Ciò che più direttamente si oppone al cammino dell’uomo verso Dio è il peccato, il perseverare nel
peccato, e, infine, la negazione di Dio. La programmata can- cellazione di Dio dal mondo dell’umano pensiero. Il distacco da lui di tutta la terrena attività dell’uomo. Il rifiuto di Dio da parte dell’uomo.
In realtà l’eterna salvezza dell’uomo è solo in Dio. Il rifiuto di Dio da parte dell’uomo, se diventa definitivo, guida logicamente al rifiuto dell’uomo da parte di Dio (cfr Mt 7,23; 10,33), la dannazione.
Può la Madre, la quale con tutta la potenza del suo amore, che nutre nello Spirito Santo, desidera la salvezza di ogni uomo, tacere su ciò che mina le basi stesse di questa salvezza? No, non lo può!
Per questo, il messaggio della Signora di Fatima, così materno, è al tempo stesso così forte e deciso. Sembra severo. È come se parlasse Giovanni Battista sulle sponde del Giordano. Invita alla penitenza. Avverte. Chiama alla preghiera. Raccomanda il Rosario.
Questo messaggio è rivolto ad ogni uomo. L’amore della Madre del Salvatore arriva dovunque giunge l’opera della salvezza. Og- getto della sua premura sono tutti gli uomini della nostra epoca, ed insieme le società, le nazioni e i popoli. Le società minacciate dalla apostasia, minacciate dalla degradazione morale. Il crollo della moralità porta con sé il crollo delle società. Cristo disse sulla Croce: «Donna, ecco il tuo figlio». Con questa parola aprì, in modo nuovo, il Cuore di sua Madre. Poco dopo, la lancia del soldato romano trafisse il costato del Crocifisso.
Quel Cuore trafitto è diventato il segno della redenzione com- piuta mediante la morte dall’Agnello di Dio.
Il Cuore Immacolato di Maria, aperto dalla parola: «Donna, ecco il tuo figlio», si incontra spiritualmente col Cuore del Fi- glio aperto dalla lancia del soldato. Il Cuore di Maria è stato aperto dallo stesso amore per l’uomo e per il mondo, con cui
Cristo ha amato l’uomo ed il mondo, offrendo per essi se stesso sulla Croce, fino a quel colpo di lancia del soldato.
Consacrare il mondo al Cuore Immacolato di Maria significa avvicinarci, mediante l’intercessione della Madre, alla stessa Sorgente della Vita, scaturita sul Golgota. Questa Sorgente ininterrottamente zampilla con la redenzione e con la grazia. Continuamente si compie in essa la riparazione per i peccati del mondo. Incessantemente essa è fonte di vita nuova e di santità.
Consacrare il mondo all’Immacolato Cuore della Madre, signifi- ca ritornare sotto la Croce del Figlio. Di più: vuol dire consa- crare questo mondo al Cuore trafitto del Salvatore, riportandolo alla fonte stessa della sua Redenzione. La Redenzione è sempre più grande del peccato dell’uomo e del “peccato del mondo”. La potenza della Redenzione supera infinitamente tutta la gamma del male, che è nell’uomo e nel mondo.
Il Cuore della Madre chiama. Chiama non solo alla conver- sione, chiama a farci aiutare da lei, Madre, per ritornare alla fonte della Redenzione, chiama i suoi figli vuol dare loro forza e incoraggiarli.
Papa Francesco in occasione del suo viaggio apostolico in Messico, durante la messa celebrata nella basilica di Guada- lupe (13 Febbraio 2016) ci invita a parlare con lei:
[...] Maria, la donna del sì, ha voluto anche visitare gli abitanti di questa terra d’America nella persona dell’indio san Juan Diego. Così come si mosse per le strade della Giudea e della Galilea, nello stesso modo raggiunse il Tepeyac, con i suoi abiti, utilizzando la sua lingua, per servire questa grande Nazione. E così come accompagnò la gravidanza di Elisabetta, ha accompa- gnato e accompagna la “gravidanza” di questa benedetta terra messicana. Così come si fece presente al piccolo Juanito, allo
stesso modo continua a farsi presente a tutti noi, soprattutto a quelli che come lui sentono “di non valere nulla” (cfr Nican Mopohua, 55). Questa scelta particolare, diciamo preferenziale, non è stata contro nessuno, ma a favore di tutti. In quell’alba di dicembre del 1531, si compiva il primo miracolo che poi sarà la memoria vivente di tutto ciò che questo Santuario custodisce. In quell’alba, in quell’incontro, Dio risvegliò la speranza di suo figlio Juan, la speranza di un popolo. In quell’alba Dio ha risvegliato e risveglia la speranza dei più piccoli, dei sofferenti, degli sfollati e degli emarginati, di tutti coloro che sentono di non avere un posto degno in queste terre. In quell’alba Dio si è avvicinato e si avvicina al cuore sofferente ma resistente di tante madri, padri, nonni che hanno visto i loro figli partire, li hanno visti persi o addirittura strappati dalla criminalità.
In quell’alba, Juanito sperimenta nella sua vita che cos’è la speranza, che cos’è la misericordia di Dio. Lui è scelto per sorvegliare, curare, custodire e favorire la costruzione di questo Santuario. A più riprese disse alla Vergine che lui non era la persona adatta, anzi, se voleva portare avanti quel lavoro doveva scegliere altri perché lui non era istruito, letterato o appartenente al novero di coloro che avrebbero potuto farlo. Maria, risoluta – con la risolutezza che nasce dal cuore mise- ricordioso del Padre – gli disse no, che lui sarebbe stato il suo messaggero. [...]
Venendo in questo santuario ci può accadere la stessa cosa che accadde a Juan Diego. Guardare la Madre a partire dai nostri dolori, dalle nostre paure, disperazioni, tristezze, e dirle: “Che cosa posso dare io se non sono una persona istruita?”. Guar- diamo la Madre con occhi che dicono: “Sono tante le situazioni che ci tolgono la forza, che ci fanno sentire che non c’è spazio per la speranza, per il cambiamento, per la trasformazione”.
Per questo credo che oggi ci farà bene un po’ di silenzio, e guar- darla, guardarla molto e con calma... E nel silenzio, in questo
rimanere a contemplarla, sentire ancora una volta che ci ripete: “Che c’è, figlio mio, il piccolo di tutti? Che cosa rattrista il tuo cuore?” (cfr Nican Mopohua, 107.118) “Non ci sono forse qui io, io che ho l’onore di essere tua madre?” (ibid., 119).
Lei ci dice che ha “l’onore” di essere nostra madre. Questo ci dà la certezza che le lacrime di coloro che soffrono non sono sterili. Sono una preghiera silenziosa che sale fino al cielo e che in Maria trova sempre posto sotto il suo manto. In lei e con lei, Dio si fa fratello e compagno di strada, porta con noi le croci per non lasciarci schiacciare da nostri dolori.
“Non sono forse tua madre? Non sono qui? Non lasciarti vincere dai tuoi dolori, dalle tue tristezze” – ci dice. Oggi di nuovo torna ad inviarci, come Juanito; oggi di nuovo torna a ripeterci: sii mio messaggero, sii mio inviato per costruire tanti nuovi santuari, accompagnare tante vite, asciugare tante lacrime. Basta che cammini per le strade del tuo quartiere, della tua comunità, della tua parrocchia come mio messaggero, mia messaggera; innalza santuari condividendo la gioia di sapere che non siamo soli, che lei è con noi. Sii mio messaggero – ci dice – dando da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, da’ un posto ai bisognosi, vesti chi è nudo e visita i malati. Soccorri il prigioniero, non lasciarlo solo, perdona chi ti ha fatto del male, consola chi è triste, abbi pazienza con gli altri e, soprattutto, implora e prega il nostro Dio. E in silenzio le diciamo quello che ci sale dal cuore.
“Non sono forse tua madre? Non sono forse qui?” – ci dice ancora Maria. Vai a costruire il mio santuario, aiutami a ri- sollevare la vita dei miei figli, tuoi fratelli.
recitiamo ogNi giorNo
“Spirito Santo fa che io possa conoscere Maria“ e “Totuus Tuus”.
esame di coscieNza
(da effettuare alla fine della terza tappa)
“La nostra natura, malata, richiedeva d’essere guarita; deca- duta, d’essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Aveva- mo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito. Immersi nelle tenebre, occorreva che ci fosse por- tata la luce; perduti, attendevamo un salvatore; prigionieri, un soccorritore; schiavi, un liberatore. Tutte queste ragioni erano prive d’importanza? Non erano tali da commuovere Dio sì da farlo discendere fino alla nostra natura umana per visitarla, poiché l’umanità si trovava in una condizione tan- to miserabile ed infelice?”.
N.458. Il Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l’amore di Dio: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo per- ché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9). «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv3,16).
N.459. Il Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di san- tità: «Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me...» (Mt 11,29). «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv14,6). E il Padre, sul
monte della trasfigurazione, comanda: «Ascoltatelo» (Mc 9,7). In realtà, egli è il modello delle beatitudini e la norma della Legge nuova: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Questo amore implica l’effettiva offerta di se stessi alla sua sequela.
N.461. Riprendendo l’espressione di san Giovanni («Il Ver- bo si fece carne»: Gv 1,14), la Chiesa chiama “incarnazione” il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto una natura uma- na per realizzare in essa la nostra salvezza. La Chiesa can- ta il mistero dell’incarnazione in un inno riportato da san Paolo:
«Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simi- le agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,5-8).
N.464. L’evento unico e del tutto singolare dell’incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano.
N.470. Poiché nella misteriosa unione dell’incarnazione “la natura umana è stata assunta, senza per questo venir an- nientata”, la Chiesa nel corso dei secoli è stata condotta a confessare la piena realtà dell’anima umana, con le sue ope- razioni di intelligenza e di volontà, e del corpo umano di Cristo. Ma parallelamente ha dovuto di volta in volta ricor- dare che la natura umana di Cristo appartiene in proprio alla Persona divina del Figlio di Dio che l’ha assunta. Tutto ciò che egli è e ciò che egli fa in essa deriva da «uno della Trinità». Il Figlio di Dio, quindi, comunica alla sua umanità il suo modo personale d’esistere nella Trinità. Pertanto, nella sua anima come nel suo corpo, Cristo esprime umanamente i comportamenti divini della Trinità:
“Il Figlio di Dio [...] ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fat- to veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”.
L’anima e la conoscenza umana di Cristo
N.512. Il Simbolo della fede, a proposito della vita di Cri- sto, non parla che dei misteri dell’incarnazione (concezione e nascita) e della pasqua (passione, crocifissione, morte, se- poltura, discesa agli inferi, risurrezione, ascensione). Non dice nulla, in modo esplicito, dei misteri della vita nasco- sta e della vita pubblica di Gesù, ma gli articoli della fede concernenti l’incarnazione e la pasqua di Gesù illuminano tutta la vita terrena di Cristo. «Tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui [...] fu assunto in cielo» (At 1,1-2) deve essere visto alla luce dei misteri del natale e della pasqua.
N.513. La catechesi, secondo le circostanze, svilupperà tutta la ricchezza dei misteri di Gesù. Qui basta indicare alcuni elementi comuni a tutti i misteri della vita di Cristo (I), per accennare poi ai principali misteri della vita nascosta (II) e pubblica (III) di Gesù.
Tutta la vita di Cristo è mistero
N.514. Non compaiono nei Vangeli molte cose che interessa- no la curiosità umana a riguardo di Gesù. Quasi niente vi si dice della sua vita a Nazaret, e anche di una notevole parte della sua vita pubblica non si fa parola. Ciò che è contenu- to nei Vangeli è stato scritto «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv20,31).
N.515. I Vangeli sono scritti da uomini che sono stati tra i primi a credere e che vogliono condividere con altri la loro fede. Avendo conosciuto, nella fede, chi è Gesù, hanno potu- to scorgere e fare scorgere in tutta la sua vita terrena le trac-
ce del suo mistero. Dalle fasce della sua nascita, fino all’aceto della sua passione e al sudario della risurrezione, tutto nella vita di Gesù è segno del suo mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che «in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). In tal modo la sua umanità appare come «il sacramento», cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena con- dusse al mistero invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice.
I tratti comuni dei misteri di Gesù
N.516. Tutta la vita di Cristo è rivelazione del Padre: le sue parole e le sue azioni, i suoi silenzi e le sue sofferenze, il suo modo di essere e di parlare. Gesù può dire: «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9), e il Padre: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo» (Lc9,35). Poiché il nostro Signore si è fat- to uomo per compiere la volontà del Padre, i più piccoli trat- ti dei suoi misteri ci manifestano l’amore di Dio per noi.
517. Tutta la vita di Cristo è mistero di redenzione. La re- denzione è frutto innanzi tutto del sangue della croce, ma questo mistero opera nell’intera vita di Cristo: già nella sua incarnazione, mediante la quale, facendosi povero, ci ha ar- ricchiti con la sua povertà; nella sua vita nascosta che, con la sua sottomissione, ripara la nostra insubordinazione; nella sua parola che purifica i suoi ascoltatori; nelle guarigioni e negli esorcismi che opera, mediante i quali «ha preso le no- stre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,17); nella sua risurrezione, con la quale ci giustifica.
«Allorché si è incarnato e si è fatto uomo, ha ricapitolato in se stesso la lunga storia degli uomini e in breve ci ha procu- rato la salvezza, così che noi recuperassimo in Gesù Cristo ciò che avevamo perduto in Adamo, cioè d’essere ad imma- gine e somiglianza di Dio». «Per questo appunto Cristo è passato attraverso tutte le età della vita, restituendo con ciò a tutti gli uomini la comunione con Dio».
La nostra comunione ai misteri di Gesù
«Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pre- garlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. [...] Il Figlio di Dio desidera una certa partecipa- zione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraver- so i suoi misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi».
“La Vergine oggi dà alla luce l’Eterno
e la terra offre una grotta all’Inaccessibile.
Gli angeli e i pastori a lui inneggiano
e i magi, guidati dalla stella, vengono ad adorarlo.
Tu sei nato per noi
piccolo Bambino, Dio eterno!”.
«si forma» in noi. Natale è il mistero di questo «meraviglio- so scambio»:
“O admirabile commercium! Creator generis humani, animatum corpus sumens, de Virgine nasci dignatus est; et procedens homo sine semine, largitus est nobis suam deitatem – O meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato
da una Vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità”.
I misteri dell’infanzia di Gesù
Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso,
«luce delle genti» e «gloria di Israele», ma anche come «se- gno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli».
I misteri della vita nascosta di Gesù
“Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. [...] In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del si- lenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello spirito [...]. Essa ci insegna il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviola- bile [...]. Infine impariamo una lezione di lavoro. Oh! dimora di Nazaret, casa del «Figlio del falegname»! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana [...]. Infine vogliamo sa- lutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello”.
«battesimo» della sua morte cruenta. Già viene ad adempie- re «ogni giustizia» (Mt 3,15), cioè si sottomette totalmente alla volontà del Padre suo: accetta per amore il battesimo di morte per la remissione dei nostri peccati. A tale accetta- zione risponde la voce del Padre che nel Figlio suo si com- piace. Lo Spirito, che Gesù possiede in pienezza fin dal suo concepimento, si posa e «rimane» su di lui. Egli ne sarà la sorgente per tutta l’umanità. Al suo battesimo, «si aprirono i cieli» (Mt 3,16) che il peccato di Adamo aveva chiuso; e le acque sono santificate dalla discesa di Gesù e dello Spirito, preludio della nuova creazione.
morte e la sua risurrezione; il cristiano deve entrare in que- sto mistero di umile abbassamento e pentimento, discende- re nell’acqua con Gesù, per risalire con lui, rinascere dall’ac- qua e dallo Spirito per diventare, nel Figlio, figlio amato dal Padre e «camminare in una vita nuova» (Rm6,4):
«Scendiamo nella tomba insieme con Cristo per mezzo del Battesimo, in modo da poter anche risorgere insieme con lui; scendiamo con lui per poter anche risalire con lui; ri- saliamo con lui, per poter anche essere glorificati con lui». “Tutto ciò che è avvenuto in Cristo ci fa comprendere che, dopo l’immersione nell’acqua, lo Spirito Santo vola su di noi dall’alto del cielo e che, adottati dalla voce del Padre, diven- tiamo figli di Dio”.
La tentazione di Gesù
diavolo: egli ha legato l’uomo forte per riprendergli il suo bottino. La vittoria di Gesù sul tentatore nel deserto anti- cipa la vittoria della passione, suprema obbedienza del suo amore filiale per il Padre.
“La parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo: quelli che l’ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto”.
radicale: per acquistare il Regno, è necessario «vendere» tut- to; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti rice- vuti? Al centro delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per «conoscere i misteri del regno dei cieli» (Mt 13,11). Per coloro che riman- gono «fuori» (Mc 4,11), tutto resta enigmatico.
«Le chiavi del Regno»
«Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me; perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno, e siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele» (Lc22,29-30).
«Pietra viva», assicura alla sua Chiesa fondata su Pietro la vittoria sulle potenze di morte. Pietro, a causa della fede da lui confessata, resterà la roccia incrollabile della Chiesa. Avrà la missione di custodire la fede nella sua integrità e di confermare i suoi fratelli.
Un anticipo del Regno: la trasfigurazione
«entrare nella sua gloria» (Lc 24,26), deve passare attraver- so la croce a Gerusalemme. Mosè ed Elia avevano visto la gloria di Dio sul monte; la Legge e i profeti avevano an-
nunziato le sofferenze del Messia. La passione di Gesù è proprio la volontà del Padre: il Figlio agisce come Servo di Dio. La nube indica la presenza dello Spirito Santo: “Tota Trinitas apparuit: Pater in voce, Filius in homine, Spiritus in nube clara – Apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce, il Figlio nell’uomo, lo Spirito nella nube luminosa”:
“Tu ti sei trasfigurato sul monte, e, nella misura in cui ne erano capaci, i tuoi discepoli hanno contemplato la tua glo- ria, Cristo Dio, affinché, quando ti avrebbero visto crocifis- so, comprendessero che la tua passione era volontaria ed annunziassero al mondo che tu sei veramente l’irradiazione del Padre”.
“Pietro non lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo. Questa felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora invece egli stesso ti dice: Discendi ad affaticarti sulla terra, a servire sulla terra, a essere disprez- zato, a essere crocifisso sulla terra. È discesa la vita per es- sere uccisa; è disceso il pane per sentire la fame; è discesa la
via, perché sentisse la stanchezza del cammino; è discesa la
sorgente per aver sete; e tu rifiuti di soffrire?”.
La salita di Gesù a Gerusalemme
L’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme
lenza, ma con l’umiltà che rende testimonianza alla verità. Per questo i soggetti del suo Regno, in quel giorno, sono i fanciulli e i «poveri di Dio», i quali lo acclamano come gli angeli lo avevano annunziato ai pastori. La loro acclama- zione, «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Sal 118,26), è ripresa dalla Chiesa nel «Santo» della liturgia eu- caristica come introduzione al memoriale della pasqua del Signore.
N.571. Il mistero pasquale della croce e della risurrezione di Cristo è al centro della Buona Novella che gli Apostoli, e la Chiesa dopo di loro, devono annunziare al mondo. Il dise- gno salvifico di Dio si è compiuto «una volta sola» (Eb 9,26) con la morte redentrice del Figlio suo Gesù Cristo.
N.572. La Chiesa resta fedele all’interpretazione di tutte le Scritture data da Gesù stesso sia prima, sia dopo la sua pasqua: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26). Le sof- ferenze di Gesù hanno preso la loro forma storica concreta dal fatto che egli è stato «riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi» (Mc8,31), i quali lo hanno consegna- to «ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso» (Mt20,19).
N.573. La fede può dunque cercare di indagare le circo- stanze della morte di Gesù, fedelmente riferite dai Vangeli e illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione del senso della redenzione.
Divisioni delle autorità ebraiche a riguardo di Gesù
Il Sinedrio, avendo dichiarato Gesù reo di morte in quanto bestemmiatore, ma avendo perduto il diritto di mettere a morte, consegna Gesù ai Romani accusandolo di rivolta po- litica, cosa che lo metterà alla pari con Barabba accusato di «sommossa» (Lc 23,19). Sono anche minacce politiche quelle che i sommi sacerdoti esercitano su Pilato perché egli con- danni a morte Gesù.
Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù
Molto bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: “Quanto è stato commesso durante la passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. [...] Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura”.
Tutti i peccatori furono autori della passione di Cri-
sto
“È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno condotto Cristo al supplizio della croce, coloro che si im- mergono nell’iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi infatti – af- ferma san Paolo – se lo avessero conosciuto, non avrebbero croci- fisso il Signore della gloria (1Cor2,8). Noi cristiani, invece, pur confessando di conoscerlo, di fatto lo rinneghiamo con le nostre opere e leviamo contro di lui le nostre mani violente e peccatrici”.
“E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati”.
«Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito di Dio»
«predestinazione» includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia: «Davvero in questa città si radunaro- no insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d’Israele per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse» (At4,27-28). Dio ha permesso gli atti derivati dal loro accecamento al fine di compiere il suo disegno di salvezza.
«Morto per i nostri peccati secondo le Scritture»
vitù del peccato. San Paolo professa, in una confessione di fede che egli dice di avere «ricevuto», che «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3). La morte re- dentrice di Gesù compie in particolare la profezia del Servo sofferente. Gesù stesso ha presentato il senso della sua vita e della sua morte alla luce del Servo sofferente. Dopo la ri- surrezione, egli ha dato questa interpretazione delle Scrit- ture ai discepoli di Emmaus, poi agli stessi Apostoli.
«Dio l’ha fatto peccato per noi»
«colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
Dio ha l’iniziativa dell’amore redentore universale
«Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14). Egli afferma di «dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28); quest’ultimo termi- ne non è restrittivo: oppone l’insieme dell’umanità all’uni- ca persona del Redentore che si consegna per salvarla. La Chiesa, seguendo gli Apostoli, insegna che Cristo è morto per tutti senza eccezioni: “Non vi è, non vi è stato, non vi sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto”.
Tutta la vita di Cristo è offerta al Padre
«L’Agnello che toglie il peccato del mondo»
N.608 Dopo aver accettato di dargli il battesimo tra i pecca- tori, Giovanni Battista ha visto e mostrato in Gesù l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Egli manifesta così che Gesù è insieme il Servo sofferente che si lascia condur- re in silenzio al macello e porta il peccato delle moltitudini e l’Agnello pasquale simbolo della redenzione di Israele al tempo della prima pasqua. Tutta la vita di Cristo esprime la sua missione: servire e dare la propria vita in riscatto per molti.
Gesù liberamente fa suo l’amore redentore del Padre
Alla Cena Gesù ha anticipato l’offerta libera della sua
vita
«Questo è il mio sangue dell’Alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28).
«obbediente fino alla morte» (Fil 2,8). Gesù prega: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!» (Mt 26,39). Egli esprime così l’orrore che la morte rappresenta per la sua natura umana. Questa, infatti, come la nostra, è destinata alla vita eterna; in più, a differenza della nostra, è perfetta- mente esente dal peccato che causa la morte; ma soprattutto è assunta dalla Persona divina dell’«Autore della vita», del
«Vivente». Accettando nella sua volontà umana che sia fatta la volontà del Padre, Gesù accetta la sua morte in quanto redentrice, per «portare i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
La morte di Cristo è il sacrificio unico e definitivo
Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra disobbedienza
Sulla croce, Gesù consuma il suo sacrificio
La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo
«Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cie- lo».
«Cristo è risuscitato dai morti.
Con la sua morte ha vinto la morte, ai morti ha dato la vita».
L’avvenimento storico e trascendente
Il sepolcro vuoto
«Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34).
tutto particolare – nella costruzione dell’era nuova che ha inizio con il mattino di pasqua. Come testimoni del Risor- to essi rimangono le pietre di fondazione della sua Chiesa. La fede della prima comunità dei credenti è fondata sulla testimonianza di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a loro. Que- sti «testimoni della risurrezione di Cristo» sono prima di tutto Pietro e i Dodici, ma non solamente loro: Paolo parla chiaramente di più di cinquecento persone alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli Apostoli.
Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio e, quando vi fu l’ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo, «al- cuni [...] dubitavano» (Mt 28,17). Per questo l’ipotesi secondo cui la risurrezione sarebbe stata un «prodotto» della fede (o della credulità) degli Apostoli non ha fondamento. Al con- trario, la loro fede nella risurrezione è nata – sotto l’azione della grazia divina – dall’esperienza diretta della realtà di Gesù risorto.
Lo stato dell’umanità di Cristo risuscitata
Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un’altra vita al di là del tempo e dello spazio. Il corpo di Gesù è, nella risurrezio- ne, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è l’uomo celeste.
La risurrezione come evento trascendente
La risurrezione - opera della Santissima Trinità
con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4). San Paolo insiste sulla manifestazione della potenza di Dio per opera dello Spirito che ha vivificato l’umanità morta di Gesù e l’ha chiamata allo stato glorioso di Signore.
«Noi crediamo... che Gesù è morto e risuscitato» (1Ts 4,14).
Senso e portata salvifica della risurrezione
«Io Sono», il Figlio di Dio e Dio egli stesso. San Paolo ha po- tuto dichiarare ai Giudei: «La promessa fatta ai nostri padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, ri- suscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo:
«Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato» (At 13, 32-33). La ri- surrezione di Cristo è strettamente legata al mistero dell’in- carnazione del Figlio di Dio. Ne è il compimento secondo il disegno eterno di Dio.
«perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo del- la gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Essa consiste nella vittoria sulla morte del peccato e nella nuova partecipazione alla grazia. Essa compie l’adozione filiale poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso chiama i suoi discepoli dopo la sua risurrezione: «Andate ad annunziare ai miei fratelli» (Mt 28,10). Fratelli non per natura, ma per dono della grazia, perché questa filiazione adottiva procura una reale partecipazione alla vita del Figlio unico, la quale si è pienamente rivelata nella sua risurrezione.
di questo compimento, Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. In lui i cristiani gustano «le meraviglie del mon- do futuro» (Eb 6,5) e la loro vita è trasportata da Cristo nel seno della vita divina: «Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5,15).
Il Sacramento del Battesimo tratto dal Catechismo della Chiesa Cattolica.
N.1213. Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito («vitae spiritualis ianua»), e la porta che apre l’accesso agli altri sa- cramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua mis- sione: “Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigene- razione cristiana mediante l’acqua e la parola”.
N.1214. Lo si chiama Battesimo dal rito centrale con il qua- le è compiuto: battezzare significa «tuffare», «immergere»; l’«immersione» nell’acqua è simbolo del seppellimento del catecumeno nella morte di Cristo, dalla quale risorge con lui, quale «nuova creatura» (2Cor 5,17; Gal 6,15).
N.1215. Questo sacramento è anche chiamato il «lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo» (Tt 3,5), poiché significa e realizza quella nascita dall’acqua e dallo
Spirito senza la quale nessuno «può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).
N.1216. “Questo lavacro è chiamato illuminazione, perché co- loro che ricevono questo insegnamento [catechistico] ven- gono illuminati nella mente”. Poiché nel Battesimo ha rice- vuto il Verbo, «la luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), il battezzato, dopo essere stato «illuminato», è divenuto
«figlio della luce» e «luce» egli stesso (Ef 5,8).
II Battesimo «è il più bello e magnifico dei doni di Dio. [...] Lo chiamiamo dono, grazia, unzione, illuminazione, veste d’immortalità, lavacro di rigenerazione, sigillo, e tutto ciò che vi è di più prezioso. Dono, poiché è dato a coloro che non portano nulla; grazia, perché viene elargito anche ai colpe- voli; Battesimo, perché il peccato viene seppellito nell’acqua; unzione, perché è sacro e regale (tali sono coloro che vengo- no unti); illuminazione, perché è luce sfolgorante; veste, per- ché copre la nostra vergogna; lavacro, perché ci lava; sigillo, perché ci custodisce ed è il segno della signoria di Dio».
Le prefigurazioni del Battesimo nell’Antica Alleanza
N.1217. Nella liturgia della Notte pasquale, in occasione della benedizione dell’acqua battesimale, la Chiesa fa solenne memoria dei grandi eventi della storia della salvezza che prefiguravano il mistero del Battesimo:
“O Dio, [...] tu operi con invisibile potenza le meraviglie del- la salvezza; e in molti modi, attraverso i tempi, hai prepara- to l’acqua, tua creatura, ad essere segno del Battesimo”.
N.1218. Fin dalle origini del mondo l’acqua, questa umile e meravigliosa creatura, è la fonte della vita e della fecondi-
tà. La Sacra Scrittura la vede come «covata» dallo Spirito di Dio:
«Fin dalle origini il tuo Spirito si librava sulle acque perché
contenessero in germe la forza di santificare».
N.1219. La Chiesa ha visto nell’arca di Noè una prefigura- zione della salvezza per mezzo del Battesimo. Infatti, per mezzo di essa, «poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua» (1Pt 3,20):
«Nel diluvio hai prefigurato il Battesimo, perché, oggi come allora, l’acqua segnasse la fine del peccato e l’inizio della vita nuova».
N.1220. Se l’acqua di fonte è simbolo di vita, l’acqua del mare è un simbolo di morte. Per questo poteva essere figura del mistero della croce. Per mezzo di questo simbolismo il Bat- tesimo significa la comunione alla morte di Cristo.
N.1221. È soprattutto il passaggio del Mar Rosso, vera libe- razione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, che annunzia la liberazione operata dal Battesimo:
«Tu hai liberato dalla schiavitù i figli di Abramo, facendoli passare illesi attraverso il Mar Rosso, perché fossero imma- gine del futuro popolo dei battezzati».
N.1222. Infine il Battesimo è prefigurato nella traversata del Giordano, grazie alla quale il popolo di Dio riceve il dono della terra promessa alla discendenza di Abramo, immagi- ne della vita eterna. La promessa di questa beata eredità si compie nella Nuova Alleanza.
Il battesimo di Cristo
N.1223. Tutte le prefigurazioni dell’Antica Alleanza trovano la loro realizzazione in Gesù Cristo. Egli dà inizio alla sua vita pubblica dopo essersi fatto battezzare da san Giovanni Battista nel Giordano e, dopo la sua risurrezione, affida agli Apostoli questa missione: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Fi- glio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tut- to ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).
N.1224. Nostro Signore si è volontariamente sottoposto al battesimo di san Giovanni, destinato ai peccatori, per com- piere ogni giustizia. Questo gesto di Gesù è una manifesta- zione del suo «annientamento». Lo Spirito che si librava sul- le acque della prima creazione, scende ora su Cristo, come preludio della nuova creazione, e il Padre manifesta Gesù come il suo Figlio prediletto.
N.1225. È con la sua pasqua che Cristo ha aperto a tutti gli uomini le fonti del Battesimo. Egli, infatti, aveva già parlato della passione, che avrebbe subìto a Gerusalemme, come di un «battesimo» con il quale doveva essere battezzato. Il san- gue e l’acqua sgorgati dal fianco trafitto di Gesù crocifisso sono segni del Battesimo e dell’Eucaristia, sacramenti della vita nuova: da quel momento è possibile nascere «dall’acqua e dallo Spirito» per entrare nel regno dei cieli (Gv3,5).
“Considera, quando sei battezzato, donde viene il Battesi- mo, se non dalla croce di Cristo, dalla morte di Cristo. Tutto il mistero sta nel fatto che egli ha patito per te. In lui tu sei redento, in lui tu sei salvato”.
Il Battesimo nella Chiesa
N.1226. Dal giorno della pentecoste la Chiesa ha celebrato e amministrato il santo Battesimo. Infatti san Pietro, alla fol- la sconvolta dalla sua predicazione, dichiara: «Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). Gli Apostoli e i loro collabora- tori offrono il Battesimo a chiunque crede in Gesù: Giudei, timorati di Dio, pagani. Il Battesimo appare sempre lega- to alla fede: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia», dichiara san Paolo al suo carceriere a Filippi. Il racconto continua: «Subito il carceriere si fece battezzare con tutti i suoi» (At16,31-33).
N.1227. Secondo l’apostolo san Paolo, mediante il Battesimo il credente comunica alla morte di Cristo; con lui è sepolto e con lui risuscita:
«Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Pa- dre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm6,3-4).
I battezzati si sono «rivestiti di Cristo». Mediante l’azione dello Spirito Santo, il Battesimo è un lavacro che purifica, santifica e giustifica.
N.1228. Il Battesimo è quindi un bagno d’acqua nel quale
«il seme incorruttibile» della Parola di Dio produce il suo effetto vivificante. Sant’Agostino dirà del Battesimo: “Accedit verbum ad elementum, et fit sacramentum – Si unisce la parola all’elemento, e nasce il sacramento”.
L’iniziazione cristiana
N.1229. Diventare cristiano richiede, fin dal tempo degli Apostoli, un cammino e una iniziazione con diverse tappe. Questo itinerario può essere percorso rapidamente o lenta- mente. Dovrà in ogni caso comportare alcuni elementi es- senziali: l’annunzio della Parola, l’accoglienza del Vangelo che provoca una conversione, la professione di fede, il Bat- tesimo, l’effusione dello Spirito Santo, l’accesso alla Comu- nione eucaristica.
N.1230. Questa iniziazione ha assunto forme molto diverse nel corso dei secoli e secondo le circostanze. Nei primi secoli della Chiesa l’iniziazione cristiana ha conosciuto un grande sviluppo, con un lungo periodo di catecumenato e una serie di riti preparatori che scandivano liturgicamente il cammi- no della preparazione catecumenale per concludersi con la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana.
N.1231. Dove il Battesimo dei bambini è diventato larga- mente la forma abituale della celebrazione del sacramento, questa è divenuta un atto unico che, in modo molto abbre- viato, integra le tappe preparatorie dell’iniziazione cristia- na. Per la sua stessa natura il Battesimo dei bambini richiede un catecumenato post-battesimale. Non si tratta soltanto della necessità di una istruzione posteriore al Battesimo, ma del necessario sviluppo della grazia battesimale nella crescita della persona. È l’ambito proprio del catechismo.
N.1232. Il Concilio Vaticano II ha ripristinato, per la Chiesa latina, “il catecumenato degli adulti, diviso in più gradi”. I riti si trovano nell’Ordoinitiationischristianae adultorum (1972). Il Concilio ha inoltre permesso che «nelle terre di missione sia acconsentito accogliere [...] anche quegli elementi di ini-
ziazione in uso presso ogni popolo, nella misura in cui pos- sono essere adattati al rito cristiano».
N.1233. Oggi, dunque, in tutti i riti latini e orientali, l’inizia- zione cristiana degli adulti incomincia con il loro ingresso nel catecumenato e arriva al suo culmine nella celebrazione unitaria dei tre sacramenti del Battesimo, della Conferma- zione e dell’Eucaristia. Nei riti orientali l’iniziazione cristia- na dei bambini incomincia con il Battesimo immediatamen- te seguito dalla Confermazione e dall’Eucaristia, mentre nel rito romano essa continua durante alcuni anni di catechesi, per concludersi più tardi con la Confermazione e l’Eucari- stia, culmine della loro iniziazione cristiana.
La mistagogia della celebrazione
N.1234. Il significato e la grazia del sacramento del Batte- simo appaiono chiaramente nei riti della sua celebrazione. Seguendo con attenta partecipazione i gesti e le parole di questa celebrazione, i fedeli sono iniziati alle ricchezze che tale sacramento significa e opera in ogni nuovo battezzato.
N.1235. Il segno della croce, all’inizio della celebrazione, espri- me il sigillo di Cristo su colui che sta per appartenergli e si- gnifica la grazia della redenzione che Cristo ci ha acquistato per mezzo della sua croce.
N.1236. L’annunzio della Parola di Dio illumina con la verità rivelata i candidati e l’assemblea, e suscita la risposta del- la fede, inseparabile dal Battesimo. Infatti il Battesimo è in modo tutto particolare «il sacramento della fede», poiché segna l’ingresso sacramentale nella vita di fede.
N.1237. Dal momento che il Battesimo significa la liberazio- ne dal peccato e dal suo istigatore, il diavolo, vengono pro- nunziati uno (o più) esorcismo(i) sul candidato. Questi viene
unto con l’olio dei catecumeni, oppure il celebrante impone su di lui la mano, ed egli rinunzia esplicitamente a Satana. Così preparato, può professare la fede della Chiesa alla quale sarà «consegnato» per mezzo del Battesimo.
N.1238. L’acqua battesimale viene quindi consacrata median- te una preghiera di epiclesi (sia al momento stesso, sia nel- la Veglia pasquale). La Chiesa chiede a Dio che, per mezzo del suo Figlio, la potenza dello Spirito Santo discenda su quest’acqua, in modo che quanti vi saranno battezzati na- scano «dall’acqua e dallo Spirito» (Gv 3,5).
N.1239. Segue poi il rito essenziale del sacramento: il Batte- simo propriamente detto, che significa e opera la morte al peccato e l’ingresso nella vita della Santissima Trinità at- traverso la configurazione al mistero pasquale di Cristo. Il Battesimo viene compiuto nel modo più espressivo per mezzo della triplice immersione nell’acqua battesimale. Ma fin dall’antichità può anche essere conferito versando per tre volte l’acqua sul capo del candidato.
N.1240. Nella Chiesa latina questa triplice infusione è ac- compagnata dalle parole del ministro: “N., io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Nelle litur- gie orientali, mentre il catecumeno è rivolto verso l’Oriente, il sacerdote dice: “Il servo di Dio, N., è battezzato nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo”. E, all’invoca- zione di ogni Persona della Santissima Trinità, lo immerge nell’acqua e lo risolleva.
N.1241. L’unzione con il sacro crisma, olio profumato consa- crato dal Vescovo, significa il dono dello Spirito Santo elar- gito al nuovo battezzato. Egli è divenuto un cristiano, ossia
«unto» di Spirito Santo, incorporato a Cristo, che è unto Sa- cerdote, Profeta e Re.
N.1242. Nella liturgia delle Chiese Orientali, l’unzione post- battesimale costituisce il sacramento della Crismazione (Confermazione). Nella liturgia romana, essa annunzia una seconda unzione con il sacro crisma che sarà effettuata dal Vescovo: cioè il sacramento della Confermazione, il quale, per così dire, «conferma» e porta a compimento l’unzione battesimale.
N.1243. La veste bianca significa che il battezzato si è rivesti- to di Cristo, che egli è risorto con Cristo. La candela, accesa al cero pasquale, significa che Cristo ha illuminato il neofita. In Cristo i battezzati sono «la luce del mondo» (Mt5,14).
Il nuovo battezzato è ora figlio di Dio nel Figlio unigenito. Può dire la preghiera dei figli di Dio: il Padre nostro.
N.1244. La prima Comunione eucaristica. Divenuto figlio di Dio, rivestito dell’abito nuziale, il neofita è ammesso «al banchetto delle nozze dell’Agnello» e riceve il nutrimento della vita nuova, il Corpo e il Sangue di Cristo. Le Chiese Orientali conservano una viva coscienza dell’unità dell’ini- ziazione cristiana amministrando la santa Comunione a tutti i neo-battezzati e confermati, anche ai bambini piccoli, ricordando la parola del Signore: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite» (Mc 10,14). La Chiesa latina, che permette l’accesso alla santa Comunione solo a coloro che hanno raggiunto l’uso di ragione, mette in luce che il Battesimo introduce all’Eucaristia accostando all’al- tare il bambino neo-battezzato per la preghiera del «Padre nostro».
N.1245. La benedizione solenne conclude la celebrazione del Battesimo. In occasione del Battesimo dei neonati la benedi- zione della madre occupa un posto di rilievo.
N.1246. «È capace di ricevere il Battesimo ogni uomo e solo
l’uomo non ancora battezzato».
Il Battesimo degli adulti
N.1247. Dalle origini della Chiesa, il Battesimo degli adulti è la situazione più normale là dove l’annunzio del Vangelo è ancora recente. Il catecumenato (preparazione al Battesimo) occupa in tal caso un posto importante. In quanto iniziazio- ne alla fede e alla vita cristiana, esso deve disporre ad acco- gliere il dono di Dio nel Battesimo, nella Confermazione e nell’Eucaristia.
N.1248. Il catecumenato, o formazione dei catecumeni, ha lo scopo di permettere a questi ultimi, in risposta all’iniziativa divina e in unione con una comunità ecclesiale, di condurre a maturità la loro conversione e la loro fede. Si tratta di una formazione «alla vita cristiana» mediante la quale “i disce- poli vengono in contatto con Cristo, loro Maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza e alla pratica delle norme evangeliche, e mediante i riti sacri, da celebrare in tempi successivi, siano introdotti nella vita della fede, della liturgia e della carità del popolo di Dio”.
N.1249. I catecumeni “sono già uniti alla Chiesa, apparten- gono già alla famiglia del Cristo, e spesso vivono già una vita di fede, di speranza e di carità”. “La Madre Chiesa, come già suoi, li ricopre del suo amore e delle sue cure”.
Il Battesimo dei bambini
N.1250. Poiché nascono con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato originale, anche i bambini hanno bisogno della nuova nascita nel Battesimo per essere libera- ti dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati. La pura gratuità della grazia della salvezza si manifesta in modo tutto particolare nel Battesimo dei bambini. La Chie- sa e i genitori priverebbero quindi il bambino della grazia inestimabile di diventare figlio di Dio se non gli conferisse- ro il Battesimo poco dopo la nascita.
N.1251. I genitori cristiani riconosceranno che questa prati- ca corrisponde pure al loro ruolo di alimentare la vita che Dio ha loro affidato.
N.1252. L’usanza di battezzare i bambini è una tradizione della Chiesa da tempo immemorabile. Essa è esplicitamente attestata fin dal secondo secolo. È tuttavia probabile che, fin dagli inizi della predicazione apostolica, quando «famiglie» intere hanno ricevuto il Battesimo, siano stati battezzati an- che i bambini.
Fede e Battesimo
N.1253. Il Battesimo è il sacramento della fede. La fede però ha bisogno della comunità dei credenti. È soltanto nella fede della Chiesa che ogni fedele può credere. La fede richiesta per il Battesimo non è una fede perfetta e matura, ma un inizio, che deve svilupparsi. Al catecumeno o al suo padri- no viene domandato: «Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?». Ed egli risponde: «La fede!».
N.1254. In tutti i battezzati, bambini o adulti, la fede deve crescere dopo il Battesimo. Per questo ogni anno, nella Veglia pasquale, la Chiesa celebra la rinnovazione delle promesse battesimali. La preparazione al Battesimo conduce soltanto alla soglia della vita nuova. Il Battesimo è la sorgente della vita nuova in Cristo, dalla quale fluisce l’intera vita cristiana.
N.1255. Perché la grazia battesimale possa svilupparsi è importante l’aiuto dei genitori. Questo è pure il ruolo del padrino o della madrina, che devono essere credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana il neo-battezzato, bambino o adulto. Il loro compito è una vera funzione ecclesiale (“officium”). L’intera comunità eccle- siale ha una parte di responsabilità nello sviluppo e nella conservazione della grazia ricevuta nel Battesimo.
N.1256. I ministri ordinari del Battesimo sono il Vescovo e il presbitero, e, nella Chiesa latina, anche il diacono. In caso di necessità, chiunque, anche un non battezzato, pur- ché abbia l’intenzione richiesta, può battezzare, utilizzando la formula battesimale trinitaria. L’intenzione richiesta è di voler fare ciò che fa la Chiesa quando battezza. La Chiesa trova la motivazione di questa possibilità nella volontà sal- vifica universale di Dio e nella necessità del Battesimo per la salvezza.
N.1257. Il Signore stesso afferma che il Battesimo è necessa- rio per la salvezza. Per questo ha comandato ai suoi discepo- li di annunziare il Vangelo e di battezzare tutte le nazioni. Il Battesimo è necessario alla salvezza per coloro ai quali è stato annunziato il Vangelo e che hanno avuto la possibilità di chiedere questo sacramento. La Chiesa non conosce al-
tro mezzo all’infuori del Battesimo per assicurare l’ingresso nella beatitudine eterna; perciò si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far rinascere «dall’acqua e dallo Spirito» tutti coloro che possono essere battezzati. Dio ha legato la salvezza al sacramento del Battesimo, tuttavia egli non è legato ai suoi sacramenti.
N.1258. Da sempre la Chiesa è fermamente convinta che quanti subiscono la morte a motivo della fede, senza aver ricevuto il Battesimo, vengono battezzati mediante la loro stessa morte per Cristo e con lui. Questo Battesimo di sangue, come pure il desiderio del Battesimo, porta i frutti del Battesi- mo, anche senza essere sacramento.
N.1259. Per i catecumeni che muoiono prima del Battesimo, il loro desiderio esplicito di riceverlo, unito al pentimento dei propri peccati e alla carità, assicura loro la salvezza che non hanno potuto ricevere mediante il sacramento.
N.1260. “Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibi- lità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mi- stero pasquale”. Ogni uomo che, pur ignorando il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cerca la verità e compie la volontà di Dio come la conosce, può essere salvato. È lecito supporre che tali persone avrebbero desiderato esplicitamente il Battesi- mo, se ne avessero conosciuta la necessità.
N.1261. Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appun- to fa nel rito dei funerali per loro. Infatti, la grande mise- ricordia di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4), e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha fatto dire: «Lasciate che i bambini vengano a me e
non glielo impedite» (Mc10,14), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesi- mo. Tanto più pressante è perciò l’invito della Chiesa a non impedire che i bambini vengano a Cristo mediante il dono del santo Battesimo.
N.1262. I diversi effetti operati dal Battesimo sono signifi- cati dagli elementi sensibili del rito sacramentale. L’immer- sione nell’acqua richiama i simbolismi della morte e della purificazione, ma anche della rigenerazione e del rinnova- mento. I due effetti principali sono dunque la purificazione dai peccati e la nuova nascita nello Spirito Santo.
Per la remissione dei peccati
N.1263. Per mezzo del Battesimo sono rimessi tutti i pecca- ti, il peccato originale e tutti i peccati personali, come pure tutte le pene del peccato. In coloro che sono stati rigenerati, infatti, non rimane nulla che impedisca loro di entrare nel regno di Dio, né il peccato di Adamo, né il peccato perso- nale, né le conseguenze del peccato, di cui la più grave è la separazione da Dio.
N.1264. Rimangono tuttavia nel battezzato alcune conse- guenze temporali del peccato, quali le sofferenze, la malat- tia, la morte, o le fragilità inerenti alla vita come le debolezze del carattere, ecc., e anche una inclinazione al peccato che la Tradizione chiama la concupiscenza, o, metaforicamente, l’incentivo del peccato (“fomes peccati”): “Essendo questa la- sciata per la prova, non può nuocere a quelli che non vi ac- consentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, «non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole» (2Tm2,5)”.
«Una nuova creatura»
N.1265. Il Battesimo non soltanto purifica da tutti i peccati, ma fa pure del neofita una «nuova creatura» (2Cor 5,17), un figlio adottivo di Dio che è divenuto «partecipe della natura divina» (2Pt1,4), membro di Cristo e coerede con lui, tempio dello Spirito Santo.
santificante, la grazia della giustificazione che:
In questo modo tutto l’organismo della vita soprannaturale
del cristiano ha la sua radice nel santo Battesimo.
Incorporati alla Chiesa, corpo di Cristo
N.1267. Il Battesimo ci fa membra del corpo di Cristo. «Sia- mo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). Il Battesimo incor- pora allaChiesa. Dai fonti battesimali nasce l’unico popolo di Dio della Nuova Alleanza che supera tutti i limiti naturali
o umani delle nazioni, delle culture, delle razze e dei sessi:
«In realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1Cor 12,13).
N.1268. I battezzati sono divenuti «pietre vive per la costru- zione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo» (1Pt 2,5). Per mezzo del Battesimo sono partecipi del sacerdozio di Cristo, della sua missione profetica e regale, sono «la stir- pe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di
lui» che li «ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt2,9). Il Battesimo rende partecipi del sacerdozio comune dei fedeli.
N.1269. Divenuto membro della Chiesa, il battezzato non appartiene più a se stesso, ma a colui che è morto e risusci- tato per noi. Perciò è chiamato a sottomettersi agli altri, a servirli nella comunione della Chiesa, ad essere «obbedien- te» e «sottomesso» ai capi della Chiesa, e a trattarli «con rispetto e carità». Come il Battesimo comporta responsabi- lità e doveri, allo stesso modo il battezzato fruisce anche di diritti in seno alla Chiesa: quello di ricevere i sacramenti, di essere nutrito dalla Parola di Dio e sostenuto dagli altri aiuti spirituali della Chiesa.
N.1270. “Rigenerati [dal Battesimo] per essere figli di Dio, [i battezzati] sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa” e a partecipare all’atti- vità apostolica e missionaria del popolo di Dio.
Il vincolo sacramentale dell’unità dei cristiani
N.1271. Il Battesimo costituisce il fondamento della comu- nione tra tutti i cristiani, anche con quanti non sono ancora nella piena comunione con la Chiesa cattolica: “Quelli infat- ti che credono in Cristo ed hanno ricevuto debitamente il Battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica. [...] Giustificati nel Batte- simo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chie- sa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore”. “Il Battesimo quindi costituisce il vincolosacramen- tale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati”.
Un sigillo spirituale indelebile
N.1272. Incorporato a Cristo per mezzo del Battesimo, il battezzato viene conformato a Cristo. Il Battesimo segna il cristiano con un sigillo spirituale indelebile (“carattere”) della sua appartenenza a Cristo. Questo sigillo non viene cancellato da alcun peccato, sebbene il peccato impedisca al Battesimo di portare frutti di salvezza. Conferito una volta per sempre, il Battesimo non può essere ripetuto.
N.1273. Incorporati alla Chiesa per mezzo del Battesimo, i fedeli hanno ricevuto il carattere sacramentale che li consa- cra per il culto religioso cristiano. Il sigillo battesimale abi- lita e impegna i cristiani a servire Dio mediante una viva partecipazione alla santa liturgia della Chiesa e a esercitare il loro sacerdozio battesimale con la testimonianza di una vita santa e con una operosa carità.
N.1274. Il «sigillo del Signore» è il sigillo con cui lo Spirito Santo ci ha segnati «per il giorno della redenzione» (Ef4,30).
«Il Battesimo, infatti, è il sigillo della vita eterna». Il fedele che avrà «custodito il sigillo» sino alla fine, ossia che sarà rimasto fedele alle esigenze del proprio Battesimo, potrà morire nel «segno della fede», con la fede del proprio Batte- simo, nell’attesa della beata visione di Dio – consumazione della fede – e nella speranza della risurrezione.
Nel Battesimo scende sul bambino Lo Spirito Santo (ovvero lo Spirito di Gesù morto e risorto per noi) Lo Spirito prende- rà dimora nel piccolo battezzato.
Il male adesso non fa più parte del bambino è un’anima pura consacrata a Dio.
orazioNe di esorcismo e UNzioNe Prebattesimale
Dio onnipotente ed eterno,
tu hai mandato nel mondo il tuo Figlio
per distruggere il potere di satana, spirito del male, e trasferire l’uomo
dalle tenebre nel tuo regno di luce infinita;
umilmente ti preghiamo:
libera questo bambino dal peccato originale, e consacralo tempio della tua gloria, dimora dello Spirito Santo.
Per Cristo nostro Signore.
Ai tempi della Bibbia si ungevano con l’olio i Re, i profeti e tutti coloro che operavano in nome di Dio. Colui che veniva unto era il prescelto da Dio. Il Re Davide stesso venne scelto tramite l’unzione. Il battezzato che viene unto con il crisma diventa un prescelto ed entra a far parte del popolo di Dio. Ecco le parole del sacerdote durante il rito dell’unzione bat- tesimale:
Celebrante Ti ungo con l’olio, segno di salvezza:
ti fortifichi con la sua potenza Cristo Salvatore, che vive e regna nei secoli dei secoli.
Dio sin dai tempi dei tempi ha purificato e salvato l’uomo per mezzo dell’acqua, (Noè con il diluvio, Mosè salva il po- polo attraversando il mar Rosso ecc. ecc.) l’acqua è simbolo che salva dalla schiavitù del peccato. Dal costato di Gesù crocifisso sgorgano sangue ed acqua simboli della Divina Misericordia e della salvezza del mondo. Su Gesù battezza- to nel Giordano scende lo Spirito Santo così avviene ancora oggi su ogni battezzato. L’acqua con cui viene lavato il capo è indice di purificazione dal peccato, così ogni bambino bat- tezzato rinasce come Gesù risorto a nuova vita.
Celebrante
Fratelli carissimi,
preghiamo Dio, Padre onnipotente,
perché questo bambino rinasca alla nuova vita dall’acqua e dallo Spirito Santo.
riNUNcia a sataNa
Il celebrante si rivolge ai genitori e ai padrini con queste precise parole:
Celebrante: Rinunciate al peccato, per vivere nella libertà
dei figli di Dio?
Genitori e padrini: Rinuncio.
Celebrante: Rinunciate alle seduzioni del male, per non lasciarvi dominare dal peccato?
Genitori e padrini: Rinuncio.
Celebrante: Rinunciate a satana, origine e causa di ogni peccato?
Genitori e padrini: Rinuncio.
Queste sono le promesse che al tempo i nostri genitori fece- ro per noi davanti a Dio. Ma noi crescendo abbiamo davve- ro rinunciato al peccato? Rinunciare al peccato non significa non peccare ma essere consapevoli di cosa significa peccare e cercare con tutte le nostre forze di tenersene lontani. Quali sono le seduzioni del male? come possiamo allontanarle? Crediamo nell’esistenza di Satana e se ci crediamo come ne stiamo lontani?
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».
«e tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (ibid.). Anche quando si difende la propria fede e le proprie convinzioni, bisogna farlo con mitezza (cfr 1Pt 3,16), e persi- no gli avversari devono essere trattati con mitezza (cfr 2Tm 2,25). Nella Chiesa tante volte abbiamo sbagliato per non aver accolto questo appello della Parola divina.
«Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola» (Is 66,2).
Reagire con umile mitezza, questo è santità.
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno con- solati».
Saper piangere con gli altri, questo è santità.
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati».
Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santi-
tà.
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericor- dia».
«siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordio- so. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati; date e vi sarà dato» (6,36-38). E dopo Luca aggiunge qualcosa che non dovremmo trascurare: «Con la misura con la quale mi- surate, sarà misurato a voi in cambio» (6,38). La misura che usiamo per comprendere e perdonare verrà applicata a noi per perdonarci. La misura che applichiamo per dare, sarà applicata a noi nel cielo per ricompensarci. Non ci conviene dimenticarlo.
«settanta volte sette» (Mt 18,22). Occorre pensare che tut- ti noi siamo un esercito di perdonati. Tutti noi siamo stati guardati con compassione divina. Se ci accostiamo sincera-
mente al Signore e affiniamo l’udito, probabilmente sentire- mo qualche volta questo rimprovero: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt18,33).
Guardare e agire con misericordia, questo è santità.
«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
15,18), perché da lì procedono gli omicidi, i furti, le false te- stimonianze, e così via (cfr 15,19). Nelle intenzioni del cuore hanno origine i desideri e le decisioni più profondi che real- mente ci muovono.
Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questo è santità.
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».
quando fossero giunti in una casa dicessero: «Pace a questa casa!» (Lc 10,5). La Parola di Dio sollecita ogni credente a cercare la pace insieme agli altri (cfr 2Tm 2,22), perché «per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia» (Gc 3,18). E se in qualche caso nella nostra comunità abbiamo dubbi su che cosa si debba fare,
«cerchiamo ciò che porta alla pace» (Rm 14,19), perché l’uni-
tà è superiore al conflitto.
Seminare pace intorno a noi, questo è santità.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli».
Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità.
recitiamo ogNi giorNo
“Maria aiutami a conoscere tuo Figlio Gesù” e “To- tuus Tuus”.
esame di coscieNza
(da effettuare alla fine della quarta tappa)
QUiNta taPP a
IL RITORNO AL PADRE MISERICORDIOSO
Eccoci arrivati all’ultima tappa del nostro cammino di pre- parazione.
Ci siamo posti la domanda chi è Gesù per ciascuno di noi? abbiamo conosciuto il volto di Cristo e quindi del Padre at- traverso i quattro vangeli.
In questa tappa con l’aiuto di Maria e Gesù, illuminati dallo Spirito Santo, ci accingiamo a conoscere l’attributo più gran- de del Padre, il volto di Dio Padre Misericordioso.
Nella tappa precedente abbiamo scoperto il volto di Cristo attraverso le scritture dei quattro Evangelisti, in questa tap- pa faremo riferimento all’evangelista della Misericordia, Luca, egli attraverso le sue parabole ci conduce a scoprire l’infinita Misericordia di Dio Padre per noi figli. In partico- lar modo faremo riferimento alla parabola del figliol prodi- go.
Tante volte l’abbiamo letta. Sappiamo che è sbagliato chia- marla “la parabola del figliol prodigo”, perché in realtà non si parla di un figlio, ma di due figli. Forse è più giusto chia- marla, come suggeriscono alcuni, “la parabola del padre misericordioso” (Lc 15,11-32)
Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta
Apparentemente tutto sembra pacifico e lineare, ma così
non è perché ci troviamo di fronte a una tragedia.
Ai tempi di Gesù solo il primogenito eredita. La richiesta dell’eredità, infatti, da parte del figlio più giovane non del primogenito, è quindi illegale. Questa richiesta è un atto di egoismo da parte del figlio. Richiedere, al padre l’eredità, un evento inaudito, ingiurioso, offensivo, in netta contrad- dizione con la tradizione più onorata del tempo. La richiesta è un netto rifiuto della figura paterna, significa che il figlio desidera che suo padre muoia. È il figlio che non riconosce il Padre come colui che gli ha dato la vita ma solo come co- lui che gli crea impedimenti alle sue scelte e alla sua vita. È come dire al Padre: “Tutto ciò che hai fatto per me non ha valore, è ora che io faccia di me secondo la mia e non la Tua volontà!” È voltare le spalle a Dio Padre.
Il padre divise tra loro le sostanze
Il Padre, non contraddice il figlio, a rigore di legge, avreb- be potuto buttarlo fuori di casa senza dargli nulla; oppure, come abbiamo visto, poteva condurlo in giudizio e chieder- ne la morte per lapidazione, invece regala l’eredità in egual parte ai suoi figli sia al dissoluto sia al risentito. Troviamo nel gesto del padre qualcosa di più dell’amore affettivo di un padre: il figlio è nemico del padre, e il padre lo ama senza porre condizioni, svelando così nel suo anonimato il volto intimo del Padre dei cieli che è amore puro, infinito, senza se e senza ma, che fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti (Mt5,45).
Dio dà a ciascuno di noi l’eredità, la possibilità di essere nel Regno di Dio. Il Padre come Dio Padre non può obbligare con la forza della Legge ad amare con il cuore, perché nes- suna legge può imporre i sentimenti e tanto meno l’amore. Egli continua ad amare anche chi non lo ama più in questo il padre incarna il messaggio di Gesù: «Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso... Amate invece i vostri nemici, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc6,32.35-36).
L’amore e l’odio sono come l’olio, ovunque cadano lasciano il segno e non solo, dilagano sempre più, spetta a noi sce- gliere cosa diffondere amore o odio? La misericordia non ha la logica della ragione, ma è la ragione dell’amore che genera e salva.
Noi non siamo pedine nelle mani di Dio, Egli ci ha pregia- ti con un grande dono d’amore “il libero arbitrio” ciò vuol dire che la scelta è nelle nostre mani. Dio come il Padre della Parabola ci lascia liberi di scegliere il bene o il male, la vera felicità o le felicità illusorie, la vita o la morte. Dio come il padre della parabola ci lascia liberi di andare, di sperimen- tare, di conoscere il bene e il male e quindi scegliere l’uno o l’altro nella consapevolezza di ciò che si sceglie.
La misericordia non ha la logica della ragione, ma è la ra- gione dell’amore che genera e salva. Il figlio è già salvo, non può perdersi e noi già ora sappiamo che egli si salverà, non perché si convertirà di sua iniziativa, ma solo perché il pa- dre ha posto le premesse della sua redenzione.
Il padre sa che solo lui può salvare il figlio, ma per salvarlo deve morire a se stesso cioè deve sopprime il proprio ego, il proprio io per perdonare il figlio e dare così la possibilità di tornare al Padre: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto»
(Gv 12,24). Gesù ha scelto di morire per noi cosicché ciascu- no di noi potesse avere l’opportunità di tornare al Padre, e come il padre del figliol prodigo sceglie di stare con i suoi figli fino in fondo fino alla morte, annullando così la pretesa del figlio di volere vivere per conto suo.
Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolse le sue cose e partì per un paese lontano.
La Parola di Dio è viva ed illuminante, un esempio palese lo è la parabola del figliol prodigo che ciascuno di noi sente attuale se riportata nella modalità odierna. Andarsene di casa vuol dire voler diventare sordi alla voce che mi chiama figlio prediletto, vuol dire sentirsi più attratto da altre voci, forti, piene di promesse e di seduzioni che ti appaiono fonte di felicità e di libertà ma invece ti relegano la morte del cor- po e dell’anima.
Dio mi ama a tal punto che mi lascia libero di andarme- ne da casa... verso un «paese lontano», mi lascia libero di rinnegarlo e di allontanarmi da lui per seguire me stesso e i desideri del mondo; sono io il figliol prodigo. Ma il Pa- dre continua a cercarmi e attendermi sempre con le braccia aperte per accogliermi.
Più corro lontano dal luogo in cui Dio dimora, meno sen- to la voce che mi chiama “figlio prediletto” e più rimango invischiato nelle manipolazioni e nei giochi di potere del mondo.
E là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.
La parola dissoluto significa sciolto da ogni freno morale, quindi libero da ritegno, sregolato, vizioso. Il figlio sceglie di dissipare i beni del padre, la sua parte di eredità nel pec- cato, nella vita dissoluta nella felicità illusoria.
Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel biso- gno.
Quando si tocca il fondo hai due possibilità o tornare indie- tro e risorgere a nuova vita o restare dove sei e aspettare la morte.
Il figliol prodigo è come un pesce d’acqua dolce che nuota nel fiume ma più si avvicina al mare più sente l’acqua divenire salata, l’istin- to di sopravvivenza in lui gli dice che continuare su quella strada lo condurrà verso acque sempre più salate, verso il mare (male) il che significa la morte, l’istinto fa sì che il pesce cambi il suo per- corso e torni indietro verso il fiume.
Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.
Ridotto alla fame, per sopravvivere è costretto a fare il man- driano di porci.
Dio entra nella vita dell’uomo e a volte permette che l’uomo speri- menti la sofferenza del male per poi, come il figliol prodigo, poter essere posto innanzi a una scelta di vita o di morte, quanti di noi hanno trovato Dio proprio in un momento di grande sofferenza? il figliol prodigo sperimenta il male e poi la sofferenza che da esso ne deriva, tocca il fondo e comprende (come il pesciolino) che se continua su quella strada prima o poi incontrerà la morte.
Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni.
Perché il figlio prodigo si converte?
Vediamo da soli che la conversione radicale, che avviene nel figlio, non deriva per nulla da una riflessione su quello che è giusto o sbagliato, su ciò che è bene o male, sulla neces- sità di essere generosi e su quanto sia brutto essere egoisti. Niente di tutto ciò. Per carità, queste sono tutte cose molto importanti, ma le si può veramente capire solo dopo che ci si è convertiti. Ai fini della conversione non servono prati- camente a nulla.
La conversione viene descritta esattamente così: «Ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in ab- bondanza e io qui muoio di fame!» È come un risveglio, è una nuova comprensione. Ritornò in se stesso, cioè «capì». A un certo punto a questo giovane uomo cadono le scaglie dagli occhi, e si rende conto che la vita che sta conducendo gli fa male.
Bergoglio battezza questa parabola con un nuovo nome: “Il giovane furbo”. Papa Francesco spiega che questo giovane furbo ha avuto, a dire il vero, un atteggiamento molto mo- derno: egli “havolutoscrivere da solo la propria vita” prenden-
do letteralmente “acalci le regole della disciplina paterna”. Così questo giovane furbo, che è il figliol prodigo, ha continuato il Pontefice “se l’è spassata per bene” fino a quando anche lui, nonostante fosse il figlio del padrone, “ha conosciuto quello che mai aveva conosciuto prima: la fame“.
È in questo momento che interviene la misericordia di Dio che, al posto di chiudere definitivamente le porte a questo giovane furbo che aveva tutto e lo ha sperperato, le spalan- ca: “Dio è molto buono – ha così detto il Santo Padre ai gio- vani – Dio approfitta dei nostri fallimenti per parlarci al cuore“. Così vediamo nella parabola che “Dio non ha detto a questo giovane: ‘Sei un fallito, guarda cosa hai combinato!’” ma Egli in- terviene facendo ragionare il giovane e facendolo ritornare sui suoi passi, tanto che il Vangelo dice che il giovane “è rientrato in sé“: il giovane si è domandato “Cosa me ne faccio di questa vita? La baldoria non mi è servita a nulla“.
Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era an- cora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
L’abbraccio del Padre converte il cuore.
Gli occhi si fissano su un quadro: un padre che abbraccia il figlio. Inizia il cammino di conversione di un uomo, di ognuno di noi, riflettendo sulla parabola del figliol prodigo: perdonare e accettare il perdono...
L’abbraccio benedicente
Il particolare del quadro Ritorno del figlio prodigo di Rem- brandt, su sfondo rosso, cattura l’attenzione del lettore che si avventura tra le pagine del libro di Nouwen. Due mani che abbracciano: una maschile e una dalle fattezze femminili l’abbraccio di Dio, abbraccio di Padre e di Madre. Nouwen,
scopre, in seguito all’incontro con il Ritorno del figlio prodigo, il bisogno di mettersi a servizio degli altri e l’esigenza di tornare all’autenticità della fede:
Quando i suoi occhi nel 1983 puntarono l’attenzione sul quadro fu amore a prima vista: “Mi sentivo attratto dall’in- timità delle due figure”. Iniziò allora un viaggio alla ricerca del suo significato e passo a passo vennero alla luce picco- li particolari che lo aiutarono a interrogarsi e a cercare ri- sposte sul rapporto io–Dio, una relazione che non deve mai considerarsi arrivata. La sorpresa dell’autore fu grande e, inizialmente quasi sconvolgente: le tre figure chiavi della parabola, le stesse rappresentate da Rembrandt, coesistono a diversi livelli in ognuno di noi: padre, figlio prodigo e fi- glio maggiore. Le due mani una maschile l’altra femmini- le stanno a significare che Dio è un Padre materno capace dunque d’essere compassionevole e premuroso come solo una madre sa essere.
La Misericordia del Padre per tutti i figli
Gesù ha raccontato la parabola del figliol prodigo per farci capire quanto è importante saper tornare sui nostri passi, come è importante saper chiedere perdono, quanto bisogna preoccuparsi per quei nostri fratelli che percorrono una cat- tiva strada mentre noi siamo al sicuro nelle vie del Signore; ma soprattutto ci ha mostrato la grandezza dell’Amore del Padre: «Andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Non ebbe bisogno, il figliol pro- digo, di entrare in casa, salire le scale, gettarsi ai piedi del padre: lo trovò ad attenderlo fuori di casa, con le braccia
aperte, pronto ad abbracciarlo, felice del suo ritorno! Questo è nostro Padre, Questo è il nostro Dio! Vogliamo cercare di capire il suo Amore, vogliamo provare a ricambiarlo, a get- tarci tra le sue braccia?
Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.
Il figlio, riconosce la sua miseria e la sua colpa.
Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E comin- ciarono a far festa.
Nell’immagine del padre che fa banchetto di festa per il fi- glio tornato in vita, riconosciamo Dio Padre che ci ha tanto amati «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque cre- de in lui non muoia ma abbia la vita eterna» riconosciamo il versetto di Luca 18: «Ci sarà più gioia in cielo per un pecca- tore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione». Nel “vitello grasso” ammazzato, possiamo riconoscere il Cristo, l’agnello di Dio che si offre come vittima di espiazione per riscattarci dal peccato.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quan- do fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammaz- zare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei
amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tor- nato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Il padre agisce nello stesso modo con tutti e due i suoi figli, e lui che va incontro a loro per farli entrare in casa sua Il maggiorenne, fa vedere un’atteggiamento di arroganza non solo nei confronti di suo fratello, ma anche nei confronti di suo padre! Il suo rimproverare contrasta molto la tenerezza del padre che uscendo da casa, gli va incontro a “pregarlo” di entrare in casa (Lc 15,20,28). È l’immagine di Dio Padre che ci invita alla conversione, a ritornare da lui.
Il comportamento paterno lo ferisce, la ferita gli procura do- lore, il dolore provoca una reazione di rifiuto, il rifiuto gene- ra la rabbia, la rabbia si manifesta con l’aggressività (verbale o fisica), l’aggressività sfocia nel rancore e nell’odio, l’odio alimentato può portare alla ribellione verso tutto e tutti o alla depressione.
Questo giovane sta male. Vede nel padre la causa del suo malessere e si scaglia contro di lui. Non è minimamente co- sciente che il vero problema è la sua reazione alla circostan- za. Non è cosciente che la sua reazione è tale, perché non è sano, cioè non ha motivazioni sane, non ha sentimenti sani. È malato e il suo comportamento lo dimostra.
Perché non si è rallegrato come il padre per il ritorno del fra- tello? Perché non ha festeggiato anche lui per la possibilità di relazionarsi nuovamente con la persona del fratello?
Perché il bisogno di sentirsi considerato e valorizzato dal padre lo condizionava a tal punto da volersi sentire una fi- gura importante per lui. Voleva sentirsi dire: “Tu sei un bra- vo figlio, sono orgoglioso di te, apprezzo tutto quello che fai, mi dai fiducia, ti affido tutti i miei beni, ecc.”
Non entra. Rifiuta il padre più che il fratello. È il comporta- mento del padre che lo ferisce e non tanto quanto il fratello possa aver fatto. Si sente vittima di una ingiustizia e colui che l’ha provocata è il padre con il suo atteggiamento in- comprensibile e inaccettabile.
Non entrando, vuole punire il padre più che dimostrare una sostanziale contrarietà con l’operato del fratello.
È roso dentro anche dalla gelosia. Questo fratello, che an- dandosene gli aveva permesso di creare una relazione pri- vilegiata con il padre, adesso è di nuovo lì e gli sta portando via l’affetto, l’amore del padre. Ricordando al padre che il suo operato ha dilapidato i suoi beni, cioè mettendo in ri- lievo i suoi lati negativi con una critica distruttiva e deni- gratoria, cerca di eliminare il fratello dalla vita del padre e rimanere lui l’unico oggetto dell’attenzione paterna.
Anche questo figlio deve guarire ha una ferita emozionale
anche lui ha bisogno dell’abbraccio del Padre.
Ma chi è oggi il figlio maggiore?
È colui che si scaglia contro Dio perché vive una situazione di disagio, è colui che è rimasto nella casa del Padre per sentirsi lodato, apprezzato e prova invidia e gelosia quando il Padre esulta per uno dei suoi figli persi ritornata alla casa così dissemina maldicenza contro il fratello per ricordare al Padre chi era costui e tutto il male compiuto. È colui che non ama il prossimo e non ne è capace perché in realtà è insicuro dell’amore del Padre e cerca in ogni modo di conquistarlo.
Lasciandoci invadere dall’amore di Gesù per il prossimo, guariremo dalle nostre ferite, cioè dai nostri bisogni e dal- le nostre aspettative, dai rancori, dalle rabbie, dai giudizi taglienti, dall’odio, dal rifiuto, dal senso di abbandono, di solitudine, ecc.
Dal costato di Gesù trafitto dalla lancia fuoriesce sangue ed acqua. Il sangue del corpo di Cristo secondo i Padri del- la chiesa è simbolo dell’eucarestia e l’acqua è il simbolo del Battesimo sono i due sacramenti che sgorgano per noi dal costato di Cristo e che daranno origine al nuovo popolo di Dio che formerà la sua Chiesa. Anche Suor Faustina vede Gesù, il Risorto, con due raggi che gli sgorgano dal cuore uno bianco (Acqua) e uno rosso (sangue) sarà Gesù stesso a dare a suor Faustina il significato dei due raggi: il bianco è l’acqua per la giustificazione delle anime il rosso è il Mio sangue per la vita eterna delle anime entrambi scaturiscono dal Mio cuore.
Così come i sacramenti del Battesimo e dell’Eucarestia ci fanno rinascere a Vita Nuova anche la Misericordia di Dio dà a tutti la possibilità di convertirsi e rinascere a Vita Nuo- va. Tutti coloro che confideranno nella Misericordia di Dio saranno salvati. Cosa vuole dirci Gesù Misericordioso?, Che il suo popolo, la sua Chiesa sarà rinnovata e avrà origine dai raggi della Divina Misericordia in quanto in essa sarà purificata ed ad essa attingerà, il popolo di Dio, la Chiesa così rinnovata dall’Amore di Dio sarà formato da uomini e donne Misericordiosi che confidando e attingendo da quel- la fonte inesauribile che è la Misericordia di Dio saranno portatori di salvezza per tutta l’umanità. Essi così ricondur- ranno anche gli ultimi al Padre.
Dal Diario di Suor Faustina
(Quest’opera della misericordia)
«Figlia Mia, dì alle anime che do loro come difesa la Mia Misericordia. Combatto per loro Io solo e sopporto la giusta collera del Padre Mio» (D.1516)
«Figlia Mia, dì che la festa della Mia Misericordia è uscita dalle
Mie viscere a conforto del mondo intero». (D.1517)
– Si fece improvvisamente luce dentro di me, ed ebbi una profonda comprensione dell’opera richiesta da Gesù. Nemmeno l’ombra di un dubbio mi rimase. Il Signore mi fece conoscere apertamente la sua volontà e il suo disegno in quest’opera della misericordia, di cui parla di continuo. La vidi collocata a tre livelli per quanto, nel suo insieme, rappresenti sempre un’unità.
I tre livelli
Il primo è costituito da un gruppo d’anime contemplative le quali, appartate dal mondo, arderanno davanti a Dio come olocausto. Il loro compito è implorare la divina misericor- dia per il mondo e, in particolare, chiedere il favore di Dio sull’attività dei sacerdoti. Con la loro vita d’orazione, queste anime prepareranno l’universo all’ultima venuta di Gesù.
Il secondo livello è formato da un altro gruppo d’anime, le quali uniscono alla preghiera le varie opere di miseri- cordia. Si uniranno in congregazione religiosa e avranno il compito di difendere le anime dal male, in primo luo- go quelle dei fanciulli. L’orazione e le opere di misericor- dia rappresentano la missione che tocca a queste anime. È lo scopo della loro consacrazione a Dio. Nella congrega- zione di cui parlo vi sarà posto anche per persone pove- rissime e tutte assieme si uniranno a risvegliare, in que-
sto mondo d’egoisti, l’amore per la misericordia di Gesù. Il terzo livello consiste in un gruppo, vasto più dei prece- denti, che si propone di pregare e praticare la misericordia, senza il vincolo dei voti religiosi. Le persone che si assoce- ranno in questo modo parteciperanno al merito anche degli altri gruppi, perché fanno parte della stessa opera. A questo vasto movimento d’anime apparterranno le persone laiche senza una distinzione gerarchica tra loro. Si impegneranno, in particolare, a compiere almeno un’opera di misericordia al giorno. Tuttavia, di opere della misericordia se ne posso- no compiere, volendo, un grande numero e nelle forme più svariate. Anche il più povero e incapace è sempre in grado di attuarne qualcuna in qualche modo.
Come si esercita la misericordia:
La misericordia si esercita in tre modi:
Quando ci coglierà l’ultimo giorno e Dio pronuncerà su tutti noi il suo giudizio, per tali opere saremo giudicati e, in base ad esse, riceveremo la sentenza eterna (Mt c. 25).
La mancanza di fiducia:
Stavo per partire da Wilno. Una delle suore, oramai anziana, mi disse che già da molto tempo soffriva perché era convinta di confessarsi male e dubitava che Gesù le avesse perdonato. Inutilmente i suoi confessori le raccomandavano di aver fidu- cia e di restare in pace. Parlando a me, la suora insistette in questo modo: “So che Gesù tratta direttamente con te, sorella; chiedigli dunque se egli accetta le mie confessioni e se io posso dire d’essere stata perdonata”. Glielo promisi. La sera stessa udii queste parole: “Dille che la sua mancanza di fiducia mi ferisce più dei suoi peccati”.
La mia azione dipende dalla tua fiducia.
Gesù mi dice spesso: “Se il tuo dovere è fidarti della mia bontà, il mio è di darti tutto il necessario. La mia azione dipende dalla tua fiducia. Se la tua fiducia sarà grande, la mia generosità non avrà limiti”.
Ho ben capito quanto dispiace a Dio chi non ha fiducia in lui. Per questa ragione, le anime perdono numerose grazie. La diffidenza lo ferisce al cuore.
le sette oPere di misericordia sPiritUale
4 - Consolare gli afflitti 5 - Perdonare le offese
6 - Sopportare pazientemente le persone moleste 7 - Pregare Dio per i vivi e per i morti
le sette oPere di misericordia corPorale
1 - Dar da mangiare agli affamati 2 - Dar da bere agli assetati
6 - Visitare i carcerati 7 - Seppellire i morti
recitiamo ogNi giorNo
Gesù Misericordioso, aiutami a vivere la Misericor- dia nella mia vita e insegnami ad amare come solo tu hai fatto con il mio prossimo.
esame di coscieNza
(da effettuare alla fine della quinta tappa)
Promesse Per coNsacrarsi a gesù misericordioso Per mezzo di maria
Sacerdote: Figli carissimi, dopo un periodo di preparazio- ne, siete disponibili a consacrare le vostre vite a Gesù attraverso la dolce Madre celeste?
Consacrandi: Sì.
S: Volete donare tutte le vostre vite per il bene della Chiesa attraverso la vostra vita di fede?
C: Sì.
S: Volete rinnovare le vostre promesse battesimali nelle quali è espressa tutta la nostra dignità di cristiani?
C: Sì.
S: Volete offrire a Gesù e alla Madre celeste le vostre azioni, le vostre sofferenze e i vostri sacrifici per la conversione dei peccatori?
C: Sì.
S: Volete rinunciare al peccato e quindi a Satana che è il principe del male?
C: Sì.
S: Volete con la preghiera e la vostra vita dare testimo- nianza di fede e vincere le azioni di Satana?
C: Sì.
Lettura dell’Atto di Consacrazione.
S: Io ricevo la vostra Consacrazione in nome della Santa Madre Chiesa e se vivrete quanto avete promesso, vi assicuro la vita eterna.
C: Amen.
atto di coNsacrazioNe
a gesù misericordioso Per mezzo di maria
Io ........................... peccatore infedele
rinnovo oggi e ratifico nelle mani del sacerdote i voti del mio Battesimo:
rinuncio per sempre a satana,
alle sue seduzioni e alle sue opere: mi dono interamente a Gesù Cristo, la Sapienza incarnata,
per portare dietro a Lui la mia croce, tutti i giorni della mia vita,
e per esserGli più fedele che nel passato.
Ti scelgo oggi, davanti a tutta la corte celeste E alla presenza di Gesù Misericordioso Come mia Madre e Sovrana.
Come uno schiavo, ti consegno
E ti consacro il mio corpo e l’anima mia, i miei beni interiori ed esteriori,
il valore stesso delle mie buone opere, passate, presenti e future;
ti lascio il diritto pieno e totale di disporre di me e di tutto ciò che mi appartiene,
senza eccezione, secondo il Tuo volere e alla maggior gloria di Dio,
per mezzo della Chiesa e della spiritualità dell’Associazione Divina Misericordia o.d.v.
Amen.
affidameNto a maria ss.
(di S. Luigi Maria Grignion de Montfort)
O mia Madre e Regina a Te abbandono
e consacro
in qualità di figlio
il mio corpo (la salute, la vita, le forze, il lavoro) e l’anima mia (la mia vita spirituale, i miei sforzi,
i miei impegni)
i miei beni interni (le mie doti e capacità, l’intelligenza,
la volontà, l’affettività)
ed esterni (il fisico, i miei sensi, le mie energie,
le mie qualità, i miei carismi)
il valore stesso
delle mie azioni (affido ciò che so fare,
ciò che so valere),
passate (affido il bene compiuto
e il bene che compirò, presenti e future e chiedo che venga custodito
dall’orgoglio)
disponi di me (fa’ di me ciò che ti piace
per la gloria di Dio)
e di tutto ciò (ti affido la mia famiglia,
che mi appartiene la mia casa) come più ti piace
per la maggior (perché tutto sia per Dio, gloria di Dio. perché io diventi gioia di Dio)
AMEN.
BIBLIOGRAFIA
INDICE
INTRODUZIONE....................................................................... 5
ATTRAVERSO UN CAMMINO CRISTIANO.................... 5
cosa vuol Dire consacrarsi e perché consacrarsi?............................... 5
DEL CAMMINO DI CONSACRAZIONE
DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA... 7
«non avrai altri Dèi Di fronte a Me»........................................... 7
e l’olio benedetto........................................................... 9
ATTRAVERSO IL MAGISTERO DELLA CHIESA
ASSOCIAZIONE C.A.R.E.S. DIVINA MISERICORDIA O.D.V...... 16
preparazione..................................................................................................... 20
PRIMA TAPPA
- LIBERARSI DALLO SPIRITO DEL MONDO........ 27
recitiaMo ogni giorno....................................................................................... 55
esaMe Di coscienza.......................................................................................... 55
SECONDA TAPPA
- CONOSCERE SE STESSI.................................... 57
Come le maschere si manifestano a livello fisico......... 61
Delle eMozioni... e le vecchie ferite ....................................................... 65
Illusioni degl’incipienti sulle consolazioni..................... 90
Le consolazioni................................................................ 90
Delle aridità..................................................................... 94
1) 925. Natura............................................................... 94
929. Consiglio al direttore............................................ 96
931. Il rimedio............................................................... 98
recitiaMo ogni giorno.................................................................................... 101
esaMe Di coscienza........................................................................................ 102
TERZA TAPPA
- CONOSCERE LA SANTA VERGINE MARIA........ 105
Dalla lettura Del CateChismo della ChiesaCattoliCa ... 105
Interamente unita al Figlio suo. 112
anche nella sua assunzione........................................ 112
Ella è nostra Madre nell’ordine della grazia 113
che va a morire.......................................................... 123
di Gesù dalla croce.................................................... 129
Le virtù umane............................................................ 141
La prudenza................................................................. 142
La giustizia................................................................... 142
La fortezza................................................................... 143
La temperanza............................................................. 143
Le virtù e la grazia...................................................... 144
La fede......................................................................... 145
La speranza................................................................. 146
La carità....................................................................... 148
L’umiltà di Maria......................................................... 152
La carità di Maria verso Dio....................................... 156
La Carità di Maria verso il prossimo 158
La fede di Maria.......................................................... 159
La speranza di Maria................................................... 161
La castità di Maria....................................................... 163
La povertà di Maria..................................................... 165
L’obbedienza di Maria................................................ 166
La pazienza di Maria................................................... 168
recitiaMo ogni giorno................................................................................... 178
esaMe Di coscienza........................................................................................ 178
QuARTA TAPPA
- CONOSCERE GESù CRISTO............................. 179
catechisMo Della chiesa cattolica .................................................. 179
L’anima e la conoscenza umana di Cristo................. 181
La volontà umana di Cristo........................................ 182
Il vero corpo di Cristo................................................. 183
Il cuore del Verbo incarnato....................................... 183
Tutta la vita di Cristo è mistero................................. 184
I tratti comuni dei misteri di Gesù............................ 185
La nostra comunione ai misteri di Gesù................... 186
Le preparazioni............................................................ 187
Il mistero del Natale................................................... 188
I misteri dell’infanzia di Gesù.................................... 189
I misteri della vita nascosta di Gesù......................... 190
Il battesimo di Gesù.................................................... 192
La tentazione di Gesù................................................. 193
«Il regno di Dio è vicino»........................................... 194
L’annunzio del regno di Dio....................................... 195
I segni del regno di Dio.............................................. 196
«Le chiavi del Regno»................................................ 197
Un anticipo del Regno: la trasfigurazione................ 198
La salita di Gesù a Gerusalemme............................. 200
L’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme..... 200
Morì e fu sepolto ...................................................................................... 201
Divisioni delle autorità ebraiche a riguardo di
Gesù............................................................................. 202
Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili
della morte di Gesù.................................................... 203
Tutti i peccatori furono autori della passione
di Cristo........................................................................ 204
Della salvezza ........................................................................................... 205
«Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito
di Dio»......................................................................... 205
«Morto per i nostri peccati secondo le Scritture».... 205
«Dio l’ha fatto peccato per noi»................................. 206
Dio ha l’iniziativa dell’amore redentore universale ... 207
peccati........................................................................................................... 208
Tutta la vita di Cristo è offerta al Padre................... 208
«L’Agnello che toglie il peccato del mondo».............. 209
Gesù liberamente fa suo l’amore redentore
del Padre...................................................................... 209
Alla Cena Gesù ha anticipato l’offerta libera
della sua vita................................................................ 209
L’agonia del Getsemani.............................................. 210
La morte di Cristo è il sacrificio unico e definitivo. 210
Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra disobbedienza 211
Sulla croce, Gesù consuma il suo sacrificio............. 211
La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo........ 212
L’avvenimento storico e trascendente...................... 213
Il sepolcro vuoto.......................................................... 214
Le apparizioni del Risorto 214
Lo stato dell’umanità di Cristo risuscitata 216
La risurrezione come evento trascendente 217
La risurrezione - opera della Santissima Trinità 217
Senso e portata salvifica della risurrezione 218
Il Sacramento del Battesimo tratto dal Catechismo
della Chiesa Cattolica................................................. 220
Le prefigurazioni del Battesimo nell’Antica
Alleanza........................................................................ 221
Il battesimo di Cristo.................................................. 223
Il Battesimo nella Chiesa........................................... 224
10.3 Come viene celebrato il sacramento
del Battesimo?........................................................... 225
L’iniziazione cristiana................................................. 225
La mistagogia della celebrazione 226
Il Battesimo degli adulti............................................. 229
Il Battesimo dei bambini............................................ 230
Fede e Battesimo........................................................ 230
Per la remissione dei peccati..................................... 233
«Una nuova creatura»............................................... 234
Incorporati alla Chiesa, corpo di Cristo 234
Il vincolo sacramentale dell’unità dei cristiani 235
Un sigillo spirituale indelebile.................................... 236
Di esorcisMo?...................................................................... 236
orazione Di esorcisMo e unzione prebattesiMale .................................. 237
rinuncia a satana............................................................................................ 238
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno
dei cieli»....................................................................... 239
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».... 240
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno
consolati»..................................................................... 242
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati».............................................. 243
«Beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia»............................................................... 244
«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».......... 245
«Beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio»................................................ 246
«Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi
è il regno dei cieli»...................................................... 248
recitiaMo ogni giorno.................................................................................... 250
esaMe Di coscienza......................................................................................... 250
QuINTA TAPPA
- IL RITORNO AL PADRE MISERICORDIOSO.............. 251
Dal Diario di Suor Faustina 263
I tre livelli..................................................................... 263
Come si esercita la misericordia............................... 264
La mancanza di fiducia:............................................. 264
le sette opere Di MisericorDia spirituale ................................................ 265
le sette opere Di MisericorDia corporale ............................................... 265
recitiaMo ogni giorno.................................................................................... 266
esaMe Di coscienza......................................................................................... 266
proMesse per consacrarsi a gesù MisericorDioso
per Mezzo Di Maria................................................................................. 267
atto Di consacrazione a gesù MisericorDioso
per Mezzo Di Maria................................................................................. 268
affiDaMento a Maria ss................................................................................ 269
bibliografia....................................................................... 270
INDICE
È una Casa Editrice nata unicamente dal desiderio di fare qualcosa per Gesù e Maria, per cercare di collaborare come può con Maria Santissima al trionfo del suo Cuore Immacolato, con la certezza che sarà Lei stessa la ricom- pensa di ogni sforzo.
Chi vi opera è convinto che l’evangelizzazione non sia solo un dovere dei Religiosi o un’azione facoltativa dei cristiani, ma sia il primario dovere sociale di ogni cri- stiano specialmente in questo tempo tanto tormentato che però lascia trasparire nuovi germogli annunciatori di una imminente primavera della Chiesa.
L’Editore e quanti collaborano con l’Editrice Ancilla si sforzano quotidianamente di operare in modo che il “cervello” di tutta l’attività sia la Vergine Maria, alla qua- le tutto e tutti sono stati consacrati e alla quale si chiede anche di intervenire concretamente, da vera Mamma, per risolvere ogni problema editoriale.
Nel conseguimento dei propri compiti, l’Editrice è aiutata dalla preghiera di molti Religiosi e in particolare di coloro che fanno della preghiera il “lavoro” primario di tutta la loro giornata: suore di clausura, pensionati, ammalati, disabili.
Per lo svolgimento del lavoro materiale e spirituale di ogni giorno, l’Editore chiede l’aiuto e la collaborazione di tutti coloro che desiderano rendersi utili, essendo convinto che nella “vigna” del Signore c’è lavoro per tutti, perché tutti hanno ricevuto dal Padre qualcosa da donare.
OPERE DELL’ EDITRICE ANCILLA
Collana Pregare oggi
Santa Camilla Battista da Varano
Collana Pregare oggi - Piccoli sussidi
Collana Mistica
Collana Angelologia
Collana Piccoli lettori
Collana Mariologia
Collana Spiritualità
Collana Esperienze
Collana Conoscenze
Collana Santi e Beati